martedì 15 novembre 2022

BALDUINA-GHETTO-BADUINA. ALLA RICERCA DI LAURA DI NOLA

 

ATTRAVERSANDO IL  TEVERE: BALDUINA - GHETTO - BALDUINA

ALCUNE RICERCHE SU LAURA DI NOLA DAL 1978 AI NOSTRI GIORNI

“A me invece Roma piace moltissimo:

una specie di giungla, tiepida, tranquilla,

dove ci si può nascondere bene”.

Marcello Mastroianni ne “La Dolce vita”

Federico Fellini, 1960.

(Citazione tratta da “Dolce vita, dolce morte”,

di Giancarlo De Cataldo, ed. Rizzoli-Novelle nere, ottobre 2022)


A cura di: SEDICidiMARZO


INTRODUZIONE

Il nome di Laura Di Nola, nata a Roma il 3 dicembre 1932, nel 1978 militante del Partito Radicale, scrittrice, saggista, promotrice e "tutrice" di alcuni dei primi gruppi di cultura omosessuale ed alternativa - come si diceva allora- sorti in quegli anni in Italia, entrò incidentalmente nell’inchiesta sul sequestro e sull’omicidio di Aldo Moro, stando ai documenti ufficiali disponibili, solo dopo la tragica conclusione del sequestro, a partire dalla fine dell’estate 1978.

Due inchieste parallele, sviluppatesi in quella parte finale del 1978, riguardarono il ghetto di Roma, focalizzando infatti l’attenzione degli inquirenti sulla presunta cellula eversiva che essi supposero fosse costituita, tra gli altri, da Anna Buonaiuto, Rosa Nicoli, Bruno Sermoneta (il cui nome era stato già rinvenuto nel talloncino apposto sulla chiave di una Jaguar ritrovata il 18 aprile 1978 nel covo di Via Gradoli) e i coniugi Laura Di Nola e Raffaele De Cosa, residenti in Via Sant’Elena 8.

Quelle indagini non condussero peraltro, va ricordato, ad alcuna imputazione, quanto al sequestro e all’omicidio di Moro, per nessuna delle persone nominate.

Laura Di Nola morì prematuramente neppure un anno dopo l’avvio di quelle indagini, ufficialmente il 7 luglio 1979.

In modo assai singolare, le due inchieste, stando alla documentazione disponibile, seguirono due binari che sembrano essere rimasti del tutto autonomi, senza alcuno scambio informativo né coordinamento tra loro:

- l’uno, attivato e seguito dal Sismi in base a proprie “fonti”, che aveva riguardato anche la presunta individuazione del musicista russo Igor Markevitch quale figura di spicco della gestione del sequestro e degli interrogatori di Moro;

- l’altro, attivato e seguito dall’Ufficio Istruzione di Roma con l’ausilio dei vigili urbani, in esito all’arresto, avvenuto a Pavia il 4 luglio 1978, del giovanissimo estremista Elfino Mortati (ricercato per l’omicidio del Notaio Gianfranco Spighi di Prato), il quale già nel primo interrogatorio reso a Firenze aveva fatto riferimento  ad alcune presunte “basi” dell’eversione nella Capitale, due delle quali situate nel ghetto, ove egli aveva soggiornato o che comunque aveva frequentato nel periodo della sua latitanza, durante il sequestro Moro.

Questi due percorsi di inchiesta, pur partendo da scaturigini diverse, giunsero, senza che all’apparenza vi sia stato alcun punto di contatto, all’uguale risultato di individuare quell’identico contesto di luoghi e persone ritenuti sospetti, facendo di fatto perno sul presunto ruolo dell’abitazione dei coniugi Di Nola e De Cosa in Via Sant’Elena n. 8 quale possibile covo di fiancheggiatori, se non addirittura di appartenenti a pieno titolo, alle Brigate Rosse.

Tuttavia, formuleremo anche una nuova e diversa ipotesi sulla possibile intersezione delle due indagini, ed in ogni caso si evidenzierà come non si può escludere che un punto di incontro tra i due filoni vi sia stato.

Infatti, questa identità di risultati raggiunti dagli Organi attivatisi, pur muovendo da punti di partenza diversi, porta a chiederci come fu possibile, in particolare, che i vigili urbani, nel giro di pochi giorni dall’incarico di compiere accertamenti conferitogli dall’ufficio istruzione di Roma, poterono attestare al magistrato di avere in sostanza individuato nell’appartamento di Via Sant’Elena 8 proprio uno degli appartamenti sospetti cui si era riferito Mortati, il quale oltre tutto ne aveva fatto una descrizione assai sommaria e generica.

Nonostante il fatto che gli esiti giudiziari di quelle indagini restarono privi di conseguenze per quelle persone, i ricercatori e i pubblicisti, alcuni dei quali già membri o consulenti delle Commissioni parlamentari,  in virtù dello svolgimento stesso di quell’inchiesta e del fatto che il cadavere di Moro era stato fatto ritrovare in una Via di quell’area, hanno focalizzato l’attenzione, nel corso dei decenni, sull’ipotesi, avanzata anche con una certa tenacia da parte di alcuni di costoro, che proprio nel Ghetto di Roma dovesse situarsi quanto meno un covo delle B.R.

Ci pare di poter rinvenire due eccezioni a questa apparente “fossilizzazione” dell’attività di ricerca e di studio nei ristretti confini di quello storico quartiere del centro di Roma.

La prima, è costituita da un passaggio particolarmente enigmatico del testo, comunque imprescindibile, anche se ad esso si volesse guardare con lettura puramente critica, "L'affaire Moro", scritto come noto di getto nell'estate 1978 da Leonardo Sciascia, che, riletto oggi, sembra assumere le suggestive vesti dell’allegoria. Ce l’ha riportato alla mente, non da ora, la lettura dell’ottimo libro di Damilano "Un atomo di verità-Aldo Moro e la fine della politica in Italia", pubblicato da Feltrinelli nel 2018, nel quale Damilano ha ricordato il criptico richiamo del grande Autore siciliano all’"l'invenzione della Croce" ad opera di Sant'Elena.

Data l’assenza, a quell’altezza cronologica, di informazioni concrete sulle indagini nel ghetto di Roma, quell’allusione di Sciascia acquisisce quanto meno il crisma dell’originalità, se non dell’intuizione preveggente.

La seconda eccezione è invece uno specifico inciso, in questo caso niente affatto allegorico bensì assai concreto, riportato nel libro scritto dall’ex Presidente della Commissione Moro-2, Giuseppe Fioroni, insieme alla giornalista Maria Antonietta Calabrò, dopo la fine dei lavori della Commissione da lui presieduta, pubblicato nel 2019 per le edizioni Lindau (in seconda edizione), intitolato “Moro-Il caso non è chiuso- La verità non detta”.

L’inciso del libro di Fioroni, per la particolare ed esplicita connessione con i risultati della nostra ricerca, costituirà oggetto specifico della parte conclusiva di questo saggio, alla quale quindi si rinvia.

Il presente studio muove, al di là della già ricordata assenza di esiti processuali, dal dato di fatto dell’esistenza di quei gravi sospetti nutriti inizialmente dagli inquirenti in ordine all’esistenza di un presunto covo di eversori aventi base nell’abitazione dei coniugi Di Nola e De Cosa, per giungere a rilevare il fatto che le ricerche seguite a quei sospetti, tanto da parte degli inquirenti che degli studiosi della materia, non hanno mai guardato oltre il ristretto ambito del ghetto di Roma.

Come si vedrà, infatti, a quelle ipotesi investigative, se si escludono alcuni accertamenti in ordine a Via dei Bresciani (uno dei luoghi esplicitamente ricordati da Mortati)  e a Trevignano Romano, non hanno mai fatto seguito ulteriori ricerche a più ampio raggio sulle persone inizialmente coinvolte, ed in particolare su Laura Di Nola, e l’indagine, anche storica, è rimasta sempre focalizzata sul dato più immediatamente percepibile, ovvero sia la residenza di costei in Via Sant’Elena, forse perché eccessivamente condizionata dal tentativo di individuare in quei dintorni i luoghi sommariamente descritti da Elfino Mortati.

Tra l’altro, anche l’estensione delle indagini a Trevignano Romano – Comune nel quale venne accertata in effetti una proprietà immobiliare dei coniugi Di Nola-De Cosa - non fu frutto di una qualche intuizione investigativa originale, bensì fu indotta da una dichiarazione resa de relato ai vigili urbani che indagavano su Via Sant’Elena 8 – a quanto sembra, e fatta salva l’ipotesi che proporremo- dalla portinaia di quello stabile, secondo la quale la stessa Di Nola nel periodo del sequestro l’avrebbe avvertita che si sarebbe allontanata da Roma, lasciandole un recapito risultato poi appartenere ad un’utenza di quella località.

Ma prima di estendere l’attenzione a Trevignano Romano, forse gli inquirenti – ed in seguito, anche i pubblicisti autori di saggi di inchiesta e di analisi storica - avrebbero potuto a nostro parere tentare di individuare l’esistenza, proprio su Roma, di qualche altro elemento riferibile a Laura Di Nola.

Ed è ciò che esattamente si è tentato di fare con questa nostra ricerca. E’ infatti a Roma che noi resteremo, durante questo ideale tragitto sulle tracce di Laura Di Nola, che ci condurrà, precisamente, partendo dal ghetto, alla Balduina.

I)  -ROMA, 1978- L’ATTIVAZIONE DEL SISMI

Nel 1980 (cfr. :“Il delitto infinito- Ultime notizie sul sequestro Moro”, di Silvio Bonfigli e Jacopo Scè, già consulenti della Commissione Parlamentare sulle Stragi, ed. Kaos, 2002, pag. 170 e segg.; “Il covo di Stato e la prigione fantasma”, dell’ex senatore del PCI, Sergio Flamigni, già membro, tra l’altro, della prima “Commissione Moro”, di seguito CM-1, ed. Kaos, 2016, pagg. 100 e segg.), il Sismi produceva alla CM-1, con la classificazione “segretissimo”, un “Rapporto per l’inchiesta parlamentare sulla strage di Via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro” (CM-1, vol. 106, pagg. 1 e segg.), nell’ambito del quale – all’interno del paragrafo intitolato “periodo successivo al rinvenimento del cadavere dell’onorevole Moro (3° fase)” - il Sismi comunicava tra l’altro all’Organismo parlamentare (ibid. pag. 89), un appunto riassuntivo, assai succinto, di una segnalazione del 14 ottobre 1978 con la quale un’imprecisata fonte del Servizio aveva fatto  riferimento alla persona di Igor Markevitch quale figura di primo piano all’interno delle BR al punto da avere “condotto tutti gli interrogatori di Moro”, indicando poi tali “Anna” e “Franco” quali esecutori materiali dell’omicidio dell’uomo politico.

Il Sismi aggiungeva, a conclusione dell’appunto per la CM-1, che dagli “accertamenti svolti, anche con l’intervento di Servizi collegati” non erano emersi “peraltro elementi di conferma della notizia”.

Incidentalmente, l’indicazione dei nomi “Anna” e Franco” quali carnefici di Moro, per una coincidenza difficilmente spiegabile, sarebbe stata contenuta di lì a poco dopo in modo identico nel noto racconto “Cristo nella plastica” dello scrittore italo-americano Pietro Di Donato, poi pubblicato dal settimanale “Penthouse” nel dicembre 1978.

Le anticipazioni riportate da parte del quotidiano “Il Tempo” (articolo a firma Giuseppe Longo del 15 novembre: CM-1, vol 34, pagg. 243 e segg, e vol. 118, pag. 27 e segg.) del contenuto di quel racconto, che faceva tra l’altro riferimento ad un garage di supporto del commando autore del sequestro sito in Via della Balduina, avevano originato alcuni accertamenti del commissariato di Polizia Montemario, in esito ai quali il commissario Marinelli aveva comunicato al Questore, il 17 novembre, l’individuazione, in un complesso di proprietà dello IOR, di un garage con doppio accesso da Via Massimi 91 e da Via della Balduina n. 323 (CM-1, vol. 34, pag. 612).

Senza entrare nel merito in questa sede di alcuni elementi di opacità presenti nel rapporto di Marinelli, resta il fatto che  le indagini scaturite da quel racconto dimostrano come l’attenzione delle forze dell’ordine, in merito a possibili basi del commando e finanche ad un possibile luogo di iniziale prigionia di Moro alla Balduina, già attivata fin dalle prime ore dopo il sequestro dalle segnalazioni da parte di “fonti” informative con vario grado di attendibilità, fosse  evidentemente ancora assai alta pur otto mesi dopo il sequestro.

L’appunto redatto dal Sismi per la CM-1 nel 1980 costituisce oggettivamente un riepilogo del tutto deficitario delle reali dimensioni delle segnalazioni pervenute al Servizio e dell’attività di indagine svolta dal Servizio stesso nel 1978.

Tralasciando i dubbi avanzati da alcuni sulla veridicità della data del 14 ottobre 1978 attribuita dal Sismi alla segnalazione ricevuta dalla propria “fonte”(Scè e Bonfigli parlano di data “fittizia”; pag. 174, op. cit.), si rileva che in primo luogo non risulta agli atti alcuna nota informativa od alcun appunto del Servizio che, per analogia di contenuto, possa considerarsi la scaturigine di quel riassunto del 1980 ad uso della CM-1.

Ma soprattutto il Sismi, come sarebbe poi emerso, non si era occupato solo della figura di Igor Markevitch, ma aveva svolto anche ulteriori accertamenti, tra i quali quelli in ordine alle persone che erano risultate gravitare intorno all’appartamento di Via Sant’Elena 8, detenuto da Laura Di Nola e Raffaele De Cosa.

Non è dunque chiaro perché il Sismi nel 1980 non riferì alla CM-1 – e, stando ai citati ex consulenti della Commissione Stragi (pag. 173, op. cit.), neppure agli inquirenti- anche gli ulteriori aspetti emersi dalle proprie indagini.

Grazie alla saggistica in materia – unica fonte disponibile sul punto – è stato infatti possibile apprendere di una ulteriore nota del Sismi attribuita all’ex colonnello Demetrio Cogliandro, datata ufficialmente 9 dicembre 1978, che quindi ben prima del rapporto del Sismi per la CM-1 riportava, oltre ad un primo punto concernente di nuovo la persona di Igor Markevitch, quanto riferito da “Fonte molto attendibile” (Bonfigli e Scè, op. cit. pagg, 174 e 175), e cioè che:

“2. Presso il Comune di Roma sono stati assunti molti fiancheggiatori delle Brigate Rosse, che suddivisi successivamente in piccoli gruppi hanno dato vita a vere e proprie cellule eversive. A conforto di tale affermazione, (la fonte: ndr) ha citato la Balzerani e la Mariani Gabriella (inquisite per la vicenda Moro), e ha riferito che in Via Gradoli fu trovata la chiave dell’autovettura “Jaguar”, targata H…Via Aurelia n. 701.

L’auto era appartenuta originariamente a tale Sermoneta, amico di una brigatista residente in via di S. Elena n. 8. A questo indirizzo è stata più volte notata Buonaiuto Anna facente parte del gruppo in argomento. Al tempo della vicenda Moro, gli occupanti dell’appartamento si allontanarono da Roma per evitare perquisizioni e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano sito in Via Garibaldi.

Accertamenti – Gli occupanti dell’appartamento sono stati identificati nei coniugi Di Nola, residenti in via di S. Elena 8, e i corrispondenti di Trevignano sono: Cecconi Settimio, professore di filosofia, abitante in via del Monte, Franchini Antonio, coniugato Gerometti, al momento non meglio identificato.”.

Il generale Cogliandro in una deposizione del 6 febbraio 2001 (Bonfigli e Scè, op. cit. pagg. 176-177, e ivi nota n. 11) confermerà la matrice di origine israelita della “fonte”, lasciando trapelare in modo sia pure criptico che si trattasse del capitano Antonio Fattorini, suo ex collaboratore e noto – sempre a detta del Cogliandro- nell’ambiente del Sismi come “mezzo ebreo”, per i buoni rapporti che costui, secondo Cogliandro, aveva con l’intelligence di Israele.

La connotazione israelita, in effetti, caratterizzava sia lo scenario topografico in cui quelle notizie si collocavano, sia alcune delle persone nominate, come Laura Di Nola e (Bruno) Sermoneta.

Questo appunto risulta del tutto assente nella documentazione acquisita dalla CM-1 e dalla magistratura; venne acquisito agli atti della Commissione Stragi ed analizzato e commentato, appunto, dai consulenti Scè e Bonfigli, nell’ambito della rinnovata ribalta avuta  nel 1999 dalla figura di Igor Markevitch e del suo presunto ruolo durante il sequestro di Aldo Moro.

Vladimiro Satta, nel suo saggio “Odissea nel caso Moro”, Edup Edizioni, 2003, colloca questo appunto nella sezione “Moro 7/26 a” dell’Archivio Commissione Stragi, aggiungendo che la citazione da parte di Bonfigli e Scè è “parziale e non integrale” - pur essendo la parte mancante definita dall’autore “di sicuro interesse” - in quanto l’appunto stesso è (o era, all’epoca) interamente classificato come “riservato” (V. Satta, op. cit. nota n. 306, pag. 137).

Peraltro una copia fotostatica parziale dell’appunto stesso si trova riprodotta dal giornalista dell’ANSA e saggista Paolo Cucchiarelli nel suo libro “Morte di un Presidente”, ed. Ponte alle Grazie, 2016, pag. 280.

Le notizie acquisite dal Sismi sul “gruppo in argomento” gravitante attorno all’appartamento dei coniugi Di Nola, attestavano dunque espressamente l’esistenza- a dire di quel Servizio – di una vera e propria “cellula eversiva”. Ciò nonostante, sembra che queste informazioni siano rimaste confinate nell’ambito puramente interno del Servizio almeno fino al 1980, e che, di conseguenza, esse non si incrociarono con i dati che, a quanto pare, anche la magistratura era intanto andata acquisendo per altra via.

Tuttavia, alcuni elementi potrebbero indurre a formulare viceversa l’ipotesi che quelle informazioni del Servizio, contrariamente alle apparenze emerse fino ad oggi. in qualche modo interagirono con le altre indagini in corso.

II)- ROMA, 1978

LE INDAGINI SCATURITE DALLE DICHIARAZIONI DI ELFINO MORTATI

II-1) IL NULLA DI FATTO DI DIGOS, CARABINIERI E GUARDIA DI FINANZA.

IL RISULTATO POSITIVO DEI VIGILI URBANI E I LORO PRIMI DUE RAPPORTI  DI SETTEMBRE

Elfino Mortati, come detto nell’introduzione, venne arrestato a Pavia il 2 luglio 1978 (cfr. per riferimenti indiretti la nota della Questura di Roma del 5 luglio 1978, CM-1, vol. 62, pag. 531).

Nel corso dei primi interrogatori a Pavia e Firenze, era emerso, tra le altre cose, che nel periodo di latitanza tra il febbraio e il maggio 1978 egli era stato condotto da tali “Anna” e “Massimo” in un appartamento a Roma in Via dei Bresciani 4, che sarebbe stato frequentato tra gli altri anche da Enrico Triaca (cfr. nota Questura sopra citata. Quello di “Anna” è un nome che, come si vede, ricorrerà  trasversalmente in varie tipologie di documenti, a quell’altezza cronologica successiva alla conclusione del sequestro; una tale “Anna” apparirà infatti, successivamente, anche come personaggio rilevante nel fumetto pubblicato dalla rivista dell’area di Autonomia, “Metropoli”)

Nella deposizione del 10 luglio (CM-1, vol. 64, pagg. 487 e segg., ma anche in vol. 116, pag. 303 e segg.) in merito alla sua latitanza a Roma nel periodo del sequestro Moro, Mortati aveva dichiarato,  tra le altre cose, di avere soggiornato anche in due appartamenti situati sicuramente nella zona del ghetto di Roma - tuttavia facendone  una descrizione sostanzialmente assai imprecisa e sommaria – oltre al fatto che di avere intuito che i frequentatori di quegli appartamenti,  tra i quali – per l’appunto- una certa “Anna”,  “dai discorsi che facevano….comunque avevano a che fare con le Brigate Rosse” (CM-1, vol. 116, pag. 304).

A seguito di queste dichiarazioni, il giudice Priore aveva richiesto subito alla Digos, quello stesso 10 luglio (CM-1, vol. 116, pag. 302), di svolgere con la “massima urgenza indagini di p.g. al fine di accertare l’esatta ubicazione degli appartamenti di cui al verbale testimoniale di Mortati Elfino, reso in data odierna”, cui si aggiungeva la richiesta di “identificare le persone di cui allo stesso verbale” (CM-1, vol. 116, pag. 302).

Successivamente alla risposta recante l’esito negativo delle prime indagini da parte della Digos (CM-1, vol. 116, pag. 301),  il successivo 11 settembre l’Ufficio Istruzione di Roma, con plurime note del giudice Achille Gallucci, richiedeva nuovamente alla Digos (CM-1, vol. 33, pag. 974), oltre che alla Guardia di Finanza (CM-1, vol. 33, pag. 795), ai Carabinieri (CM-1, vol. 35, pag. 249) e ai Vigili Urbani (CM-1, vol. 62, pag. 823) , di “accertare, con accurate indagini, se”,  nelle diverse zone, vie e piazze del Ghetto che il magistrato aveva rispettivamente loro assegnato all’interno del perimetro delimitato  tra il Lungotevere, Via Arenula, Piazza Ara Coeli, Via Botteghe Oscure  e Via del Teatro Marcello, vi fossero “abitazioni nelle quali si possa fondatamente sospettare abbia trovato ricetto il noto Mortati Elfino e se esistano locali idonei a dar ricetto ad una autovettura”.

La Digos (CM-1, vol. 33, pag. 975), la Guardia di Finanza (CM-1, vol. 33, pag. 796) e i Carabinieri (CM-1, vol. 35, pag. 250), avevano comunicato alla magistratura gli esiti totalmente negativi delle loro indagini, con note datate rispettivamente 28 ottobre (la Digos), 28 settembre (la GdF), e, quanto ai carabinieri del Reparto Operativo, con rapporto a firma del Colonnello Antonio Cornacchia, addirittura il 13 gennaio 1979.

Non così i Vigili Urbani, i quali appena cinque giorni dopo l’emissione della richiesta di indagini da parte del magistrato, il 16 settembre avevano già redatto una prima nota con la quale, sostanzialmente, affermavano di dover comunicare “con urgenza” all’Ufficio Istruzione, nonostante le indagini fossero ancora in corso, i “particolari” emersi dal “riscontro di fatto”, operato quella stessa mattina.

In sostanza essi attestavano di avere individuato quale elemento di specifico interesse l’edificio in Via Sant’Elena 8, e in particolar modo l’appartamento al quarto piano identificato con l’interno n. 9, sulla cui anta di ingresso destra era stata rilevata l’indicazione dei nomi “De Cosa” e “Di Nola” (CM-1, vol. 62, pagg. 825).

Il rapporto dei vigili urbani scriveva che (le sottolineature sono nostre) “Trattasi dell’edificio qui sito al civico 8 di Via S. Elena, ovverosia al riscontro di fatto, operato questa mattina, di alcuni elementi, già noti a Codesto Ufficio, che sono stati rilevati in detto edificio”, parole con le quali in sostanza i vigili attestavano all’autorità giudiziaria l’avvenuta identificazione da parte loro dell’esistenza di un sostanziale legame tra quell’edificio e uno dei due descritti sommariamente da Elfino Mortati.

In quel primo rapporto, i vigili urbani avevano inoltre precisato di avere effettuato l’accesso nell’edificio con il simulato pretesto di verificare l’eventuale esistenza di abusi edilizi (per i dettagli di quel resoconto, si rinvia al testo integrale rapporto).

Pochi giorni dopo, precisamente il 20 settembre, i vigili urbani avevano effettuato un secondo sopralluogo, con il pretesto di verifiche connesse alla corretta riscossione delle tasse sulla raccolta dei rifiuti, concentrandosi di nuovo sull’appartamento interno 9 di Via Sant’Elena 8. In questa occasione i vigili avevano riscontrato la presenza di Laura Di Nola, oltre ad un giovane già visto frequentare quell’appartamento nel corso della precedente occasione. Il rapporto del 20 settembre indicava, tra l’altro, le generalità di Laura Di Nola, risultata affittuaria dell’appartamento, di proprietà della famiglia Pediconi.

La Di Nola aveva dichiarato ai vigili che l’appartamento non aveva pertinenze di alcun tipo (rinviamo al documento integrale per gli altri dettagli: CM-1, vol 62, pag. 861-862).

Il successivo 2 novembre, il giudice Rosario Priore aveva disposto che i vigili urbani compissero ulteriori indagini “nella zona indicata” “principalmente al fine di accertare se in essa si trovino locali idonei a dar ricetto ad autovetture” (CM-1, vol. 62, pag. 856).

II-2) IL PRIMO DEI DUE RAPPORTI DEI VIGILI URBANI DI NOVEMBRE 1978.

La “zona indicata” in questa nuova richiesta di indagini da parte di Priore era quella già attribuita ai vigili nella prima richiesta di Gallucci dell’11 luglio,  cioè quella“compresa tra Via Arenula, Via del Pianto, Via Reginella, Piazza Mattei, Via Paganica, Largo Arenula” (CM-1, vol. 62, pag. 823, cit.).

La risposta dei vigili anche questa volta non aveva tardato, giungendo pochi giorni dopo, con un rapporto al Giudice Priore, la cui data è illeggibile nella copia riprodotta in CM-1, vol. 62, pag. 857, ma è indirettamente databile in base ad alcuni elementi, in parte estrinseci, in un arco compreso tra la data della richiesta di Priore e il successivo 16 novembre.

I vigili avevano riferito al magistrato, con questo rapporto, che “…in ottemperanza a quanto richiesto dalla S.V. con nota del 2 c.m.” avevano contattato riservatamente la portinaia dello stabile di Via Sant’Elena 8, la quale, come si è già accennato nell’introduzione di questa ricerca, stando al resoconto dei vigili aveva loro riferito che “nel periodo del sequestro del noto personaggio, la Di Nola Laura, che abita com’è noto al n° interno 9 dello stesso stabile, si sarebbe allontanata dalla sua abitazione lasciandola vuota”, lasciandole “un recapito telefonico presso il quale (la portinaia) avrebbe dovuto comunicarle eventuali interventi forzosi nella sua abitazione da parte delle forze dell’ordine”, recapito che poi i vigili attestavano di avere accertato corrispondere all’utenza di un bar sito a Trevignano Romano.

Rispetto alla specifica richiesta del 2 novembre da parte di Priore, nulla veniva detto in ordine alla ricerca in quell’edificio (o nei pressi) di un luogo adatto a dare un riparo ad autovetture; rimane la possibilità, in linea teorica, che eventuali notizie in ordine a questo specifico aspetto si trovassero nella pagina mancante di quel rapporto, la cui numerazione manuale in alto a destra delle due pagine disponibili salta dalla numero 4940 alla numero 4942. Si tratta tuttavia di un nodo che ad oggi è ancora impossibile sciogliere, essendo dispersa chissà dove quella pagina.

Vale qui la pena almeno di accennare che questo rapporto pone alcuni problemi, che non ci risultano mai rilevati in precedenza.

Il primo problema è che ad esso risulta allegato (pag. 858, volume 62, CM-1), uno stato di famiglia di Laura Di Nola, che reca la data del 15 settembre.

Se i vigili avevano dunque a disposizione già il 15 settembre uno stato di famiglia specificamente riguardante Laura Di Nola e Raffaele De Cosa, per quale ragione nel loro primo rapporto del 16 settembre (cioè del giorno successivo al rilascio di quello stato di famiglia) essi “certificarono” a quest’ultima data l’individuazione di quell’appartamento e dei nomi “ Di Nola” e “De Cosa”, rappresentando i fatti come se si fosse trattato di una sconcertante novità assoluta, di una sorprendente scoperta contestuale a quel sopralluogo del giorno 16? 

Questo palese paradosso cronologico rende in definitiva plausibile quanto meno l’ipotesi che quella coppia fosse sotto osservazione da prima del sopralluogo, e che in data 16 settembre fu effettuato un sopralluogo mirato nell’edificio che già prima del 16 era stato identificato quale residenza della coppia Di Nola- De Cosa.

Non è neppure ben chiara, inoltre, la ragione per la quale quello stato di famiglia - del 15 settembre - fu allegato a questo rapporto - di novembre - visto che le sue risultanze attestavano una circostanza ormai ampiamente acquisita dai vigili urbani già da settembre, come per altro essi ribadivano in questo stesso rapporto (“la Di Nola Laura ….abita com’è noto al n° interno 9 dello stesso stabile”).

Ulteriori aspetti problematici emergono inoltre sul piano della coerenza complessiva dello svolgimento dei fatti, dal confronto di questo rapporto con le deposizioni che invece la portinaia rese al giudice Priore, confronto che origina consistenti questioni sia sulla parte di quel rapporto dei vigili che più strettamente descriveva la loro attività, sia, in misura maggiore, sulla parte del rapporto stesso che riguardava le affermazioni della portinaia in merito a quanto comunicatole dalla Di Nola.

Sotto il primo profilo, i vigili descrissero una propria attività improntata ad una particolare riservatezza allorché, “in ottemperanza – come si legge testualmente -  a quanto richiesto dalla S.V. – cioè il giudice Priore- con nota del 2 c.m., riferivano al giudice di avere “interpellato  opportunamente” la portinaia dello stabile, come se in sostanza ne stessero raccogliendo, con la massima cautela del caso, le prime dichiarazioni.

Questa sorta di primogenitura delle dichiarazioni della portinaia dello stabile ai vigli urbani, è smentita dal fatto, del tutto ignorato sia nella saggistica che nelle successive disamine delle varie Commissioni parlamentari, che la signora Maria Santa Paolacci, classe 1920 – questi i dati anagrafici della portinaia di Via Sant’Elena 8 – era infatti stata già sentita con “esame di testimonio senza giuramento” il precedente 30 ottobre, cioè prima della nuova richiesta di indagine rivolta ai vigili il 2 novembre, proprio dal giudice Priore (CM-1, vol. 42, pag. 207 e segg.); con l’ulteriore appendice che la convocazione del giudice le era stata notificata proprio dai vigili urbani (CM-1, vol. 42, pagg. 203-206).

Si può poi aggiungere che la richiesta del 2 novembre da parte del giudice ai vigili di svolgere ulteriori indagini, come si è poc’anzi ricordato, aveva specificamente ad oggetto la ricerca di siti idonei a fornire ricovero ad autovetture. Non è quindi dato sapere in virtù di quale intuizione investigativa i vigili si risolsero invece a raccogliere le dichiarazioni de relato della portinaia su quanto le avrebbe riferito la Di Nola in ordine al suo allontanamento da Roma.

Certo, si potrebbe anche ritenere che al di là dell’ordinario formalismo degli atti di indagine, il giudice Priore potesse avere indicato ai vigili gli ulteriori accertamenti da compiere in base a mere intese verbali, e che i vigili ottemperarono all’incarico con l’opportuna riservatezza.

Resta però da capire, per prima cosa, perché Priore, se nutriva dei dubbi sulla deposizione della portinaia, non la convocò direttamente di nuovo davanti a sé stesso, invece di delegare i vigili urbani; e, per seconda cosa, resta da capire, se fu lui stesso ad indicare ai vigili l’ambito delle informazioni che essi avrebbero dovuto acquisire dalla portinaia, in base a quali elementi egli potesse attendersi che la signora Paolacci avrebbe potuto dichiarare proprio ai vigili, come in effetti avvenne,  circostanze sulla Di Nola che non aveva riferito a lui stesso il 30 ottobre.

Il fatto notevole, poi, è in ogni caso, a prescindere dalla scaturigine delle intuizioni investigative dei vigli, cioè se fossero state genuine oppure indotte dal giudice Priore, che per l’appunto, a quanto risulta, Priore non sembra aver avuto alcuna reazione allorché ebbe a disposizione questo rapporto dei vigili, dal quale risultava evidente che come minimo il precedente 30 ottobre, davanti a lui, la signora Paolacci era stata a dir poco non esauriente, per non dire reticente, e non risulta che il magistrato abbia chiesto lumi alla Paolacci neppure durante la sua nuova escussione di costei il 28 dicembre successivo.

Ed è, per l’appunto, con riferimento al contenuto delle dichiarazioni della signora Paolacci che il confronto del rapporto dei vigili in esame con le deposizioni da lei rese davanti a Priore crea i maggiori problemi di interpretazione.

Infatti, la signora Paolacci non riferì al magistrato, non solo il 30 ottobre, ma anche nelle due successive occasioni in cui risulta assunta a testimonio da Priore, nulla di simile a quanto invece riportato dai vigili urbani in ordine alla Di Nola (cioè del suo allontanamento da Roma durante il sequestro con indicazione di un recapito ove essere rintracciata in caso di interventi forzosi della polizia), descrivendo anzi un contesto diverso ed un allontanamento di costei, durante il sequestro, non già per la gran parte del periodo, bensì solo per pochi giorni, e per recarsi a Milano – non a Trevignano - come peraltro le avrebbe riferito la madre della stessa Di Nola (si leggano le tre deposizioni, anche per ulteriori dettagli, rispettivamente: come detto, il precedente 30 ottobre, CM-1, vol. 42, pag. 210; poi il 28 dicembre 1978, quindi ben dopo il rapporto di novembre che i vigili urbani avevano redatto per lo stesso giudice istruttore: CM-1, vol. 42, pag. 446 e segg.; ed infine il 10 febbraio 1979: CM-1, vol. 42, pag. 614.).

Non solo; la signora Paolacci aveva dichiarato al giudice anche un’altra circostanza incompatibile con un allontanamento prolungato della Di Nola da Roma durante il sequestro. La portinaia riferì infatti a Priore che Laura Di Nola aveva ricevuto alcuni telegrammi, almeno uno dei quali consegnatole personalmente e non tramite la portinaia stessa, proprio in concomitanza con alcuni momenti cruciali del sequestro (omettiamo in questa sede la disamina delle possibili questioni poste dalla testimonianza su questi telegrammi: peraltro, quelli disponibili agli atti non sembrano coincidere esattamente con i ricordi della signora Paolacci; questi i riferimenti: vol. 62, pag. 847 e segg. e pagg. 894-895; vol. 117, pag. 825; vol. 118, pagg. 165-166).

Nella seconda deposizione davanti a Priore, inoltre, la signora Paolacci fece solo riferimento ad alcuni movimenti delle persone da lei viste frequentare l’appartamento della Di Nola, riconoscendo tra le foto di persone sospette “terroriste” tale“Micoli” (sic; in realtà Nicoli) Rosa, che in effetti, come vedremo,  era già stata indicata su impulso di un’imprecisata “fonte confidenziale” nel quarto e ultimo rapporto del precedente 17 novembre, sul quale si tornerà tra breve, predisposto sempre per il giudice Priore dal dirigente dei Vigili Urbani, Francesco Russo,.

Nella sua terza ed ultima deposizione nuovamente davanti a Priore (per quanto disponibile agli atti), la portinaia di Via Sant’Elena 8 aveva reso alcune ulteriori dichiarazioni, verbalizzate in una manciata di righe, a proposito di un giovane visto frequentare l’alloggio all’interno 9, del tutto irrilevanti ai nostri fini.

Tirando le somme, quali che ne siano state le ragioni, ed almeno stando a quanto ufficialmente verbalizzato nelle varie occasioni, l’Ufficio Istruzione di Roma ritenne di non dovere  interrogare la signora Paolacci, nelle successive occasioni del 28 dicembre 1978 e 10 febbraio 1979,  in merito alle difformità emerse tra le dichiarazioni da lei rese ai vigili urbani nel novembre 1978 e quelle rese il precedente 30 ottobre allo stesso giudice, pur dovendo essere quelle stesse difformità ormai già note a Priore nel dicembre 1978 e nel febbraio 1979, in quanto destinatario a suo tempo del rapporto del mese di novembre di quell’organo di polizia giudiziaria.

A prescindere dal contegno del magistrato, resta ovviamente inalterata la possibilità che le dichiarazioni della signora Paolacci risultanti dal quel rapporto dei vigili della prima parte di novembre dei vigili, fossero del tutto veritiere.

Il problema è che la mancata conferma di quelle dichiarazioni davanti al magistrato contribuisce sostanzialmente ad eroderne  la portata e gli effetti, e conduce tuttora lo studioso a porsi alla fin fine piuttosto l’ulteriore interrogativo se i vigili urbani a novembre, da un lato, oppure il magistrato, per altro verso, nelle tre deposizioni innanzi a lui, acquisirono e riportarono correttamente, oppure no, le dichiarazioni loro rese dalla signora Paolacci nelle rispettive occasioni di incontro.

Vale la pena almeno solo accennare, infine, che l’obiezione “innocentista” avanzata da alcuni (V. Satta, op. cit., pag. 375 e 417)  rispetto all’eventuale ruolo di fiancheggiatrice dell’eversione di Laura Di Nola, basata sulla apparente e suggestiva irragionevolezza, per una estremista, all’atto di abbandonare la propria residenza, di lasciare il proprio recapito ad un’estranea facendo per di più riferimento ad eventuali interventi di forza della polizia, a nostro parere non ha pregio:

- primo, perché quelle dichiarazioni riportate de relato dai vigili non furono appunto in alcun modo oggetto di formalizzazione o precisazione davanti ad un magistrato;

- secondo, perché se si prendono in considerazione tutte le dichiarazioni della portinaia, incluse quelle rese a Priore  e che risultano, ad oggi, ignorate da tutta la pubblicistica, parrebbe di poter dire che proprio la custode dello stabile dia “un colpo micidiale” (per dirla con il Satta, pur rovesciando la direzione di queste parole) a quell’obiezione “innocentista”, visto che davanti al magistrato la signora Paolacci descrisse un ben diverso contesto, parlando tra l’altro proprio di un andirivieni non indifferente in quell’alloggio nel periodo del sequestro;  

- terzo, perché sul piano puramente logico quella suggestione innocentista si può totalmente ribaltare,  perché si potrebbe ipotizzare in linea generale (a prescindere cioè dalla personale vicenda della Di Nola) che il fatto che una persona appartenente a un gruppo eversivo comunichi al proprio portinaio (o a chiunque altro) – senza che costui, ovviamente, sappia che la persona appartenga effettivamente al gruppo eversivo-   un dato fortemente sensibile (un recapito, appunto, o la richiesta di essere avvisato in caso di intervento della polizia nell’immobile abbandonato) non esclude necessariamente che la persona appartenga effettivamente ad un gruppo clandestino, specie in mancanza, come nel caso di specie, di una conferma o di una precisazione davanti alla magistratura da parte del testimone che quelle dichiarazione avesse reso de relato come riferitegli dalla persona sospetta;  e che, anzi, una dichiarazione del genere possa valere come classica precostituzione di una patente di limpidezza da parte di chi la rende;

- quarto,  perché quelle presunte dichiarazioni della portinaia potrebbero essere state anche frutto di una non esatta sintesi, da parte dei vigili urbani, delle sue parole, le quali, per ipotesi malamente verbalizzate, e non ripetute né precisate davanti a un giudice,  hanno finito per  essere oggettivamente funzionali  a sorreggere  a posteriori una tesi “innocentista”; per intenderci, quale quella argomentata da Satta.

E’ fatta salva la diversa ed ulteriore ipotesi che più avanti proporremo.

Non possiamo esimerci tuttavia dal dovere di ricordare una volta ancora, come già si è fatto nell’introduzione, che Laura Di Nola (e il marito Raffaele De Cosa) non furono mai neppure indagati formalmente per il “caso Moro”.

Così come formalmente indagate non risultarono neppure Rosa Nicoli e Anna Buonaiuto, i cui nomi erano emersi dall’ultimo rapporto dei vigili urbani conosciuto, di cui si è già fatto cenno, databile con buon grado di verosimiglianza al 17 novembre 1978, che andiamo ad esaminare.

II)-3. L’ULTIMO RAPPORTO DEI VIGILI URBANI A PRIORE - 17 NOVEMBRE 1978

I vigili urbani avevano poi indirizzato a Priore un ulteriore rapporto, l’ultimo conosciuto, a firma del dirigente Francesco Russo (CM-1, vol. 62, pag. 867 e segg.).

Anche la data di questo rapporto è stata indicata genericamente nella pubblicistica, fino ad oggi, con il solo mese di novembre, molto probabilmente perché anch’essa, come nel caso di quella del rapporto sopra esaminato, è illeggibile sulla copia agli atti della CM-1.

Siamo tuttavia riusciti a ricostruirla in modo completo con sufficiente attendibilità, grazie alla numerazione manuale “5026”,  che si legge apposta in alto a destra della copia agli atti della CM-1, poiché abbiamo scoperto che quel numero corrisponde a quello che identifica questo atto a pag. 111 del faldone n. 640-01 degli atti acquisiti dalla CM-2, recante l’indice “degli atti completi relativi alle indagini e agli accertamenti svolti dalla Polizia Giudiziaria e dagli organi preposti su delega della A. Giudiziaria relativi alla strage di Via M.FANI e al sequestro dell'On.le Aldo Moro in data 16.03.1978 . (Copia indici atti del ed. MORO 1).”, indice nel quale l’atto stesso risulta datato per l’appunto al 17 novembre (cfr. l’immagine dell’indice che qui riproduciamo):


Tra l’altro, la datazione di questo rapporto consente di datare l’altro rapporto di novembre sopra esaminato approssimativamente tra un data successiva al 2 novembre (richiesta di ulteriori indagini da parte di Priore) ed una data antecedente a quella - 17 novembre - del rapporto in esame, in ragione della successione numerica della datazione apposta a queste pagine, che può presumersi corrisponda  alla cronologia dei documenti. L’altro rapporto di novembre è infatti numerato, in alto a destra, “4940” (CM-1, vol. 62, pag. 857 cit.).

Il rapporto dei vigili urbani in esame è il seguente:


Anche questo rapporto presenta alcune singolarità degne di nota.

Pur formalmente ricollegato dal suo estensore alle richieste di indagine dell’ufficio istruzione dell’11 settembre e del 2 novembre, in realtà i fatti oggetto di accertamento da parte dei vigili che esso riporta appaiono - come del resto nel caso del precedente rapporto, poc’anzi esaminato - per nulla aderenti a quanto formalmente richiesto dal giudice.

Questo rapporto presenta, piuttosto, notevoli analogie con il contenuto del rapporto del Sismi analizzato nella prima sezione, a dispetto della datazione di quest’ultimo al successivo 9 dicembre, e nonostante che l’impulso di questi ulteriori accertamenti sia in apparenza attribuito, dai vigili, a notizie apprese da una imprecisata “fonte confidenziale”.

Oltre al riferimento contenuto nel terzo capoverso alle richieste di accertamento sui dipendenti della X Circoscrizione del Comune di Roma, che evidenzia un possibile nesso con il “punto 2” del rapporto del Sismi che attestava la presenza di fiancheggiatori delle BR alle dipendenze del Comune stesso, ai fini che qui ci occupano è ancora più significativo il secondo capoverso, che si occupa espressamente della “attrice teatrale” Anna Buonaiuto.

Questo nominativo si trova infatti menzionato anche nel citato appunto del Sismi,  che aveva attestato – a detta di quel Servizio - una stretta relazione e frequentazione di (Bruno) Sermoneta – lo ricordiamo, già proprietario della Jaguar le cui chiavi erano state ritrovate in Via Gradoli il 18 aprile- con una “brigatista residente in via di S. Elena n. 8”, dove, sempre secondo il Sismi, era anche “stata più volte notata Buonaiuto Anna facente parte del gruppo in argomento”.

Particolarmente significativo è l’incipit, di questo secondo capoverso del rapporto dei vigili: “Per quanto invece concerne la Buonaiuto Anna….”.  L’utilizzo di questa formulazione da parte del suo estensore, lascia affiorare un implicito ma chiarissimo riferimento ad un preciso indirizzo di indagine, di cui non è affatto chiara l’origine, ricevuto e seguito dai vigili urbani, rivolto all’acquisizione di notizie anche sulla Buonaiuto,  dato che è evidente l’assenza di qualunque nesso logico e sintattico di quell’incipit con il capoverso precedente, nel quale si riferisce di una diversa frequentatrice dell’appartamento della Di Nola, individuata in Rosa Nicoli.

Di questo secondo capoverso è quindi necessaria una lettura ancora più incisiva rispetto a quella scaturente dalla mera analisi letterale, perché la sintassi di questa formulazione iniziale, per restituirle un senso compiuto, conduce in realtà a rintracciarvi, sia pure implicitamente, un riferimento non già alla Buonaiuto in sé considerata, ma al complessivo e specifico spunto di indagine che evidentemente doveva aver riguardato in generale almeno alcuni di coloro che erano stati individuati dalla “fonte” come frequentatori dell’appartamento della Di Nola, tra i quali sia la Nicoli (primo capoverso) che la Buonaiuto (secondo capoverso).

Pertanto, dato che ormai, a quella data (17 novembre), l’indagine era con ogni evidenza già indirizzata a ricercare elementi collegati o ricollegabili all’appartamento della Di Nola, e che i nomi sia di Anna Buonaiuto che di Rosa Nicoli non erano stati di certo fatti dalla portinaia di Via Sant’Elena né al giudice Priore il 30 ottobre (la Paolacci avrebbe parlato della Nicoli solo in seguito, nell’escussione del 28 dicembre) , né ai vigili urbani nel precedente rapporto di novembre, appare del tutto verosimile che quei nomi, ed in particolare quello di Anna Buonaiuto,  fossero in qualche modo già emersi non solo, ovviamente, prima che i vigili urbani si attivassero con gli ultimi accertamenti attestati dal rapporto del 17 novembre in esame, ma soprattutto tramite una fonte diversa dalla portinaia dello stabile ed altresì diversa ed ulteriore rispetto alla “fonte confidenziale” citata dai vigili all’inizio di questo stesso rapporto, dato che la specifica “fonte confidenziale” testualmente menzionata dai vigili nel primo capoverso era stata espressamente indicata unicamente come latrice delle notizie riguardanti la sola Rosa Nicoli.

In merito alla possibile esistenza di più fonti informative dei vigili urbani (o, forse, del magistrato che li aveva attivati), che si è appena ipotizzata, va inoltre posto in rilievo che il rapporto del Sismi, ufficialmente datato 9 dicembre, riferiva anche, in buona sostanza, le identiche circostanze in merito all’allontanamento della Di Nola e del marito dall’appartamento narrate dalla portinaia ai vigili urbani secondo quanto da questi riportato nel loro precedente rapporto di novembre; il rapporto del Sismi infatti così si pronunciava in merito:  “Al tempo della vicenda Moro, gli occupanti dell’appartamento (Di Nola e De Cosa: nda) si allontanarono da Roma per evitare perquisizioni e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano sito in Via Garibaldi.”.

Tornando quindi alla questione posta al termine della prima sezione, cioè dire se l’autonomia di strade percorse senza intersecarsi dalle indagini del Sismi, da un lato, e dell’autorità giudiziaria con l’ausilio dei vigili urbani, dall’altro, fu reale o viceversa solo apparente, ci sembra si possa ipotizzare, ferma la mancanza di qualsiasi altro riscontro documentale in merito, che forse – sottolineiamo, forse - quel parallelismo fu solo apparente e che le due strade, invece, si incrociarono.

Ciò in quanto, sempre nei limiti degli atti per noi disponibili e qui esaminati, a rigor di logica le ipotesi possibili sono tre, e due di esse implicano un contatto tra le due vie; e cioè che: a) o i vigili urbani e il Sismi ebbero ciascuno una o più fonti rispettive, che del tutto autonomamente condussero i due Uffici a risultati analoghi; b) oppure il Sismi fu informato dei risultati delle indagini da parte dei vigili urbani, o comunque se ne avvalse; c) oppure, viceversa, furono i vigili urbani ad essere messi su quella pista, con tanto di nomi e circostanze, dal Sismi.

Ipotesi quest’ultima che - fatta salva sempre la possibilità che emerga un giorno dagli atti un diverso ed antecedente rapporto del Sismi - condurrebbe necessariamente a dover retrodatare l’appunto di Cogliandro rispetto al 9 dicembre, visto che i rapporti dei vigili sono compresi tra il 16 settembre e il 17 novembre.

Esiste infine, almeno sul piano logico, una ulteriore, possibilità, forse maliziosa ma dagli scopi comunque giustificabili, sulla quale ovviamente manca qualsiasi riscontro fattuale: e cioè che stante il fatto che la portinaia, in ben tre occasioni, non aveva fatto alcun cenno all’allontanamento della Di Nola dal suo appartamento – in ogni caso, non almeno nei termini in cui la stessa Paolacci aveva invece riferito tale circostanza ai vigili urbani - questa specifica informazione in realtà possa essere stata riferita ai vigili urbani, a dispetto delle risultanze del loro rapporto, non già dalla portinaia, bensì da una “fonte” che doveva rimanere celata.

In definitiva, il quadro che emerge dai rapporti dei vigili urbani che si sono analizzati - la tempistica repentina della prima segnalazione al magistrato dell’edificio di Via Sant’Elena, le presunte dichiarazioni rese ai vigili dalla portinaia senza che però costei le abbia mai ripetute a Priore, la mancanza di qualsiasi riferimento nominativo a specifiche persone da parte della portinaia, l’emersione testuale e logica di almeno una “fonte” imprecisata, le analogie con il rapporto del Sismi, formalmente successivo – ci induce a dover formulare una nuova, ulteriore ipotesi, e cioè che gli spunti di indagine che furono seguiti potessero derivare da almeno una “fonte”, ad oggi sconosciuta,  verosimilmente in stretto contatto con le persone individuate e con l’appartamento della Di Nola. 

Il corollario dell’ipotesi che abbiamo appena proposto, è che allora le sommarie e generiche indicazioni fornite da Mortati forse potrebbero avere avuto il minor ruolo di costituire un indizio della bontà di spunti di indagine già informalmente attivatesi in precedenza, e che quindi, di riflesso, esse siano state fino ad oggi sopravvalutate anche in tutta la saggistica che si è occupata della vicenda.

Siamo, naturalmente, nel campo delle ipotesi, che forse il magistrato avrebbe dovuto meglio vagliare all’epoca dei fatti, ed i documenti ad oggi disponibili non ce ne forniscono purtroppo alcun riscontro oggettivo.

III)- SU ANNA BUONAIUTO E ROSA NICOLI

Il nome di Anna Buonaiuto era peraltro già emerso agli atti (CM-1, vol. 33, pagg. 539 e segg.)  allorché già il 7 settembre la Digos aveva trasmesso all’Ufficio Istruzione di Roma una nota con la quale segnalava che nel portafoglio smarrito e poi ritrovato ad Udine, risultato appartenente a costei, era stato ritrovato un volantino con il quale si denunciava il comportamento delle autorità nei confronti di Triaca e compagni, arrestati come noto a Roma circa una settimana dopo l’omicidio di Aldo Moro in occasione della scoperta della tipografia brigatista di Via Pio Foà.

La nota della Digos peraltro si limitava a riportare sinteticamente le generalità della Buonaiuto, la sua professione di attrice e la sua effettiva abitazione, risultata essere situata a Roma, in Via dei Banchi Nuovi n. 49 (come poi avrebbero riferito anche i vigili urbani nel loro ultimo rapporto del 17 novembre), senza alcun riferimento a Via Sant’Elena; è pertanto assai poco verosimile – in mancanza di altri atti disponibili- che questa nota della Digos sia stata l’origine della repentina individuazione da parte dei vigili urbani dell’edificio in Via Sant’Elena 8 quale edificio “sospetto” di identificarsi con uno di quelli descritti da Elfino Mortati nel luglio precedente.

Resta tuttavia l’evidente singolarità della coincidenza –non si può definire altrimenti, in mancanza di qualsiasi dato ulteriore – del ritrovamento di un portafoglio appartenuto proprio da Anna Buonaiuto in concomitanza con l’attivazione delle ricerche, tra il luglio e, appunto, il settembre 1978, delle “basi” eversive romane nel ghetto. Contenente un volantino acquisito a Roma, ma smarrito a Udine.

Infatti, secondo il saggio “La recita della Storia- Il caso Moro nel cinema di Marco Bellocchio”, di Anton Giulio Mancino, ed. Bietti Heterotopia, 2014, nell’audizione della Buonaiuto acquisita dagli ausiliari della Commissione Stragi, tra breve esaminata, e che risulterebbe allegata alla “Annotazione Giraudo” del 7 febbraio 2001, a proposito di quel volantino costei aveva dichiarato che «le era stato consegnato, così come ad innumerevoli altre persone, di fronte al Bar NAVONA nell’omonima piazza, da un giovane sul quale non era stata in grado di fornire particolari. Aveva conservato il volantino per la ricchezza di errori di ortografia che lo caratterizzavano».

A parte l’ovvia ed indiscussa legittimità dell’acquisizione e conservazione di un volantino consegnatole sulla pubblica piazza, la non richiesta precisazione da parte della Buonaiuto dei motivi della conservazione di quel volantino stride con l’evidenza del fatto che quel volantino di “errori di ortografia” non ne presentava affatto.

La copia del volantino in questione, allegata alla citata nota della Digos, è visibile in CM-1, vol. 33, pag. 540.

Tornando allo specifico tema di nostro interesse, in ordine alle escussioni di Anna Buonaiuto si rinvengono solo alcune scarne informazioni nel saggio citato di Scè e Bonfigli.

Stando ai due ex consulenti della Commissione Stragi, la Buonaiuto fu interrogata dai Carabinieri l’8 agosto 2000 (dunque ben 22 anni dopo i fatti) – presumibilmente nell’ambito dell’attività della stessa Commissione parlamentare – limitandosi ad affermare di ricordare di essere stata probabilmente interrogata nei primi anni ’80 dal giudice Sica in merito alla vicenda del volantino poc’anzi ricordata, di non avere mai frequentato l’appartamento di Via Sant’Elena e di non avere mai conosciuto i coniugi Di Nola e De Cosa; quanto all’eventuale conoscenza con quest’ultimo, Scè e Bonfigli (“Il delitto infinito…”, cit., pag. 197)  scrivono testualmente: ”La Buonaiuto ha affermato di non avere mai conosciuto né la Di Nola, né De Cosa, però quest’ultimo, pur non potendo fissare temporalmente il ricordo, ne rammenta il nome”.

Quindi, a quanto sembra, De Cosa, audito pochi giorni prima della Buonaiuto, avrebbe invece affermato che quel nome non gli era estraneo.

La Buonaiuto ricordava, tuttavia, di avere frequentato la storica vineria di Campo dé Fiori (nella quale peraltro Mortati aveva dichiarato di avere incontrato la tale “Anna” cui si è fatto cenno che gli avrebbe fatto da guida nella sua latitanza romana) e di avere conosciuto Rocco Ugo Bevilacqua, inizialmente arrestato per il sequestro Moro ma poi rilasciato (“Il delitto infinito…”, cit. pagg. 196-197).

Sempre stando ai due ex consulenti della Stragi, inoltre, nel corso degli accertamenti svolti in relazione all’omicidio del colonnello Antonio Varisco, la Buonaiuto compariva assieme a Raffaele De Cosa nell’elenco delle persone identificate nel Palazzo Antici-Mattei (precisamente, durante la perquisizione, tra gli altri, dell’architetto Enrico Cassia, il cui nome salì poi all’onore delle cronache nel corso dei lavori della stessa Commissione Stragi in ordine alla presunta disponibilità da parte sua di un ufficio in quel palazzo che sarebbe risultato nella disponibilità del Sisde, a quanto pare tuttavia dopo la conclusione del sequestro Moro; “Il delitto infinito”, cit. pagg. 165-166).

Corre l’obbligo di ricordare nuovamente che Anna Buonaiuto- nel frattempo divenuta, non da ora, una delle più note ed apprezzate attrici italiane, dotata di grande versatilità che la porta ad interpretare con eguale bravura sia ruoli impegnati che brillanti- non fu comunque mai neppure indagata per presunta appartenenza ad organizzazioni eversive.

Per una compiuta ricostruzione storica, si deve tuttavia parimenti tenere presente l’esistenza agli atti, stando ai due autori citati, solamente delle sue due menzionate escussioni, la seconda delle quali in epoca assai lontana dai fatti.

Quanto a Rosa Nicoli, sempre secondo Scè e Bonfigli – i quali a loro volta rinviano alla relazione “Elfino Mortati” del magistrato Libero Mancuso per la Commissione Stragi- la Nicoli subì solo una perquisizione il 13 luglio 1979 (“lo stesso giorno in cui veniva perquisito De Cosa”), rimasta di fatto senza esiti ulteriori anche per quanto concernette la denuncia da lei subìta in quell’occasione per detenzione illegale di una pistola lanciarazzi; dopo di che, costei fu ascoltata dal ROS solo nell’ottobre del 2000, circostanza nella quale smentì di essere stata amica della Balzerani, ed ammise solo di essersi recata con Laura Di Nola ed altre persone a Trevignano Romano (“Il delitto infinito”, cit. pag. 195).

Anche di Rosa Nicoli non risulta sia mai stata giudizialmente accertata l’appartenenza alle Brigate Rosse, come rileva Vladimiro Satta (“Odissea…”, cit. pag. 397, in conclusione della nota n. 109).

Pur ovviamente nell’ottica di una ricostruzione meramente storica dei fatti, resta da capire tuttavia per quale ragione non risulti agli atti alcun reale approfondimento di indagine su Rosa Nicoli nell’immediatezza dei fatti, specialmente dopo le rivelazioni della “fonte confidenziale” ai vigili urbani riportate nel loro verbale del 17 novembre, e soprattutto non è dato purtroppo conoscere in base a quali elementi, evidentemente già a disposizione degli inquirenti, la fotografia della Nicoli fu mostrata dal giudice Priore tra quelle di varie “donne sospette di terrorismo” (CM-1, vol. 42, pag. 447) alla portinaia di Via Sant’Elena, la quale, come si è visto, la riconobbe come frequentatrice di quell’appartamento nel corso del suo esame testimoniale del 28 dicembre 1978.

D’altronde, lo ripetiamo, è, questa della signora Paolacci, assieme alle altre due da lei rese allo stesso Priore, una testimonianza di cui non c’è alcuna traccia nella saggistica in genere: neanche nel citato volume di Satta.

IV) SU LAURA DI NOLA E RAFFAELE DE COSA

La signora Paolacci, in ultima analisi, è rimasta ad oggi, suo malgrado, l’unica persona espostasi con personale coinvolgimento, nella veste - non sempre comoda - di testimone, a complemento del nocciolo informativo prodotto dalla polizia giudiziaria- dei vigli urbani in particolare- e dalla magistratura, in quei mesi conclusivi del 1978.

Si, perché se ovviamente desta qualche interrogativo la mancanza di accertamenti immediati sulle altre persone sopra citate, resta incomprensibile la mancata escussione immediata di Laura Di Nola e Raffaele De Cosa, stando almeno alle risultanze delle fonti ufficiali liberamente fruibili e alla saggistica, nelle quali non c’è traccia o notizia di un loro esame tempestivo nonostante i sospetti di cui essi erano stati - a torto o a ragione, ai fini di questo saggio non conta- palesemente fatti oggetto.

Non si comprende in particolare che cosa si sia aspettato ad ascoltare almeno in veste di testimoni Laura Di Nola ed il marito Raffaele De Cosa già dopo il secondo rapporto dei vigili urbani del 20 settembre, nel quale era ormai chiara la disponibilità da parte loro di quell’appartamento, a quell’altezza cronologica ormai era chiaramente giudicato “sospetto” quanto meno sul piano indiziario.

Visti gli esiti, è francamente difficile giustificare la loro mancata escussione con l’esigenza di non compromettere la segretezza delle indagini.

Neppure il decesso della Di Nola, avvenuto il 7 luglio 1979, come è evidente può costituire un pretesto per la sua mancata escussione, dati i circa dieci mesi trascorsi dal primo rapporto dei vigili urbani al magistrato (16 settembre 1978).

Mai assunta formalmente, a quanto consta, in atti giudiziari, tutte le notizie su di lei, per quanto riguarda il suo impegno di saggista, femminista e di sostegno alla cultura omosessuale, derivano anche da fonti aperte agevolmente rinvenibili in rete per chiunque (e sulle quali pertanto qui non ci attardiamo), mentre per quanto concerne altresì la specifica vicenda che ci occupa sono ricavabili, dati i limiti delle nostre possibilità di ricerca, in mancanza di atti disponibili, solo dalla pubblicistica, ed affiorano essenzialmente dalle dichiarazioni rese dall’ex marito nelle rarissime sue deposizioni ufficiali nonchè, indirettamente, da alcuni appunti delle forze di polizia sul De Cosa stesso - tratti dalla pubblicistica - che incidentalmente tratteggiavano anche taluni aspetti della figura della moglie.

Il che implica la necessità, in questa sede, di trattare talvolta congiuntamente le vicende dei due coniugi.

Sintetizzando alcune informazioni tratte dalla citata opera di Scè e Bonfigli (“Il delitto infinito…”, cit. pagg. 188 e segg.), risulta che il De Cosa venne arrestato il 14 luglio 1979 (una settimana dopo la morte della moglie) per possesso illegale di alcune pistole, sequestrate con altro materiale presso il suo luogo di lavoro in Via di Ripetta n. 71, mentre in Via di Sant’Elena 8 vennero ritrovate due macchine da scrivere Olivetti (di cui una a testina rotante) e vari esemplari di quotidiani tutti del periodo del sequestro Moro.

Il 5 maggio precedente, un fonogramma dei carabinieri, che faceva seguito ad una segnalazione del Ministero dell’Interno in pari data che riferiva che “il noto De Cosa Raffaele…starebbe partecipando ad una fase preparatoria” per un attentato al Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, aveva allertato le sezioni anticrimine su questo possibile attentato.

Inoltre, stando ai due consulenti della Commissione Stragi, a questa notizia del possibile attentato era allegato un altro appunto, senza data nè intestazione, che tratteggiava la figura di De Cosa in alcuni punti, dei quali ai nostri fini quelli più salienti erano i seguenti: a) De Cosa era definito un presunto appartenente alle Brigate Rosse; b) Laura Di Nola veniva indicata come espulsa dal PCI e vicina all’area dell’autonomia operaia; c) si ricordava che nel periodo del sequestro Moro il loro appartamento di Via Sant’Elena 8 era stato punto di incontro di elementi dell’ultrasinistra tra i quali Rosa Nicoli, collaboratrice della X Circoscrizione, “forse amica della nota Balzerani Barbara” (circostanza questa poi smentita dalla Nicoli nel 2000, come si è detto sopra); d) De Cosa sarebbe stato in passato l’amante della nota “nappista” Franca Salerno; e) da alcune altre circostanze evidenziate, si supponeva che la “fonte” di queste informazioni abitasse nella zona di Via Sant’Elena, avendo riferito alcuni fatti che presupponevano un riscontro visivo diretto delle cose descritte.

Queste notizie erano state unite al fascicolo di De Cosa esistente presso il Ministero dell’Interno, nel quale risultava una richiesta dell’Ucigos alla Digos di “complete informazioni e foto di De Cosa perché sospettato di appartenere alle BR” (così il testo citato, pag. 189) , datata al 30 maggio 1978, quindi da ben prima (la considerazione è nostra) che – apparentemente solo in esito all’arresto di Mortati- si avviasse la congerie di accertamenti richiesti dall’autorità giudiziaria nel ghetto di Roma.

L’archivio centrale del Sisde – il servizio segreto civile- inoltre- era risultato depositario di altri atti concernenti De Cosa: tra gli altri, una scheda contenente alcuni contatti di De Cosa nel cui novero- oltre ai già noti Rosa Nicoli, Franca Salerno, Barbara Balzerani e Marco Ligini (sulla cui figura si rinvia a varie fonti aperte, anche in rete: esponente della “nuova sinistra”, è risultato tra gli autori del noto libro “La Strage di Stato”, controinchiesta del 1970, di enorme successo, sulla strage di Piazza Fontana), ne risultavano altri di cui non era dato comprendere “la scaturigine”, tra i quali quello di maggior interesse, a posteriori, risulta essere quello di Giuliana Conforto, di lì a poco risultata ospite dei latitanti Valerio Morucci e Adriana Faranda, arrestati presso di lei il 29 maggio del 1979.

Il fatto che quella scheda attestasse espressamente che alla data, evidentemente, di sua redazione non fosse possibile “comprendere la scaturigine” di alcuni di quei nomi, tra i quali quello della Conforto, pare dimostrare che il contatto di De Cosa con la Conforto fosse emerso da data antecedente all’arresto dei due brigatisti fuggitivi. In tal senso sembra esprimersi anche il saggio in questione di Scè e Bonfigli, i quali si riferiscono alla Conforto come “futura ospitante” (rispetto quindi alla data di quella scheda del Sisde) dei due brigatisti latitanti (op. cit. pag. 190).

Per la precisione, il saggio in esame riporta in forma sintetica la relazione, ad opera dello stesso Silvio Bonfigli per la Commissione Stragi, redatta anche sulla base delle indagini dell’ufficiale ausiliario Massimo Giraudo, ultimata il 27 febbraio 2001, come si rileva dal saggio “Delitto Moro- carte nascoste”, ed. Kaos, 2022, pagg. 803 e segg, e in particolare pag. 812, cui comunque si rinvia per ulteriori e più estesi riferimenti.

Vladimiro Satta, nel suo più volte citato saggio, evidenzia correttamente che i consulenti della Commissione Stragi, Scè e Bonfigli, non forniscono gli eventuali esiti giudiziari né dell’arresto di De Cosa per la presunta detenzione illegale di armi, né dell’accusa di avere partecipato all’organizzazione di un attentato contro Giulio Andreotti (op. cit. pagg. 396-397, nota 109).

Tuttavia nelle proprie argomentazioni Satta omette di ricordare che i citati consulenti parlamentari avevano anche menzionato quella richiesta di informazioni e foto su De Cosa rivolta dall’Ucigos alla Digos già il 30 maggio 1978, ben anteriore all’arresto di Mortati, che per quanto generica si riferiva a De Cosa come “sospettato di appartenere alle BR”.

Satta inoltre riferisce (op. cit. pag. 396, nota 93) che “Raffaele De cosa, ascoltato in epoca recente (rispetto all’edizione del saggio di Satta: nda) dagli inquirenti, respinge le accuse legate all’appartamento di via Sant’Elena, dal quale si trasferì intorno al 1986”.

Ovviamente, come è evidente, il fatto di essersi trasferito da Via Sant’Elena nel 1986 non ha alcun rilievo in ordine agli eventi del 1978.

Egli in effetti dichiarò questa circostanza nel corso della sua deposizione, finalmente acquisita, in ordine agli elementi emersi sulla sua ex residenza, solamente il 2 agosto 2000; quindi anche per lui, come per la Buonaiuto, 22 anni dopo i fatti, e nel medesimo contesto di indagine, quello della Commissione Stragi.

De Cosa per la precisione dichiarò di essersi trasferito attorno al 1986 da Via Sant’Elena  con la sua seconda moglie.

Incidentalmente, possiamo dire che la signora si chiamava Bruna Masarova, era cittadina dell’allora Cecoslovacchia, e risulta ormai purtroppo deceduta in epoca recente.

Dalle ricerche sugli atti disponibili, non è emersa alcuna audizione dell’epoca della signora, eppure appare strano che ciò non sia avvenuto (anche perché assai difficilmente una moglie ignora la personalità del marito). Ragion per cui l’auspicio è che una deposizione di costei esista (presumibilmente, per analogia di tempistica con quella del marito, in Commissione Stragi), e, in caso affermativo, sia resa presto disponibile per gli studiosi.

E’ noto invece – traendo le informazioni che stiamo per riportare sempre dalla saggistica in materia- quanto De Cosa dichiarò, in quell’audizione, sulla sua ex moglie Laura Di Nola.

Infatti, sempre stando alle risultanze della menzionata relazione di Silvio Bonfigli per la Commissione Stragi, sarebbe risultato che “Sulla base delle informazioni acquisite dai carabinieri del ROS è possibile affermare che la Di Nola all’epoca dei fatti fosse inserita in un contesto di intelligence israeliana. Depongono in tal senso le interessantissime indicazioni fornite dal marito Raffaele De Cosa ai carabinieri in data 2 agosto 2000” (“Delitto Moro- carte nascoste”,cit. pag. 813).

In sintesi, Raffaele De Cosa confermò l’origine israelita della ex moglie (d’altronde, va osservato che a tal fine la conferma di De Cosa non sarebbe stata a rigore neppure necessaria), dichiarando di essersi recato con lei in Israele nell’agosto 1968, dove Laura Di Nola a suo dire si era già recata in un’altra occasione sei mesi prima di quel viaggio comune, e dove la stessa aveva dei parenti.

Con la richiesta di massima riservatezza a chi lo stava interrogando, De Cosa riferì poi che Laura Di Nola era stata in sostanza in rapporto con la nota rete di ricerca dei criminali nazisti eclissatisi nel marasma esistente al termine della seconda guerra mondiale, creata da Simon Wiesenthal, specificando che la moglie era molto riservata e che l’occasione della confidenza fu la ricerca di un criminale nazista che era stato poi arrestato nel 1970 (ibid.).

La relazione di Bonfigli riportava altresì che i carabinieri del ROS, nel corso di un altro contesto di indagine pendente, avevano verificato che proprio durante gli anni ’70 il Mossad usava reclutare propri collaboratori anche tra persone collegate alla rete Wiesenthal (ibid. pag. 814)

Risultava inoltre che la Di Nola collaborasse con una rivista di cultura israelita, “Shalom”, e che il padre, negoziante di drapperie e tessuti, aveva un ufficio di rappresentanza a Piazza Paganica (ibid.), alle spalle di Via Sant’Elena.

La collaborazione della Di Nola con la citata rivista “Shalom” risulta accertata; ad esempio a questo sito https://www7.tau.ac.il/omeka/italjuda/files/original/3d6111175254a28bd94638f6daa5ef1e.pdf; a pag. 119 del documento, si rinviene un trafiletto “anonimo” che il 13 luglio 1979, una settimana dopo la sua scomparsa, annunciava il “lutto in redazione” per la morte della Di Nola.

Come si ricorderà, poi, l’appunto del Sismi formalmente datato al 9 dicembre 1978, indicava un rapporto di amicizia tra “una brigatista residente in via di S. Elena n. 8” (cioè Laura Di Nola) ed un’altra persona israelita, Bruno Sermoneta (anche lui commerciante nel ramo dei tessuti, già proprietario della Jaguar le cui chiavi erano state ritrovate nel covo brigatista di Via Gradoli).

Qualche ulteriore notazione si trare dal libro della giornalista e saggista Rita Di Giovacchino (anche lei purtroppo deceduta nel 2021), “Il libro nero della Prima Repubblica”, ed. Castelvecchi, pag. 256 e segg. Riportiamo testualmente:

“All’epoca la De Nola (sic; in realtà Di Nola), diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, lavorava come documentarista. Dall’inchiesta (quella commissionata al ROS dalla Commissione Stragi: nda) emerge la figura di una donna inquieta, introversa, alla ricerca di un’identità politica: espulsa dal PCI, ha gravitato per qualche tempo nei circoli femministi della Maddalena (omonima via di Roma: nda), poi si è avvicinata ad Autonomia, infine è entrata nel FUORI, l’organizzazione di liberazione omosessuale candidandosi nel Partito Radicale. In questo periodo sembra che Laura abbia riscoperto il suo ebraismo…”.

Dobbiamo naturalmente precisare che tutti gli elementi di cui sopra non costituiscono, di per sé soli, una prova che la Di Nola fosse realmente inserita “in un contesto di intelligence israeliana”, per dirla con il consulente della Commissione Stragi.

A questo link un suo articolo dell’epoca, preceduto da un breve riepilogo della sua vicenda:

http://www.leswiki.it/1976-laura-di-nola-unesperienza-del-fuori-romano/

In merito alla morte di Laura Di Nola, la Di Giovacchino avanzava un’ipotesi potenzialmente assai grave, senza recare a supporto alcun riferimento informativo e, soprattutto, senza che a quanto pare nessuna autorità abbia mai ritenuto di ascoltarla in merito.

Ha scritto infatti l’autrice (la sottolineatura è nostra): “…sembra che sia morta di cancro nell’estate del ’79. Non si esclude però che possa essere stata allontanata e magari avere trovato rifugio in Israele, dove aveva parenti e amici”.

Senza voler creare misteri in proposito, riportiamo comunque che la bizzarria delle ricerche su quanto liberamente reperibile in rete, può condurre ad individuare finanche quanto emerge al link qui di seguito:

https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:%C2%A7%C2%A7Di_Nola,_Laura_(1932-2004)_-_foto_di_Massimo_Consoli.jpg

Si tratta di una foto riconducibile al blogger e fotografo Massimo Consoli (che si trova citato anche nel documento di cui al link poco prima riportato).

Stando a questa sorta di estratto in inglese di quella pagina su Laura Di Nola, come si vede, sembrerebbe doversi desumere che si indichi come data della sua morte il 2004 (dato che l’altro anno indicato, cioè il 1932, corrisponde esattamente a quello della sua nascita).

Anche Massimo Consoli, a sua volta attivista dei movimenti omosessuali, risulta purtroppo deceduto nel 2007:

https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Consoli

Sarà pertanto impossibile sciogliere con l’ausilio della Di Giovacchino o di Consoli i nodi delle affermazioni della saggista e della data indicata quale presumibile anno di morte della Di Nola nella pagina inglese appena riportata, tanto più considerando che invece dall’introduzione dell’articolo del 1976 sul “FUORI romano”, di cui al link poco sopra indicato, si desume chiaramente che il sito dello stesso Consoli riportava quale data di morte quella ufficiale, cioè il 7 luglio 1979.

Al link seguente è invece disponibile la commemorazione trasmessa a suo tempo da Radio Radicale per la morte della Di Nola; l’audio è tuttavia pessimo, se non totalmente impercettibile:

https://www.radioradicale.it/scheda/582/morte-di-laura-di-nola

Laura Di Nola, come abbiamo già detto, non ha mai subito alcuna imputazione di appartenenza o fiancheggiamento delle Brigate Rosse nè di altra organizzazione eversiva.

Non si può dire se e quanto, sulla sua vicenda, abbia inciso, oppure no, il decesso, ufficialmente così repentino rispetto allo svolgimento dei fatti.

Tuttavia si può ribadire che rimane del tutto inspiegabile il fatto che lungo tutti i dieci mesi trascorsi tra il settembre 1978 e il luglio 1979 Laura Di Nola non sia mai stata escussa neppure una volta dall’autorità giudiziaria.

V) BREVI CONSIDERAZIONI E QUESTIONI APERTE IN MERITO ALLE INDAGINI SU VIA SANT’ELENA

Tirando le fila di quanto si è sin qui esposto, preme rammentare prima di tutto alcune questioni che restano aperte.

Tentando di non ripeterci oltre lo stretto necessario, la prima questione che si rilevata è, come si è esposto, se sia esistito un rapporto, e se si con quale direzione e quale scansione cronologica, tra le indagini del Sismi e quelle dei vigili urbani.

In mancanza di altri documenti ufficiali, bisogna poi anche chiedersi se per avventura anche le “fonti” di questo ente si attivarono dopo e per effetto delle confessioni di Mortati, oppure se si attivarono autonomamente; in questo secondo caso, che stando al poco che risulta disponibile sembra il più probabile, occorre allora chiedersi quando, in realtà, si attivò il Sismi: e cioè se dopo l’omicidio di Moro o se, come ritenuto da una parte della pubblicistica citata (Scè e Bonfigli, Flamigni), già durante il sequestro. Non è tuttavia questa la sede in cui affrontare questo specifico dubbio.

Abbiamo poi avanzato una nuova ipotesi, e cioè che rispetto alle indagini oggetto di questa ricerca le dichiarazioni di Mortati possano al più avere costituito una conferma di sospetti già informalmente in corso di verifica al tempo del suo arresto, e, soprattutto, che lo sviluppo di quelle indagini possa essersi fondato anche sulle informazioni  di almeno una “fonte” vicina alle persone e ai luoghi oggetto degli accertamenti stessi.

Un punto, in ogni caso, ci pare sia affiorato in modo incontestabile, e cioè che pare assai difficile che i vigili urbani siano stati così bravi e fortunati da individuare in settembre, con tanta rapidità, proprio l’appartamento dei coniugi Di Nola e De Cosa come appartamento fortemente sospetto, solo sulla scorta delle sommarie descrizioni di Mortati; quel Mortati omicida del notaio Spighi che, tra l’altro, nel 2001 trasformerà improvvisamente, ed in modo difficilmente attendibile, la “Anna” che gli aveva fatto da guida nella sua latitanza romana nel 1978 niente meno che in un uomo (per brevità si ritiene di non poter affrontare in questa sede la specifica traiettoria seguita nel corso di oltre venti anni da Elfino Mortati, tutto sommato irrilevante ai fini della presente ricerca, posto che, in sintesi, se tale parabola ha un rilievo, pare proprio averlo nel senso di una assai sospetta retromarcia dell’omicida rispetto alle proprie dichiarazioni del 1978).

In questo senso, ci sembra che Vladimiro Satta, nella sua opera citata e alla quale rinviamo per i dettagli, non colga nel segno là dove ritiene di poter annientare la consistenza della “pista” di Via Sant’Elena 8 quale uno dei luoghi indicati dal Mortati come punto di riferimento del suo “periodo romano”, in base alla “derubricazione” del Mortati stesso a (per dirla con l’uomo della strada) “cane sciolto” e comunque estraneo all’organigramma delle Brigate Rosse.

Il punto, lo si è detto, a nostro avviso non è questo. Perché se Mortati fu un mitomane, o un esaltato, o entrambe le cose, e se, come ulteriore elemento critico- sul quale, sia chiaro, conveniamo - la sua descrizione dei luoghi fu effettivamente sommaria e generica, a maggior ragione ci si deve chiedere, come abbiamo fatto noi, come mai i vigili urbani di Roma furono tanto bravi e rapidi ad individuare proprio Via Sant’Elena quale edificio fortemente sospetto prima e a prescindere da qualunque riscontro dell’attendibilità di Mortati e della “qualità” della sua collocazione all’interno dell’eversione organizzata.

Dubbio, questo, che invece Satta non pone, e non si pone, affatto.

A prescindere dagli esiti giudiziari irrisolti di quelle indagini, in esito alle quali stando alle risultanze fino oggi acquisite si ha tuttora il dovere di considerare estranei ai fatti Laura Di Nola, il marito, Anna Buonaiuto, Bruno Sermoneta, Rosa Nicoli, e le altre persone inizialmente identificate, quello che interessava far rilevare ai fini di questo saggio, è il dato incontestabile  costituito dai forti sospetti  sul quell’ambiente che caratterizzò concretamente l’azione degli inquirenti.

Pertanto, se per gli inquirenti dell’epoca Laura Di Nola e Raffaele De Cosa potevano essere sospettati di essere il punto di riferimento di un intero gruppo di persone a loro volta sospettabili di essere parte di una cellula eversiva, si sarebbe dovuto indagare a più ampio raggio, osservandone spostamenti, orari, eventuali proprietà immobiliari ed eventualmente chi le occupasse e a quale titolo. Anche oltre i confini del ghetto di Roma, come abbiamo anticipato nell’introduzione di questo saggio.

Cosa che non risulta sia avvenuta, neppure, in seguito, nell’ambito del giornalismo, della saggistica e nei lavori di ben tre Commissioni parlamentari di inchiesta (CM-1, Stragi, CM-2).

Eppure, quello che si era andato concretizzando fu un clima di sospetto, nel caso del Ghetto ormai tardivo – o tardivamente palesatosi -  rispetto al tragico esito della vicenda, a ben vedere analogo a quello che viceversa caratterizzò l’area della Balduina fin dalle prime ore successive al sequestro di Moro, allorché, nella fase iniziale, si tentò inutilmente di individuare in quella zona di Roma, se non la prima prigione di Moro, quanto meno uno o più luoghi di primo ricetto sicuro, per quanto probabilmente di rapido transito,  per alcuni dei sequestratori e/o per le auto utilizzate nell’operazione.

E’ un percorso ideale lungo il filo conduttore segnalatoci dalla presenza costante del barlume del sospetto, che richiede, ora, di ritornare alla Balduina, compiendo un tragitto a ritroso nel tempo e nello spazio, cioè dire dai luoghi e dal tempo della fine della vicenda del sequestro Moro, verso i luoghi e il tempo del suo inizio.

VI) -  ROMA, 1978. LE INDAGINI E LE SEGNALAZIONI DEI PRIMI GIORNI DEL  SEQUESTRO.

Senza poter analizzare in questa sede alcuni punti critici sollevati (anche) dal rapporto del dirigente del commissariato Montemario, Commissario Marinelli, di cui si è fatto cenno nell’introduzione, redatto per il  Questore di Roma già il 17 novembre, a seguito di imprecisati “ulteriori accertamenti compiuti in esito alle anticipazioni del quotidiano “Il Tempo” del 15 novembre in merito all’articolo dello scrittore Di Donato “Cristo nella plastica”, si possono comunque rilevare due particolarità del suo contenuto, già accennate.

La prima, è che gli“ulteriori accertamenti” cui  Marinelli aveva fatto riferimento, dato il lasso temporale di meno di quarantotto ore intercorso tra le anticipazioni del quotidiano romano e la redazione del suo rapporto, si deve presumere che fossero stati svolti tempo prima ed a prescindere dall’articolo romanzesco dello scrittore italo-americano.

Di questi “ulteriori accertamenti” per inciso non risulta che sia stato prodotto alcun riscontro documentale, né risulta che l’ufficio istruzione di Roma, al quale la Digos aveva trasmesso la nota del commissario Marinelli con nota del 1° dicembre (vol. 34 cit. pag. 609), abbia chiesto a sua volta conto della corrispondente documentazione informativa.

L’unico possibile riferimento in merito ad “ulteriori accertamenti” è quello che si rinviene nella Relazione Finale del 2016 della CM-2, a pag. 64 (la sottolineatura è nostra), ma come si evince è relativo ad accertamenti di otto mesi prima, svolti poche ore dopo il sequestro e dunque del tutto estranei alle particolarità riportate nello scritto di Di Donato quale anticipato da “Il tempo”:

http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/023/023/INTERO.pdf

“Il 19 marzo 1978, come risulta dagli atti acquisiti dalla Commissione presso il commissariato Monte Mario, il brigadiere Pasquale D’Annunzio informò il suo superiore, il commissario Marinelli, degli esiti negativi delle verifiche da lui stesso effettuate nella zona della Balduina mediante perquisizioni, unitamente all’equipaggio dell’auto radiocollegata « Monte Mario » e al pattuglione operante in quella circoscrizione con sigla radio « Roma Narni 108 », sulla base segnalazioni fornite dalla DIGOS e dalla Questura.

Tra queste se ne nota una di interesse: infatti, alle 15.15 dello stesso giorno, la Sala operativa della Questura di Roma comunicò che un anonimo aveva riferito che in via Massimi, via Anneo Lucano, via Licinio Calvo « sarebbero nascoste le Brigate rosse e lui ci avrebbe indicato l’appartamento che si accede attraverso un garage ».”

La seconda particolarità è che Marinelli attribuiva all’articolo di Di Donato un circoscritto riferimento alla “parte alta” di Via della Balduina, quale luogo di ubicazione del garage che avrebbe ospitato immediatamente l’auto con l’ostaggio nel giro di pochi minuti e di poche centinaia di metri da Via Fani, che invece l’articolo non conteneva in quanto nel testo si parlava di Via della Balduina senza alcuna ulteriore delimitazione.

Tralasciamo di trattare qui, poi, la parte ormai notissima di quel rapporto e le ipotesi che ne sono derivate, non da ora,  che riportava l’individuazione di elementi di sospetto in un garage con doppio accesso su Via della Balduina 323 e Via Massimi 91, all’interno di un complesso di proprietà dello IOR,  nel quale in tempi recenti alcuni componenti della CM-2, e segnatamente il suo Presidente On. Fioroni, hanno ipotizzato con una certa determinazione di poter individuare la prima prigione di Moro.

Aggiungiamo solo che a nostro parere si tratta di un’ipotesi non condivisibile, poiché si basa su argomentazioni puramente indiziarie assai deboli, nonostante alcuni ulteriori elementi conoscitivi acquisiti rispetto ai decenni precedenti, i quali però ci sembra siano stati posti tra loro in una concatenazione alquanto forzata.

Tuttavia, ciò che più interessa rilevare è che - a prescindere dal fatto che proprio Via Massimi abbia avuto oppure no un qualche ruolo nelle prime ore del sequestro - in base al complesso degli elementi disponibili, dalle segnalazioni ad opera delle “fonti”, alle ipotesi ed attività investigative, ed alla ricostruzione logica e di buon senso degli eventi (fuga del commando, tempistica, sorte in sicurezza dell’ostaggio, immediata scomparsa delle auto usate nella fuga ad eccezione della Fiat 132, ecc.) è tutt’altro che da escludere che in quell’area, complessivamente considerata, tra la Balduina e Monte Mario, circostante il luogo dell’agguato, potesse essere collocato, se non il luogo della prima, transitoria detenzione dell’ostaggio, quanto meno un sicuro luogo di ricetto per alcune delle auto usate dai suoi sequestratori.

Il fatto che quella poc’anzi detta fu un’ipotesi investigativa perseguita con insistenza nei primissimi giorni del sequestro, è un pacifico dato di fatto acquisito agli atti.

Oltre al passaggio sopra riportato della relazione finale del 2016 della CM-2, che attesta anche una specifica attività della polizia (e delle sue fonti) in tale direzione, sono agli atti anche i riepiloghi delle operazioni della stessa Polizia e della Guardia di Finanza.

Con riferimento ai riepiloghi dell’attività di questi due enti investigativi, si evince che vi fu in primo luogo, quanto alla Guardia di Finanza, una tenace attivazione ed insistenza delle “fonti” nel segnalare un covo dei sequestratori in una zona circoscritta entro un raggio assai breve da Via Fani, come riportano in proposito, nell’ordine cronologico di seguito indicato, le tre note informative prodotte da quel Corpo disponibili negli atti.

La prima nota, datata 17 marzo (CM-1, vol. 125, pag. 786), riportava che “Fonte confidenziale degna di nota” aveva segnalato che Moro sarebbe stato “detenuto nella zona Balduina-Trionfale-Boccea- Cassia”, sorvegliato da un solo carceriere, con larga disponibilità di cibi in vista di una possibile lunga detenzione, senza però escludere che una volta allentata la pressione delle forze dell’ordine, l’ostaggio sarebbe stato “trasferito in altra località.

Nella seconda nota, datata 21 marzo (vol. cit, pag. 795), si attestava che “altra fonte aveva confermato la presenza a Roma di Moro, mentre “la fonte di cui al precedente appunto” – potendosi così desumere che le fonti della Guardia di Finanza erano almeno due- “oltre a confermare quanto già comunicato” aveva comunicato di avere appreso che “quanto prima” Moro sarebbe stato trasferito per raggiungere il “tribunale del popolo” per essere processato. Sempre la “fonte” dell’appunto precedente aveva descritto le possibili modalità di trasferimento dell’ostaggio, precisando che “i brigatisti avrebbero in Roma più di un covo” , ed aveva aggiunto, a richiesta di precisazione dei suoi referenti in quel Corpo, che pur non avendo elementi più precisi a disposizione, la zona di detenzione dell’ostaggio, già segnalata nel precedente appunto, “a suo avviso”  si poteva ritenere circoscritta in un raggio di due chilometri dal luogo del sequestro “(verso il raccordo anulare)”.

Nella terza ed ultima nota disponibile, datata 22 marzo (vol. cit. pag. 799), la “fonte” (come si evince dalla parte successiva del testo, quella citata nel primo appunto) aveva segnalato prima di tutto (le sottolineature sono nostre) che la 128 blu utilizzata nell’agguato e nella fuga dopo la strage, ritrovata nel frattempo il 19 marzo, “immediatamente dopo il rapimento dell’On. Aldo Moro sarebbe stata parcheggiata in un garage o in un box, ubicato nella zona segnalata con il primo appunto, all’interno cioè della zona (o nelle immediate vicinanze) massicciamente controllata dalle forze di polizia”.

Il secondo capoverso di questa nota contiene una vera e propria ipotesi su uno dei punti tuttora maggiormente controversi dell’intera vicenda, ovvero sia la ragione che spinse i sequestratori a lasciare come noto le tre auto, ad oggi identificate quali quelle utilizzate nell’agguato e nella fuga, in tre momenti diversi, in Via Licinio Calvo (si confronti ad esempio per un’ipotesi in merito diversa da quella segnalata in questo appunto, il saggio di Romano Bianco e Manlio Castronuovo, “Via Fani ore 9.02”, ed. Nutrimenti, 2010, pagg. 106-107).

La “fonte” aveva riferito infatti – per quanto non sia di immediata decifrazione la formulazione del testo nell’appunto in esame- che per evitare il rischio che il rinvenimento dell’auto nel luogo di ricetto potesse condurre all’individuazione di un “covo” , i sequestratori avrebbero preferito correre il rischio “minore” di spostare l’auto nel luogo dove era stata ritrovata tre giorni prima (cioè Via Licinio Calvo).

Questo spunto investigativo era diretto corollario dell’informazione già comunicata in precedenza, che la fonte ribadiva ora “con insistenza”, e cioè che Moro sarebbe stato detenuto nella “zona già segnalata”.

La sua liberazione, proseguiva la fonte, sarebbe stata impedita dalla superficialità degli interventi nell’immediatezza del sequestro, e dalla mancata effettuazione di controlli “a tappeto”.

La nota concludeva riportando alcune “voci” raccolte dalla “fonte”, secondo le quali (la sottolineatura è nostra, e si rinviene comunque anche nella copia disponibile agli atti, vol. e pag. citati) “un covo delle B.R. sarebbe ubicato nella zona segnalata ad un piano alto (5°-6°-7°). All’appartamento in questione si accederebbe con ascensore, oltre che dal normale ingresso, anche

Di queste tre note, in particolare quest’ultima evidenziava, come vi si legge, che la fonte aveva ribadito “con insistenza” che Moro sarebbe stato ancora tenuto prigioniero, a quella data, “nella zona già segnalata”, e riportava un’indicazione della “fonte” assai specifica quanto alle caratteristiche di “un “covo” delle B.R”, nella stessa zona, indicando un appartamento ad un piano elevato con un accesso anche dal garage situato nel piano interrato.

La Guardia di Finanza non era rimasta inerte a seguito di queste segnalazioni.

In un appunto agli atti della CM-1 (vol. 125, pag. 901), infatti, la Guardia di Finanza attestava di avere iniziato alle ore “08.00 del 24 marzo” il “rastrellamento informativo nella zona maggiormente sospetta”, individuabile sulle “pagine gialle” (in realtà dovrebbe intendersi lo stradario di Roma) nella Tavola VII, riquadri A-B-C-D, numeri 1-2-3-4-5-6 e 7. Di altri riquadri della stessa Tavola VII veniva comunque preannunciato, in altro appunto, il “rastrellamento” in data 25 marzo.

L’appunto chiariva che l’estensore aveva ritenuto opportuno evidenziare che si era proceduto al “segnalamento”, nelle schede informative compilate:

“- degli immobili cui è possibile accedere anche dai garages;

- degli immobili che per ubicazione e/o tipo, possono facilmente prestarsi a luogo di detenzione.”.

Le schede riepilogative delle varie segnalazioni sono disponibili – con un’ordinazione delle informazioni, nel volume 125 stesso, non propriamente corretta sul piano sequenziale rispetto all’appunto di cui sopra- alle pagine 876 e seguenti.

Indubbiamente in queste schede si rinvengono copiose indicazioni di immobili con le caratteristiche evidenziate, nella “zona segnalata” più volte dalla fonte (o dalle fonti).

Riportiamo specificamente una di queste schede, recante l’elenco, una sorta di indice, degli immobili – che in esito ai sopralluoghi effettuati, la Guardia di Finanza aveva individuato possedere le caratteristiche poc’anzi evidenziate, sulla base delle segnalazioni ricevute dalle sue “fonti” - individuati nella Tavola VII, riquadro “F4” (CM-1, vol. 125, pag. 890), perché le indicazioni che vi si trovano riportate hanno stimolato la nostra curiosità in ragione della loro corrispondenza con alcune ripetute operazioni di perquisizione ed indagine compiute dalle forze di polizia dietro coordinamento della Questura di Roma, il cui elenco è disponibile nel vol. 104 degli atti della CM-1 alle pagine 84 e seguenti:


Abbiamo notato, come detto, che in una di quelle Vie, anche la polizia aveva svolto accertamenti in date a cavallo di quelle in cui anche la Guardia di Finanza aveva svolto i propri rilievi nella ricerca di immobili aventi quelle accennate caratteristiche.

Come si è anticipato, nel vol. 104 della CM-1, alle pag. 84 e segg. si trova, poi, il riepilogo delle operazioni coordinate dalla Questura di Roma, allegato alla relazione che il neo Ministro dell’Interno Virginio Rognoni avrebbe dovuto esporre al Parlamento, nel dibattito sul sequestro e l’omicidio di Moro, sull’attività compiuta dalle forze di polizia durante il sequestro.

Nell’ambito di queste vaste operazioni, furono compiute tra le altre le seguenti:

il 18 marzo (vol. 104, pag. 87):


- il 30 marzo, tra le altre (vol. 104, pagg. 101-102):


Il 31 marzo, tra le altre (vol. 104, pag. 103):


Di questi estratti, sia degli elenchi redatti dalla Guardia di Finanza, che del riepilogo delle operazioni coordinate dalla Questura, ci ha incuriosito inevitabilmente la ricorrenza dell’indirizzo di Via Lucilio (erroneamente trascritta come “Lucinio” nel riepilogo di polizia del 18 marzo).

Ciò essenzialmente per due motivi: il primo è che non solo quella strada rientra a pieno titolo nella “zona segnalata” (per dirla con la Guardia di Finanza), ma si tratta anche della via sulla quale si immette Via Licinio Calvo, via nella quale come è noto, praticamente all’incrocio tra le due strade, furono lasciate le tre auto ufficialmente utilizzate nel sequestro e nella fuga del commando, e cioè: la stessa mattina del 16 marzo, pochi minuti dopo la strage, la Fiat 132 che secondo la versione ufficiale avrebbe prelevato Moro al termine dell’agguato; nonché, nei giorni successivi, tra il 17 e il 19 marzo, la 128 bianca e la 128 blu (quest’ultima già citata dalla “fonte” della Guardi di Finanza).

Il secondo motivo è che, come si legge nel riepilogo delle operazioni di polizia poc’anzi riprodotto, Via Lucilio è una delle non molte strade nelle quali risulta indicata la perquisizione specifica non solo dell’edificio posto ad un dato numero civico, ma anche la singola unità immobiliare controllata: nel caso di specie, Via Lucilio 36, interno 9/A.

Abbiamo vanamente ricercato, ma di quella perquisizione, nonostante la sua specificità, non è purtroppo emerso alcun verbale.

Anzi, si può dire che, per quanto ci è noto, non esiste nulla negli atti disponibili in ordine ad approfondimenti su Via Lucilio, a parte quei sintetici riferimenti, neppure negli atti delle Commissioni Parlamentari di inchiesta, inclusa la seconda Commissione Moro, che ha terminato i propri lavori alla fine del 2017.

C’è un’eccezione. L’abbiamo anticipata nell’introduzione di questo studio. Ed è ora il momento di tornare a parlarne.

VII-) ROMA , AI NOSTRI GIORNI. RITORNO ALLA BALDUINA.

VII-1) “L’ALTITUDINE” DI VIA MASSIMI 91 E DI VIA LUCILIO 36. UN PASSAGGIO DEL TESTO DI GIUSEPPE FIORNI E MARIA ANTONIETTA CALABRO’

Meritano a questo punto di essere riportate alcune parole, cui accennavamo nell’introduzione,  dell’ex Presidente della Commissione Moro-2, Giuseppe Fioroni, autore insieme alla giornalista Maria Antonietta Calabrò del saggio “Moro-Il caso non è chiuso- La verità non detta”, ed. Lindau, II ed. 2019, pubblicato dopo la fine dei lavori della Commissione da lui presieduta.

Già dal titolo, l’autore ripropone la propria tesi, che egli ha più volte sostenuto in varie altre sedi, secondo la quale sul “caso Moro” si deve ritenere appunto esistente una “verità indicibile”, che finalmente sarebbe stata a quanto pare svelata in esito ai lavori della Commissione da lui presieduta, contrapposta alla “verità dicibile”, cioè quella fino ad oggi ufficialmente certificata da vari processi e in parte della memorialistica di matrice ex brigatista nonchè della saggistica, frutto in sintesi di una “contrattazione” tra ex terroristi e parte degli apparati dello Stato, e fondata essenzialmente sul riconoscimento di fatto del così detto “Memoriale Morucci-Faranda”.

Già durante la lettura del libro ha attirato la nostra attenzione il passaggio che di seguito riportiamo, tratto testualmente dalle pagine 118 e 119 dell’edizione citata; la sottolineatura nel testo è nostra:

“Un miniappartamento nell'attico della Palazzina B.

Nel complesso di via Massimi 91, tra il 1977 e il 1978 - ha scoperto la Commissione Moro2- furono fatte modifiche abitative che sono state oggetto di recenti approfondimenti. In particolare risulta che nell'attico della Palazzina B fu realizzata una sorta di vera e propria camera compartimentata, un piccolo vano nel quale poteva tranquillamente vivere una persona, costruito sul terrazzo dell'attico e appoggiato a uno dei muri perimetrali dell'appartamento, in modo che una delle pareti era in muratura.

Situata nella zona di servizio dell'appartamento, la stanza, appositamente separata da una parete di cartongesso dalla parte padronale, poteva ospitare un eventuale soggetto temporaneamente custodito nella "cameretta" con gli spazi e i servizi di un vero e proprio miniappartamento.

All'epoca del sequestro di Moro, il terrazzo posto all'ultimo piano della palazzina B del complesso di proprietà dello IOR di via Massimi 91 costituiva il punto più alto tra tutte le costruzioni della capitale, e gli interni dell'attico di detta palazzina era tale quindi da non poter essere "visti" da nessun altra proprietà, appartamento, finestra, terrazzo della zona. Tanto che la società che ha gestito la vendita del complesso immobiliare - dopo la dismissione da parte dello IOR (2006) - ancor oggi lo pubblicizza per questa sua peculiare caratteristica. Effettivamente le coordinate satellitari attestano che il civico 91 di via Massimi è posto a 129 metri sul livello del mare, cui si devono aggiungere i piani di altezza del palazzo.

Altre palazzine - interessate dalle indagini sul misterioso covo delle Br in zona Balduina - come il civico di via Lucilio 36, posto su una strada che interseca via Licinio Calvo, sono stati costruiti a quote più basse (altitudine di 117 metri).

Alcuni testimoni hanno riferito che, a motivo della sua posizione dominante, dalle terrazze di via Massimi 91 si poteva vedere bene sia via Licinio Calvo, dove vennero abbandonate tutte e tre le auto dei terroristi provenienti da via Fani, sia piazza Madonna del Cenacolo, piazza dove più tardi, nell'autunno del 1978, vennero trasbordate alcune armi collegate al sequestro.”

Ora, il passaggio da noi sottolineato ci è parso assai singolare. Ne spieghiamo subito le ragioni.

Come si è visto, Via Lucilio 36 era stato oggetto di uno specifico controllo della polizia il 31 marzo, in modo particolarmente specifico nell’appartamento interno 9/A.

Le tre relazioni finali pubblicate dalla seconda Commissione Moro alla fine degli anni 2015, 2016 e 2017 sono tutte disponibili al link:

https://inchieste.camera.it/inchieste/moro/documenti.html?leg=17&legLabel=XVII%20legislatura

Ebbene, nessuna delle tre relazioni presenta un qualsiasi riferimento, fosse anche implicito, sfumato, sotteso, a Via Lucilio (fatte salve le citazioni delle testimonianze risalenti al 1978 in ordine al rilascio delle tre auto in Via Licinio Calvo).

Nonostante che nessuna inchiesta si sia mai occupata dello stabile in Via Lucilio 36, neppure nella saggistica, né tanto meno la Commissione da lui presieduta, il suo ex presidente Fioroni, improvvisamente, ha portato per la prima volta alla ribalta, in oltre quaranta anni di storia, giudiziaria e non solo, del sequestro Moro, proprio quello stabile.

Dato che in quel passaggio Fioroni fissa le premesse dell’ipotesi di sua elezione, secondo la quale in un piano attico del complesso di Via Massimi 91 dovrebbe individuarsi la prima prigione di Moro, proprio in virtù di caratteristiche analoghe a quelle evidenziate nel 1978 dalla Guardia di Finanza – cioè un appartamento sito ad piano alto, essendo peraltro dato notorio la presenza in quel complesso anche di garages con accesso diretto alle abitazioni - è lecito immaginare che egli si sia riferito allo stabile di Via Lucilio 36 non solo per l’altitudine relativa, cui pure fa cenno, dei due edifici considerati, ma anche per le caratteristiche analoghe di entrambi gli edifici, che, evidentemente avrebbero potuto coincidere nell’uno come nell’altro caso con quelle poc’anzi già ricordate e poste in rilievo dalla “fonte” della Guardia di Finanza nel 1978.

La nostra attenzione è stata in particolare sollecitata dalla formulazione adottata dagli autori, stando alla quale l’edificio di Via Lucilio 36 non è stato da loro assunto quale paradigma delle altitudini degli edifici di altre palazzine della zona “interessate dalle indagini “, bensì testualmente come mero esempio di altre palazzine “sospette” collocate a quote altimetriche inferiori rispetto a Via Massimi 91.

Il punto che desta interrogativi è quindi proprio questo. E cioè che gli autori- e segnatamente Fioroni, considerato il suo recente ruolo istituzionale- non fissano l’edificio di Via Lucilio 36 quale punto di riferimento delle altitudini della zona, in quanto essi non affermano che quell’edificio costituisse l’edificio a quota altimetrica immediatamente inferiore a quella dell’edificio di Via Massimi 91, bensì, lo individuano a mero titolo di esempio tra le palazzine già oggetto di indagine costruite “a quote più basse”.

Ma gli edifici di Via Lucilio “interessati dalle indagini” nel 1978, come risulta dagli estratti del riepilogo delle operazioni di polizia che sopra abbiamo riprodotto, furono molteplici, non solo quello sito al civico 36.

Perché, allora, l’ex presidente della Commissione Moro-2 ha fatto riferimento, pur formalmente assumendolo come puro esempio di altri edifici sospetti della zona, proprio all’edificio di Via Lucilio n. 36?

Questa circostanza induce a formulare l’ipotesi che il riferimento a quell’edificio possa avere tutta l’aria di un espediente narrativo il cui ambito spazi da una esemplificazione puramente casuale a qualcosa di ben diverso.

Formuliamo l’auspicio che il Presidente Fioroni (con Maria Antonietta Calabrò) in una prossima edizione del volume vogliano sciogliere questi dubbi.

Ora, il complesso di Via Massimi 91 era, come noto, di proprietà dello IOR.

Sarebbe allora a questo punto interessante, in termini di mera ricerca storica, conoscere qualcosa di maggiormente approfondito anche sullo stabile di Via Lucilio, e in particolare sull’appartamento interno n, 9/A che fu, come si è visto, l’unico ad essere controllato, il 31 marzo.

E così tentare di sapere chi ne aveva la disponibilità materiale, chi insomma vi fu rinvenuto al suo interno (salvo un’eventuale apertura forzosa, di cui non c’è traccia agli atti, qualcuno avrà pur aperto la porta alla polizia!): già, la disponibilità materiale, ovvero come si dice nel gergo comune la detenzione delle chiavi, magari anche da parte di pacifici inquilini od altrettanto innocui ospiti occasionali dei proprietari.

VII-2) VIA LUCILIO 36, INTERNO 9/A….ED INTERNO N. 10/B.

La mancanza di un qualsiasi riscontro documentale di quell’operazione di polizia, in questo caso, come peraltro in casi analoghi in genere, comporta la necessità, per chi volesse proseguire la ricerca, di trovare altri dati di riferimento stabili, cioè principalmente risultanti da atti e documenti muniti di affidabile grado di certezza, quali ad esempio il proprietario o i proprietari degli immobili; sempre che peraltro ciò sia possibile.

Nel nostro caso, ciò si è rivelato possibile.

Nel marzo 1978, la proprietaria dell’appartamento di Via Lucilio n. 36, palazzina A, interno 9, situato al 4° piano era per la quota di tre quarti la signora Marcella Milano.

Per la rimanente quota di un quarto, la proprietaria era la figlia della signora Milano:

Laura Di Nola.

Laura Di Nola e sua madre erano proprietarie anche dell’omologo appartamento interno 10, sempre 4° piano, nell’altra palazzina, distinta con la lettera B.

Quegli immobili erano di proprietà dal 1960, per metà ciascuno, dei genitori di Laura Di Nola, la quale, al decesso del padre, Giacomo Guglielmo Di Nola, avvenuto il 12 settembre 1977, ereditò, insieme alla madre, la metà già di proprietà del padre.

Ciascuno dei due appartamenti aveva un box di pertinenza in piano seminterrato.

Dal punto di vista dell’operato degli inquirenti, viene allora da chiedersi perché, già che c’erano, non venne appunto perquisita anche la palazzina gemella individuata con la lettera “B”.

La domanda sorge spontanea, proprio perché quello specifico controllo lascia immaginare che venne svolto in virtù di un qualche preciso impulso informativo già a disposizione degli inquirenti (anche a prescindere dal fatto che in mancanza di riscontri documentali non si ha piena contezza del suo esito, dovendosi solo presumere che data la mancanza di qualsiasi ulteriore notizia successiva in merito a quell’edificio e alle persone ivi individuate, a quanto pare almeno alla data del 31 marzo esso si rivelò negativo).

E’ quindi quanto meno singolare che essendo i due alloggi ed annessi box auto di proprietà delle stesse persone, non sia venuto in alcun rilievo, nello spunto di indagine, anche l’appartamento interno 10 della palazzina B.

Perché, dunque, si controllò l’interno 9/A, e non si fece altrettanto con il 10/B?

C’è poi l’aspetto dei due boxes pertinenziali: furono controllati?

Se si deve stare alla succinta descrizione dell’operazione di polizia di quel 31 marzo, sembra proprio di no, visto il circoscritto riferimento al solo interno 9/A, che per comune uso dei termini appare identificare, in assenza di una precisazione che si riferisca anche ad eventuali pertinenze, il solo appartamento quale porzione immobiliare – come si usa dire- “principale”.

La possibile rilevanza della questione appena posta è resa evidente dal fatto che la scheda della Guardia di Finanza sopra riprodotta indicava chiaramente ai civici 32 e 38 di Via Lucilio due accessi rispondenti alle caratteristiche focali dell’oggetto dell’indagine, cioè l’accesso diretto dai boxes agli appartamenti.

Ed in effetti, utilizzando la funzione “street view” di google maps, e fatte salve eventuali diverse risultanze che dovessero emergere dalla verifica sui luoghi, sembra proprio che ai civici 32 e 38 corrispondano i cancelli di accesso carraio al piano interrato delle stesse palazzine aventi accesso “principale” (cioè quello pedonale agli appartamenti) al civico 36.

Rimane quindi, sul piano storico, l’incognita sui dettagli di quanto effettivamente fu riscontrato dalla polizia in quel controllo, e in particolare, come si è accennato, su chi fossero gli occupanti al 31 marzo 1978 dell’appartamento 9/A, il solo controllato nell’intero edificio.

Dall’unico elemento documentale noto dotato di affidabilità, si evince solo che nella denuncia di successione della madre di Laura Di Nola, Marcella Milano, deceduta il 28 gennaio 1983, chi predispose quel documento qualificò testualmente i due alloggi di Via Lucilio 36 come “ridotti in pessime condizioni dagli affittuari”.

Qui ci fermiamo, perché da questo pur chiaro indizio dell’occupazione, almeno al gennaio 1983, da parte di terzi degli immobili che al 31 marzo 1978 appartenevano a Laura Di Nola e a sua madre, noi non siamo in grado in alcun modo di poter stabilire né da quando, né a chi, quegli alloggi fossero stati concessi in affitto, né tanto meno se eventualmente essi fossero stati occupati, già in epoca antecedente, in virtù di meri, precari accordi verbali tra proprietari ed eventuali occupanti.

In conclusione, se da un lato va certamente tenuto sempre ben presente e rammentato che Laura Di Nola e il suo ex marito sono rimasti indenni da qualsiasi provvedimento giudiziario inerente il sequestro, dobbiamo ugualmente ripeterci in ordine alla lampante evidenza del fatto che, se a partire dalla tarda estate del 1978 le autorità inquirenti sospettarono così insistentemente dei coniugi Di Nola e De Cosa e dei contesti topografico (il ghetto di Roma) e soggettivo, ovvero sia delle persone che gli inquirenti avevano ipotizzato facessero riferimento ai due coniugi,  quelle indagini ebbero comunque corto respiro ed ancor più corto raggio d’azione.

Tanto più se, come sostennero i consulenti della Commissione Stragi Scè e Bonfigli, è vero che già il 30 maggio 1978 la Ucigos aveva chiesto alla Digos informazioni e foto di Raffaele De Cosa, dunque ben prima dell’arresto di Mortati, le cui confessioni finiscono invece con il costituire ancora oggi uno stretto binario che tuttora condiziona gli studi sulla questione, limitandone la portata alla sola zona dell’ex ghetto di Roma; di modo che nessuno è mai riuscito, allora come oggi, a volgere lo sguardo  anche altrove: ad esempio al di là del Tevere, verso la collina di Monte Mario e la Balduina.

VIII) CONCLUSIONE - “VERITA’ INDICIBILE”,  ALLUSIONE CRIPTICA O ESEMPIO DEL TUTTO CASUALE?

In conclusione, è il caso di tornare a quel passaggio del libro di Giuseppe Fioroni che abbiamo sopra riprodotto e commentato.

L’attenzione se la merita tutta, visto che, come si è detto, è l’unico spunto, in oltre quaranta anni di storia, anche narrativa, della vicenda del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, che abbia fatto un cenno sia pure istantaneo proprio a Via Lucilio 36.

Torniamo alle tre relazioni finali presentate rispettivamente alla fine degli anni 2015, 2016 e 2017 dalla Commissione Moro-2 presieduta dallo stesso Fioroni.

Come anticipato, nessuna delle tre relazioni reca il minimo accenno a Via Lucilio nei termini qui indicati, ma non solo: nessuna delle tre relazioni reca alcun cenno a tutte le questioni trattate nel presente scritto.

Si può dare cioè per acquisito testualmente che, fatti salvi eventuali documenti al momento ancora secretati (tali ne risultano ancora in mole considerevole, sulle acquisizioni della CM-2, che coprono l’annosa e complessa vicenda del sequestro), nessun ulteriore accertamento è stato svolto – o se svolto, non è stato reso noto -  dalla Commissione presieduta da Fioroni sulle vicende che abbiamo affrontato e in particolare sull’edificio di Via Lucilio 36 nel suo complesso, anche a prescindere, cioè, dalle specifiche unità immobiliari già di proprietà di Laura Di Nola e della madre.

Una rapida ed agevole verifica con la funzione di ricerca disponibile nei comuni software in uso sui tre testi in esame, restituisce infatti questi risultati:

- nella relazione del 2015, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Ghetto”, “Di Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano due sole menzioni, alle pagine 139 e 146 con la chiave “Lucilio”, relative esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento delle auto in Via Licinio Calvo;

- nella relazione del 2016, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Di Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano esclusivamente: due sole menzioni, a pagina 58, con la chiave “Lucilio”, sempre relative esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento delle auto in Via Licinio Calvo; ed una menzione del tutto incidentale con la chiave “Ghetto” a pagina 32, riguardante l’audizione dell’ex colonnello Cornacchia in merito alla vicenda Jaguar-Sermoneta, che si esaurisce con la menzione dell’affermazione dell’ex ufficiale di non avere ricordato nulla in proposito nell’audizione stessa;

- nella relazione del 2017, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Di Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano esclusivamente: una sola menzione, a pagina 257, con la chiave “Lucilio”, sempre relativa esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento delle auto in Via Licinio Calvo; ed una menzione del tutto incidentale con la chiave “Ghetto” a pagina 80, riguardante l’audizione del ricercatore Marco Benadusi nella quale si riporta la menzione della risposta data dal ricercatore in quella sede, sempre in via del tutto incidentale, in ordine alle dichiarazioni rese da Elfino Mortati dopo il suo arresto, menzione che in questo caso ci sembra comunque opportuno riportare testualmente :” Benadusi ha quindi risposto a una domanda sulle dichiarazioni di Elfino Mortati e ha ricordato che Mortati fece scoprire un covo in via dei Bresciani, mentre non si riuscì a individuare quali fossero i due covi nel Ghetto nei quali Mortati aveva affermato di aver visto Enrico Triaca e Valerio Morucci.”

Infine, nell’indice per nomi in calce allo stesso saggio di Fioroni e Calabrò, non si rinviene alcuna voce relativa ai cognomi “Di Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto”

Se il retroterra degli accertamenti è tanto brullo, un vero e proprio deserto  di notizie o novità riguardanti quanto si è qui affrontato, va ribadito una volta di più che costituisce indubbiamente un’inaspettata “rivelazione” quel riferimento proprio a Via Lucilio 36 esposto da Fioroni nel suo citato saggio, per le ragioni che si sono esposte.

A prescindere dalle probabili ed approfondite misurazioni a disposizione di Fioroni delle rispettive altitudini più o meno su tutti gli edifici della zona, ci chiediamo infine se, per caso, la storia mai scritta di Via Lucilio 36 – sia essa, oppure no, insignificante – abbia dovuto attendere oltre quarant’anni dal sequestro Moro per nascere e morire nello spazio di una manciata di parole, come un mero, banale  problema di orografia del quartiere della Balduina.

Nel dubbio, ci riserviamo la possibilità - che assai probabilmente, se del caso, interesserà i posteri - che un giorno possa forse scoprirsi che (anche) la storia delle indagini in Via Lucilio 36 si sarebbe dovuta collocare nell’ambito della “verità indicibile” sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.

 

40 commenti:

  1. Grazie Domenico. Se puoi, per favore, segnalalo ai tuoi contatti social. Ciao.

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  2. Catasto e non solo.
    Quanto alla ricostruzione globale della vicenda, personalmente non sono in grado ancora di proporre una ricostruzione dimostrabile.

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  3. Occorrerebbe sapere dove aveva il suo domicilio effettivo la marcella milano nei 55. Perché è strano che, avendo 2 appartamenti di proprietà in zona buonina come la balduina, la signora poi abitasse altrove. Possibile, ma strano, tenuto conto che i commercianti, e gli ebrei in genere, stanno particolarmente attenti ai soldi. Ci vorrebbe un certificato storico anagrafico della milano. Perché, se la milano abitava in uno dei due appartamenti di lucilio 36 nei 55, allora diventa difficile pensare che la figlia mettesse lì dentro o Moro o un paio di macchine della fuga o entrambi. A meno che non fosse del mossad pure la madre. Poi c´era la villetta di trevignano, par di capire intestata ai di nola, forse la milano stava lì ? Ci vorrebbe visura catastale storica per soggetto sia della di nola sia della milano sia del giacomo guglielmo, sia del de cosa. Ma poi non basterebbe, perché se uno ha una casa intestata, non è detto che ci abiti. Poi non comprendo l´asse ereditario : se la di nola morì davvero nel ´79, la sua quota di lucilio 1 e 2, a chi andava per legge, alla madre o anche al marito ? È tutto molto intrigante ma nebuloso purtroppo. La di nola era lesbica, dunque il marito a che le serviva ? Forse per convenienza sociale, dato che le lesbiche nei ´60 e ´70 erano ancora represse in italia ? Tornando a lucilio, i due box avrebbero potuto ospitare due delle macchine di Fani, ma le macchine usate a Fani furono forse di più, includendo il furgone bianco, la A112, e poi la 132 che forse nemmeno stava a Fani ma da qualche parte doveva stare, se davvero è stata ritrovata a Calvo. Al 1983 se ho ben capito, sono attestati affittuari a lucilio 36, 1 e 2 : ma non sappiamo se stavano lì pure nei 55.

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  4. Visto su googlemaps, questo civico 36 e la via sembrano abbastanza densamente abitate : portarci Moro, o anche solo due delle macchine poi "ritrovate" a Calvo, alle 9 di mattina, o poco dopo, con la gente in giro e tanti occhi potenziali, foss´anche con Moro dentro una cassa come D´Urso o Sossi, mi pare difficile anche se non impossibile, cmq rischiosetto. Ma non si può dirimere, l´unica cosa certa è che la prima prigione era in zona Moro, cmq lucilio 36 buono a sapersi. Un giorno se escono le prove, potrebbe rivelarsi l´indirizzo giusto che tutti cercano invano da 44 anni.
    Un´altra incognita è come campasse la di nola, che era diplomata in regia ma non s´era mai affermata professionalmente. Il marito aveva un laboratorio di elettricista pare, a Ripetta 71. Quando muore il padre, l´eredità dovette esser cospicua, ma il padre muore solo nel ´77, e prima come avevano campato i di nola/de cosa ? Lei aveva già 45-46 anni nel 1978, il marito 42. Forse integravano appunto, affittando uno dei due appartamenti di lucilio ? oppure la stipendiavano mossad e wiesenthal ?
    i punti oscuri sono ancora troppi. Certo che la di nola campava di lusso, teneva salotto a s.elena con l´élite, con dacia maraini e simili, insomma non aveva certo problemi di soldi o necessità di guadagnarsi da vivere. Mah, senza prove brancoliamo nel buio ma almeno questo lucilio 36 fa gioco, sta proprio lì a due passi da Calvo, sta inzoma prima prigione, quindi è una possibilità.

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  5. Sul piano alto per la prigione, mmm...Dalle lettere, confortate dal fumetto di metropoli, si penserebbe piuttosto a seminterrato, per via di passi come "filtra sin qui la notizia" oppure "se ci fosse luce, sarebbe bellissimo". Il fatto che il cadavere fosse colorito non dirime, perché Eleonora attesta che il marito manteneva abbronzatura da stagione all´altra, poi andava spesso a Terracina etc. La tonicità muscolare potrebbe spiegarsi con grande spazio nella prigione, o cortile o casa isolata con cantina e giardino etc. Ma anche qui, non si riesce a dirimere.

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  6. Il fumetto di metropoli, stando a piperno audito dalla stragi, fu imbastito da madaudo e socrate, sulla base di conversazioni tra piperno e gli altri redattori. E quelli la sapevano lunga sul sequestro. C´è la faccia di senzani ed altre cose veritiere o plausibilissime. Poi ci sono anche depistaggi, come sempre. Ma la anna di metropoli fa l´insegnante, non l´attrice come la buonaiuto, forse dunque allude più all´algranati, che mi risulta unica prof tra le donne br del sequestro Moro. Inoltre è bionda, mentre la buonaiuto è mora. Il problema con la buonaiuto, è che stando a quel che mortati racconta di anna agli atti della Moro 1, la descrizione non collima affatto : la buonaiuto è del ´50, la anna di mortati del ´58 ; la buonaiuto aveva già concluso gli studi di recitazione da un pezzo, mentre la anna di mortati è iscritta ai primi anni di giurisprudenza, facoltà che la buonaiuto non risulta aver frequentato (fece solo, disse, 1 anno a filosofia). La anna di mortati era di Roma, coi genitori ad Ostia, un altro passo degli atti la dice di origine siciliana - la buonaiuto invece è di Latisana (UD), il padre napoletano, la madre latisanese. Anna di mortati è figlia unica, la buonaiuto ha 3 sorelle. Inoltre quando gli mostrano le foto dei ricercati, mortati riconosce "mario" in morucci e "anna" in marina premoli, anche se dubitativamente qui. Non so però se gli fu mostrata anche foto della buonaiuto. Certo che se anna era la buonaiuto, potrebbe aver mentito a mortati. Ma non si può dirimere neppure qui. Resta il sospetto sulla buonaiuto, per via del volantino etc., ma anche perché anna è l´unica del gruppo afferente in qualche modo a bresciani 4 etc., a non esser mai stata identificata in 44 anni - il che odora di copertura assai forte. Non la si è voluta identificare. Questo è un dato di fatto. Voglio dire, per dozier hanno chiamato de tormentis e torturato atrocemente 3 o 4 br, per anna o la di nola, alla maggior parte dei disperati di bresciani 4 non han chiesto mai nulla.

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    1. buonaiuto ha goduto (e gode) di una totale impunità e immunità, è una di quelle persone che l'hanno fatta franca, che l'hanno sfangata, e questo fa male, specie ripensando ai sei morti ammazzati e a quelle vittime collaterali che hanno avuto il solo torto del coraggio e della schiena dritta.
      Ad ogni modo non credo che i più volte menzionati "anna" e "franco" si chiamassero effettivamente così, più probabile che fossero i cosiddetti nomi di battaglia.

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    2. Gentile Bianchi, ho l'obbligo di ribadire che, come abbiamo già scritto nell'articolo, Anna Buonaiuto deve ad oggi ritenersi a tutti gli effetti estranea ai fatti.

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  7. La vicenda mortati è fortemente sospetta. A un certo punto, finisce come la storia di de sena a parigi : un velinaro, forse imbeccato da russomanno, svela il segreto istruttorio e addio indagine. Per mortati, ci pensa l´ex(?) terrorista fascista di avanguardia nazionale guido paglia su La nazione, a spifferare che mortati è coinvolto nel caso Moro etc., al che mortati smette di collaborare e priore ed imposimato gettan la spugna con gran sollievo anche perché spinella li aveva ammoniti fotografandoli dal campanile di s.caterina dei funari o da casa cassia a funari 31/sisde - addio mortati e covi br del ghetto. Quindi vollero sabotare, sabotare le indagini sul ghetto, sabotare eventuali indagini su mossad e cia a caetani 32/centro studi americani/usis, sabotare indagini sui sonnino etc. Proprio come saboteranno de sena e calogero su hyperion.

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  8. Concludendo provvisoriamente : davvero buono a sapersi il lucilio 36. Però se pubblicaste visure e documenti, meglio ancora, così la comunità degli studiosi se ne potrebbe giovare per verifica. Sono passi avanti, rilevanti anche se indiziario/ipotetici. Una volta scoperto ed accertato con prove, dov´era la dannatissima prima e principale prigione, e nomi, cognomi ed appartenenza e posizionamento iniziale, di chi davvero uccise gli agenti a Fani, il caso Moro è risolto.
    Sono le parti più difficili. Ma non esiste delitto perfetto. Sursum corda.

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  9. Ricordiamo a tutti i lettori che, come abbiamo evidenziato nell'articolo, tutte le persone di cui abbiamo analizzato o accennato le vicende (Laura Di Nola e i suoi genitori, Raffaele De Cosa, Anna Buonaiuto, Rosa Nicoli, Bruno Sermoneta) , sono a tutt'oggi a tutti gli effetti da considerare estranee ai fatti. Invitiamo a tenerne conto nei contenuti e nei toni dei commenti nonchè delle ipotesi personali eventualmente avanzate da ciascuno dei lettori.
    Quanto ad Elfino Mortati, più che la vicenda abbastanza "trita" del ripensamento immediato a causa, come si è presunto, dell'articolo di Guido Paglia, sarebbe interessante capire come mai 22 anni dopo trasforma "Anna" addirittura in uomo. Magari analizzeremo in seguito anche questa sua personale questione.

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  10. Fu il mortati a trasformare anna in tirabovi (peraltro morto "suicida" ?) ? Fonte ? Altra domanda : in quale dei documenti reperiti, immagino all´ufficio di pubblicità immobiliare di roma, sta scritto che l´ascensore dai box di lucilio 36 sboccava direttamente negli appartamenti dei di nola ? Ancora : che significa in pratica : che c´era un ascensore privato in uso esclusivo ai di nola, che dai box portava dentro gli appartamenti ? Oppure era l´ascensore del garage, dei garage condominiali ? Ma allora dove sboccava, dentro le case di nola o sui pianerottoli ? Quanti appartamenti c´erano a pianerottolo ? 9 o 10 interni diviso 4 piani fa più di 2 appartamenti a pianerottolo. Oppure i quarti piani erano tutti dei di nola ? Quindi o questi ascensori erano privati, e andavano direttamente dai box di nola agli interni di nola, ed allora c´era discrezione a caricare eventualmente Moro in ascensore, ad andare e venire dall´eventuale prigione etc. Oppure questi ascensori erano in comune coi condomini del garage e sboccavano sul pianerottolo, quindi niente discrezione e rischio di trovarsi faccia a faccia col vicino di pianerottolo con la cassa di Moro in mano o addirittura Moro fuori, il che renderebbe davvero improbabile che la prigione fosse lì, specie considerando che Moro arriva in prigione poco dopo le 9, non di notte. Avete insomma, la topografia esatta di questi due box, dei due appartamenti e degli ascensori ?

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  11. Non so se lei stia replicando a precedenti commenti, come riterrei più sensato, oppure al nostro articolo. In questo secondo caso, le sue di, pur legittime, non deve rivolgerle, con ogni evidenza, a noi. Al limite, avrebbero dovuto porsele gli inquirenti dell'epoca, quelli degli anni seguenti, le commissioni parlamentari, e i pubblicisti professionisti. Grazie ancora.

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    1. Ovviamente intendevo scrivere "le sue domande", ecc.

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    2. P. S. Ribadisco comunque che fu la Gdf a individuare le due rampe di box, con accesso ai numeri 32 e 38,tra quelli aventi tali caratteristiche.

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    3. P. S 2. Quanto al Mortati, non è ovviamente questa la sede per una analisi compiuta. Chiarito che eventuali imprecisioni nella risposta a uno dei commenti precedenti è imputabile al sottoscritto, vero è che essa sarebbe del tutto veniale, perché la verità storica è quella : a un certo punto Anna diventa un uomo, e Mortati si trincero' un paio di decenni dopo dietro un forte difetto di memoria. Ci torneremo sopra.

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  12. Mah, per sapere ad esempio, quanti appartamenti ci sono al quarto piano delle due palazzine di lucilio 36, basta piantina catastale, o planimetria catastale o come si chiama. Non c´è neppure bisogno dell´ufficio di pubblicità immobiliare per questo, credo basti qualsiasi catasto di qualsiasi città. Questo continuo rimpallare alle autorità preposte, quando si sa benissimo che non han fatto che depistare o ignorare per 44 anni, è francamente stucchevole. Cmq vedrò di far la ricerca da solo, visto che non esiste volontà di approfondimento qui, a parte la scortesia offensiva delle repliche che tendono solo a soffocare il dibattito con scuse pretestuose e/o vili.

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    1. Scusi, ma di che parla? Non so chi sia lei, so soltanto che passa da un tono al limite anche costruttivo ad uno inutilmente aggressivo con una facilità che fossi in lei riterrei preoccupante. Non vedo poi il problema sostanziale, che rimane sempre quello. Noi abbiamo individuato un dato, il resto secondo lei spetta a noi?

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    2. buongiorno Giuseppe (alias phil glass / skep /aleth / basc ape / anonimo)
      dal momento che “non esiste volontà di approfondimento a parte la scortesia offensiva delle repliche che tendono solo a soffocare il dibattito con scuse pretestuose e/o vili”, sfugge il motivo per cui continui a frequentare attivamente questo sito di “pezzenti gelosi” a cui starebbe a cuore “il copyright della vanagloria degli stronzi”
      viene quasi da pensare che abbia molto tempo libero e niente di meglio da fare
      un saluto
      alberto

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    3. Mi corre l'obbligo di spezzare una lancia a favore dei 4 moschettieri. E' stata pubblicata un'analisi molto approfondita che, se per certi versi reputo stucchevole, va comunque apprezzata per quello che è: un tentativo di fare chiarezza aggiungendo un tassello in più. Per altro fu lo stesso contestatore "anonimo" a sollecitare un approfondimento di natura catastale, ed eccolo servito. Ma vedo che costui non è mai soddisfatto e chiede sempre di più: vorrebbe, insomma, la pappa pronta.
      Allora resto in trepidante attesa che costui apra un suo blog e pubblichi i risultati delle sue ricerche.

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  13. Ehi mario bianchi : se mi vuoi criticare benissimo, però devi leggermi prima : io non ho affatto chiesto la pappa pronta, al contrario ho detto che siccome la planimetria catastale non vogliono trovarla loro, me la cerco da solo, perché è importante appurare se al quarto piano i di nola fossero soli, o con vicini di pianerottolo, e se l' ascensore dunque sboccasse dentro casa di nola, o sul pianerottolo in comune con estranei magari. Non è necessaria la tintisona per questo. Inoltre ho chiesto di pubblicare i documenti che il guidi ha evidentemente reperito all' ufficio di pubblicità immobiliare di roma, e nei quali ha trovato i dati catastali di cui scrive : perché ritengo importante condividere con la comunità dei ricercatori, anche perché son carte che costano, e non tutti hanno i fondi per questo, o il tempo etc. : il caso Moro non lo risolve uno o 4 o 5, lo si risolve in dozzine e dozzine, di generazione in generazione, data la complessità tecnica ed anche il costo e la delicatezza ed il rischio del reperire le prove.Il punto della mia critica, in generale, era che non dobbiamo attenderci nulla da autorità che hanno solo depistato ed insabbiato per 44 anni. Dobbiamo fare da soli. Se sto qui, rispondendo anche all' agent provocateur di turno, se sto qui è perché il tassello lucilio 36 è potenzialmente importante, ed aver scoperto che c' era, tra milioni di possibilità, proprio la di nola è potenzialmente rilevante, anche se per ora solo sul piano indiziario. E questo è un indubbio merito del guidi, altrimenti non starei a perder tempo a leggere e commentare l' articolo. Ovvio che la ricerca deve continuare, che non ci si può fermare o ritenersi soddisfatti, fino alla scoperta provata di dove k stesse Moro e dove k stesse il o i garage compiacenti. Ma intanto, questo indirizzo nuovo è da vagliare ed approfondire, senza lasciare la cosa a morire more solito in mano alle autorità - che non hanno nessuna intenzione di fare sul serio. Infine, quanto alle mie di ricerche, se mi favorisci il tuo indirizzo email, te ne mando in pdf 325 pagine se vuoi. Il problema qui, come altrove peraltro, è che non si riesce a discutere in pace senza che qualcuno la butti in rissa. Non mi sorprende, non mi tange proprio, è un peccato però, perché se tutti quei pochissimi rimasti a ricercare attivamente sul caso Moro, si aprissero alla condivisione ed alla civile discussione critica, forse chissà, non ci vorrebbero altri 44 anni per scoprire le ultime due cose essenziali che mancano : la prima e principale prigione, e nomi cognomi appartenenza di chi davvero uccise gli agenti a Fani. Amen.

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  14. Vorrei replicare a Bianchi se trova stucchevole che per la prima volta in 40 e passa anni sia stata rilevata una data di uno stato di famiglia che smentisce il presunto primo sopralluogo dei vigili urbani al 16 settembre, o se trova stucchevole che per la prima volta in 40 anni e passa siano state date le generalità della portinaia di via Sant'Elena e il fatto che abbia deposto davanti a Priore in modo differente da quanto attestato dai vigili. Se Bianchi sapeva già queste cose, l'articolo poteva farlo lui, lo avremmo ospitato volentieri.
    Quanto al Guidi, che sarei io, vorrei dire ad anonimo alias Aleth, o Skep, che le planimetrie le abbiamo. Non sta a noi pubblicarle, gli dico solo per sua conoscenza che dalle planimetrie non dedurra' mai il reale stato dei luoghi, specie tra un piano seminterrato e un piano alto. Deve andarci di persona.

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  15. Cioè, avete la planimetria dell' edificio, ma non quella dei singoli piani se ben capisco. Ok allora se la planimetria dei singoli piani non è reperibile, ci penserò io a sgamare quanti appartamenti ci sono ai quarti piani. Quanto alle generalità della portinaia, stanno agli atti della Moro1, e già altri su fb ed altrove aveva rilevato mesi fa le discrepanze tra le deposizioni, e molto molto altro, ma non importa, non è questione di priorità, ma di arrivare a risolvere. Il punto davvero nuovo e buono e da tanti complimenti dell' articolo è di nola a lucilio 36. Quello è davvero rilevante potenzialmente. Poi se vi decideste un giorno a pubblicare 'sti benedetti documenti catastali su lucilio 36 , non credo né che il mossad vi sparerà dato che purtroppo le masse popolari non vi si filano proprio e non spostate consenso politico alla vulgata perché non avete accesso ai massmedia nell' ora di massimo ascolto purtroppo ; né che la di nola vi citerà per diffamazione o violazione della privacy, dato che è morta, se poi nel 79 o 2004 non fa differenza. Morta è la madre, il padre, figli o fratelli non ne aveva, de cosa ha 86 anni e penso abbia ben altri problemi se vivente, e se ne sbatte dei di nola tant'è che s' è pure risposato. Cmq fate come vi pare, il tono costantemente astioso e polemico e sussiegoso di queste sezioni commenti impedisce qualsiasi civile dibattito costruttivo e francamente, bye bye. Se non pubblicate voi le visure, prima o poi appena trovo tempo e denaro me le compro da solo e le pubblico io. Nessuno è indispensabile, né il sedicidimarzo né io né nessuno. Indispensabile è arrivare a risolvere il caso Moro, quello sì, e chiunque ci riuscirà avrà raggiunto la meta solo grzie a tutti gli sforzi genuini di chi lo avrà preceduto - a cominciare da Alfredo Carlo Moro, Flamigni e D' Adamo, i veri padri nobili del caso Moro.

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  16. Aleth, non si capisce cosa lei intenda per "planimetria dell'edificio" e/o "planimetria dei singoli piani" . In catasto esistono, talvolta: a) le planimetrie delle SINGOLE unità immobiliari (e queste DEVONO esistere); b) gli "ELABORATI PLAIMETRICI" (e questi esistono TALVOLTA, specie per edifici nuovi o per variazioni nuove). Dagli ELABORATI PLANIMETRICI lei non evincerà MAI se un box in piano interrato è collegato direttamente con un 4° piano. E' CHIARO? Può viceversa evincere se su uno stesso piano vi siano X alloggi, o Y boxes ecc. Non ho poi capito dove vuole arrivare: se per ipotesi in 4° piano vi fossero 3 alloggi, ciò escluderebbe forse un "covo"? A Via Gradoli erano almeno 3 per piano, eppure...A Via Montalcini non ricordo, dovrei ricontrollare. Senza accusare neppure lontanamente i coniugi Di Nola e De cosa, facciamo un esempio: stabile condominiale con ascensore monofunzionale (cioè, chi primo arriva, primo alloggia). Tizio, dopo avere parcheggiato l'auto, dal piano interrato preme il tasto 4 e sale al quarto piano senza interruzioni. C'è discrezione? Secondo me, si. Sia chiaro, sto facendo un esempio in generale.

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  17. p.S. Aleth, nella fattispecie le assicuro che non risulta disponibile alcun "elaborato planimetrico" per l'edifico in questione. Quindi muova le gambe e vada a verificare lo stato dei luoghi motu proprio. Cosa vuole sapere, se l'ascensore arrivava ai/dai piani bassi a quelli alti? La risposta è si, almeno per alcune delle planimetrie disponibili. Non vedo proprio cosa cambi rispetto a Via Montalcini. In questo caso inoltre il problema potrebbe anche ridursi - si fa per dire- al ricetto solo di una o più autovetture dopo la fuga da Via Fani, a prescindere cioè dalla sorte dell'ostaggio.

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  18. Ma insomma, li ha o no gli elaborati planimetrici dei due piani interessati ? Si evince o no quanti appartamenti c´erano a questi due quarti piani ? Perché se erano più di quelli dei di nola, allora è difficile che ci abbiano ficcato Moro alle 9 del mattino, in cassa o fuori cassa, col rischio di incontrare vicini ficcanaso sul pianerottolo - è chiaro il concetto ? A meno che ripeto, l´ascensore non sboccasse direttamente, come a volte capita, DENTRO gli appartamenti di nola. Oppure, che tutti gli inquilini o almeno tutti quelli dei quarti piani fossero complici. Comunque è ovvio che questi dettagli non li avete in mano. Cercherò di procurarmeli io, ho i miei sistemi. Ovvio poi che, anche se non erano prigione, i box dei di nola poterono fornir ricetto a un paio di macchine "ritrovate" poi a Calvo lì a due passi. Giusto anche pensare che lucilio 36 fosse semplice covo, senza esser né prigione né garage compiacente. Io commentavo sulla eventuale funzione prigione, che è quel che mi sembra più importante scoprire. Ma anche altre funzioni sarebbero ovviamente rilevanti, quindi concordo sul fare ogni ipotesi. Sarebbe importante anche stabilire, come dicevo già prima che la discussione degenerasse more solito, se la dannata marcella abitasse o no lì, fosse presente o no lì al 16.3.78. Perché se c´era, delle due l´una : o era pure lei del mossad o cmq complice di eventuali usi terroristici degli spazi ; oppure ben difficilmente la figlia portava lì Moro o le macchine o covo o moretti o gallinari etc., con la mamma ficcanaso in giro. Mi occuperò anche di questo. O almeno ci provo. Poi riferirò in qualche modo, sempre se la piantate con le polemiche perché tempo da perdere non ne ho. Ed anche, per un fatto di onestà intellettuale, se quando si citano ricerche e link altrui, come su consoli, il 2004 etc., se ne creditasse o almeno ringraziasse l´autore senza insultarlo come bizzarro. Non che mi tanga, ma se uno studia Moro, deve esserne all´altezza anche morale o almeno provarci. Io se cito a qualsiasi proposito una qualsiasi virgola del sedicidimarzo o di chicchessia, la cito appunto, la credito e non me ne approprio.

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  19. Come si evince anche dalla verifica fatta in ordine alla rivista Shalom, tutti i link inseriti nell'articolo li abbiamo ricavati da soli con semplici e intuibili chiavi di ricerca su Google. Ripeto inoltre che un elaborato planimetrico complessivo dell'edificio non mi risulta esistere.

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  20. Ehi, vuoi vedere che il guidi ha fatto centro ? Chissà...Facciam così : questo primo rapporto ve lo faccio gratis. In cambio, voi pubblicate tutte le visure etc. da cui avete tratto la di nola a Lucilio 36. Se le pubblicate, continuo a riferire man mano che indago, sennò finisce qui e tanti auguri.
    Ho parlato con la vedova del Dr. Italo Niccolini di Lucilio 36, abitante d' antan. E' stato un colloquio difficilissimo, sul filo del rasoio, perché era formalmente gentile, ma appena ha sentito del caso Moro, è diventata imbarazzatissima ed ha cercato di chiudere alla svelta. Ricordava benissimo la marcella milano di nola, sapeva che era morta. Non ha voluto dirmi, con una scusa, se la milano abitasse effettivamente alla A o alla B. Forse ha temuto che fossi un ladro che cercava di carpire info per un furto, non so. Ma sono riuscito in extremis a scucirle quel che mi premeva maggiormente sapere : che fosse alla A o alla B il domicilio effettivo della milano, AL QUARTO PIANO C' ERA SOLO LEI, SOLO IL SUO APPARTAMENTO ALL' EPOCA DEI 55. E questo ovviamente, riapre, per i motivi detti supra nel thread che non voglio ripetere, l' ipotesi prigione alla grande, specie se l' ascensore, come a questo punto è logico ed ovvio dedurre, saliva e sboccava direttamente in casa di nola dal garage. Ho cercato di farle altre domande, se ricordasse la perquisizione etc., ma a quel punto voleva davvero chiudere e son riuscito solo a strapparle che di quei giorni ricorda solo "un gran tramestio" - questo in risposta alla mia domanda se al 16 marzo e in seguito, avesse notato viavai con casa di nola. E siccome la signora Niccolini era istruita e si esprimeva in ottimo italiano privo di accento, vuol dire che il viavai c' era - tramestio questo vuol dire. A questo punto però, noblesse oblige ed ho chiuso il colloquio perché la Niccolini era sulle spine e non potevo moralmente, torturarla oltre. Dunque ricapitolando : ancora nessuna prova né di covo né prigione né garage compiacente, ma precisazioni topografiche importantissime che riaprono tutte e tre le ipotesi/possibilità. Sul piano probabilistico, che la di nola figlia avesse ben 3 case vicinissime ai luoghi topici dei 55 - o meglio rovesciando, che ben 3 luoghi topici dei 55 (Calvo, Caetani, Braccianese) fossero prossimi a case di laura di nola, rende tali "coincidenze" rilevantissime. Bravo al guidi, tanto di cappello.

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    1. Premetto che la fatica dell'articolo, che abbiamo volutamente organizzare in modo elaborato per non finire a fare una trita e ritrita replica della pubblicistica stranota e che abbiamo citato là dove necessario quale unica fonte disponibile, è dell'intero gruppo. Detto questo, mi preme rimarcare che noi di ipotesi non ne abbiamo fatte e non ne facciamo; come ho detto nelle ultime repliche, abbiamo evidenziato un dato mancante in tutte le ricostruzioni, a prescindere dalla sua rilevanza o meno. Detto questo, le ripeto che fermo restando il fatto che lei ha fatto benissimo ad interpellare questa persona, chiamiamola pure testimone, in senso storico, noi sapevamo già, in base al materiale disponibile, che al quarto piano esistono solo: un alloggio nell'edificio A (interno 9) e un alloggio nell'edificio B (interno 10). L'elaborato planimetrico generale non esiste, ma neppure serve che esista. Quanto agli abitanti effettivi dei due alloggi, non siamo ovviamente in grado di sapere chi vi abitasse. Escluderemmo la signora Milano, che parrebbe risultare residente in quegli anni (ovviamente fino al decesso) ad altri indirizzi.

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    2. Eppure a me la vedova Niccolini ha detto cha la milano abitava lì all' epoca. Una cosa è la residenza ufficiale, altra può essere il domicilio effettivo. Cmq dopo 44 anni, la memoria dei testimoni può ben fare difetto. Quindi non si può dirimere. In ogni caso, gli appartamenti erano due, quindi anche se la milano ne abitava uno, non si sa cmq chi abitasse, se qualcuno all' epoca vi abitava, nell' altro. Certo se la milano stava lì, diventa difficile ipotizzare complicità - a meno che lei stessa non fosse nello stesso tipo di organizzazioni attribuito alla figlia da fonti varie. Ma anche se non dormiva lì, ne aveva le chiavi sicuro, e cmq ne era intestataria quindi col diritto di entrare etc. Quindi se quegli appartamenti furono usati a scopi criminali, la milano doveva cmq esserne a parte. In ogni caso, vedo che non avete alcuna intenzione di condividere visure e documenti né pubblicandoli né privatamente, quindi tanti auguri.

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    3. Gentile Aleth, stiamo tentando da entrambi i lati di tornare su corde più costruttive. Non si perda quindi in ultimatum sterili: le visure e le planimetrie non si possono pubblicare; punto. Se poi non si fida, le posso dare la nostra parola d'onore che tutto risponde a verità. Quello che lei dice sulla differenza tra residenza e domicilio è vero; ma non abbiamo ovviamente elementi per sapere chi occupasse quei due alloggi e relativi boxes di pertinenza. Come abbiamo evidenziato, l'unico elemento documentale conduce ad acquisire che almeno al gennaio 1983 quei due alloggi fossero occupati da imprecisati "affittuari" . Le ricerche esperite sugli atti attestano solo che ufficialmente nè la Di Nola, nè la madre, alla morte del rispettivo padre e marito, fossero residenti in Via Lucilio (per la Di Nola direi che il dato è palese, con tanto di accertamenti dei vigili urbani). E nemmeno Raffaele De Cosa, anche lui residente in Via Sant'Elena 8.
      Perchè non prova a ricontattare la sua testimone per chiederle se ricorda chi abitasse effettivamente lì dentro? Tenga presente che molto probabilmente non troveremo MAI alcun contratto di affitto....Nè noi, nè la magistratura.

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  21. Gentile Guidi,
    ho letto in rete, mi pare in intervista di Suo collega del sedicidimarzo, che Lei fa il notaio. Dunque chiedo alla Sua competenza professionale, in base a quale legge esattamente, le visure e planimetrie non si possano pubblicare. Non v'è ombra di sarcasmo nella mia domanda, è una domanda e basta, dovuta al fatto che io ignoro l' esistenza di tale legge alla quale presumo Lei faccia implicito riferimento. La mia formazione è scientifica non giuridica, chiedo pertanto venia.
    Esiste un preminente interesse collettivo, non so se sul piano giuridico, ma certamente su quelli morale, politico e, almeno per quanto mi concerne personalmente, religioso, che dovrebbe spingervi a pubblicare immediatamente quelle visure e planimetrie che da anni vi tenete nel cassetto. Inoltre : ammesso che Lei mi fornisca il quadro di riferimento giuridico che proibisce tali pubblicazioni ; non capisco perché Lei non possa inviarmi la scansione pdf di detti documenti privatamente. Non mi dica che è proibito pure questo, perché voi se ho ben capito, siete 4 o 5 nel collettivo, quindi se come Lei ha asserito supra, l' articolo lo avete scritto in 4 o 5, vuol dire che Lei o chiunque altro di voi ha preso le visure etc., le ha inviate agli altri 3 o 4 quanti siete. Non è ammissibile tra ricercatori, che non vi sia reciprocità di condivisione, anche perché come Lei sa benissimo, il caso Moro è di complessità tale, che non si risolverà in 4 o 5 o 6, ma con lo sforzo collettivo di generazioni di studiosi. E del pubblico che segue e partecipa al dibattito offrendo magari suoi input preziosi anche se non specialistici. In teoria, la magistratura ha accesso all' archivio storico degli affitti che ha sede presso l' agenzia delle entrate, vicino all' ufficio di pubblicità immobiliare di Roma dove avete preso le visure di Lucilio 36 suppongo, ma qui noi non magistrati non abbiamo accesso e questo lo so. Peraltro i conduttori cui Lei accenna potevano essere in nero. In ogni caso concordo che siano vie sbarrate per noi, ameno di non conoscere qualcuno lì dentro.
    Non è questione di fidarsi, peraltro la testimone mi ha confermato quel che Lei ha poi ammesso già aver ricavato dai documenti in Suo possesso. Forse non mi sono spiegato bene sulla testimone : è stato un miracolo se sono riuscito a farla parlare 5 minuti, stava sulle spine, sui carboni ardenti (il che implicitamente, potrebbe essere interpretato come ulteriore indizio che a Lucilio 36 ci siano davvero verità pericolose, cosa che ritengo a questo punto assai probabile). Al momento dunque, e Glielo dico dopo 20 anni di esperienza nella raccolta di testimonianze orali, questa fonte non è riattivabile. Comunque io ho altre carte da giocare per tentare di saperne di più. Ma potrei agire molto meglio dopo attento studio delle vostre visure e documenti, che al momento non posso procurarmi da solo per problemi sia economici sia di enorme lontananza da Roma. Qui non stiamo contrattando al mercato, non è questione di ultimatum. Ma non posso indagare al meglio senza verificare le risultanze documentali, né io finora ho lesinato con Lei, mie ricerche pertinenti alle discussioni sul caso di nola emerse qui, ricerche parte delle quali (Consoli, 2004, etc.) Lei ha incorporato nel Suo articolo senza neppure creditarmi. A Lei non sfugge di certo, che qui si scherza col fuoco, e che se, come ritengo ripeto probabile e come mi e Le auguro, Lei ha scoperchiato un vaso di Pandora che potrebbe rivelarsi decisivo, a indagare sul campo io metto a rischio la pelle. Ergo se tutto si chiede, tutto si deve dare. La compartimentazione, lasciamola alle presuntissime "brigate rosse".

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  22. in merito alla possibilità che nelle "immediate adiacenze" e/o "vicinanze" di via Licinio Calvo ci potesse essere stato "un covo strategico" e/o "una o più basi di appoggio, in garage o altri locali simili" non appare inutile segnalare due passaggi contenuti nella 1^ reazione della CM2

    CM 2 - RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ SVOLTA
    Approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 2015

    http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/68/audiz2/audizione/2015/12/10/leg.17.stencomm.data20151210.U1.com68.audiz2.audizione.0064.pdf

    (pagg. 149 e 150)


    16.7.
    […]
    La 128 blu si trovava all’altezza del civico 27 di via Licinio Calvo.
    Aveva a bordo una sirena collegata con una piccola batteria. La sua precisa descrizione è riportata nel relativo processo verbale, scritto all’1,30 del 20 marzo negli uffici del commissariato Montemario. Sono state effettuate successive acquisizioni provenienti dalle Teche Rai per chiarire ulteriormente la circostanza del ritrovamento delle due Fiat 128.
    Le cronache ricordano: « L’inchiesta si ingarbuglia con il ritrovamento di un’altra auto usata dai terroristi. Sia i poliziotti che alcuni abitanti del posto sono disposti a giurare che prima [...] la 128 blu non c’era ». La sera di domenica 19 marzo il dirigente del commis-sariato, Marinelli, imbocca via Licinio Calvo a bordo di una pantera e nota quell’auto (S. Criscuoli, Affannose ricerche senza esito, l’Unità, 21 marzo 1978,1). « Sulla carrozzeria non vi è traccia né di fanghiglia né di gocce di pioggia. E poiché dal giorno del rapimento di Moro a Roma è piovuto, si dovrebbe dedurre che l’auto è stata tenuta in un garage. E neppure tanto lontano da via Licinio Calvodicono gli inquirenti » (P. Gambescia, Spuntano a sorpresa le auto delle br, l’Unità, 21 marzo 1978,2).
    Se Morucci non avesse sostenuto la tesi dell’abbandono immediato di tutti i veicoli avrebbe egli stesso attestato l’esistenza di un covo strategico nelle immediate adiacenze di quella famosa via” .
    […]

    16.9.
    Si è già detto che di una base non scoperta parlò esplicitamente anche il Procuratore generale nella sua requisitoria. In quell’occasione il magistrato ritenne « logico pensare che i terroristi avessero predisposto nelle vicinanze di via Licinio Calvo una o più basi di appoggio, in garage o altri locali simili e idonei, appartenenti a persone del tutto insospettabili ».

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  23. nel corso di una intervista a RaiNews24 del luglio 2005 Giovanni Galloni (ex vice-segretario della DC ed ex vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura) affermò:
    « Non posso dimenticare un discorso che ebbi con Moro poche settimane prima del suo rapimento. Discutevamo con Moro delle BR, delle difficoltà di trovarne i covi delle BR e Moro mi disse: "La mia preoccupazione è questa: che io ho per certo la notizia che i servizi segreti sia americani sia israeliani hanno degli infiltrati all'interno delle BR. Però non siamo stati avvertiti di questo, perché se fossimo stati avvertiti probabilmente i covi li avremmo trovati" »

    https://www.youtube.com/watch?v=IR17BOVfj0Y (0:26 > 1:16)

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  24. (1/2)
    http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/68/audiz2/audizione/2016/10/12/indice_stenografico.0106.html
    Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro
    Seduta n. 106 di Mercoledì 12 ottobre 2016
    [...]
    PRESIDENTE. Tra i reperti trovati a via Gradoli c'era una chiave di un'auto Jaguar con un talloncino che rimandava a Bruno Sermoneta, commerciante del Ghetto. Bruno Sermoneta aveva venduto la macchina nel dicembre del 1975 a tale Serafina Cosentino, ma chi la usava effettivamente era suo figlio Ugo Amato. Il suo nucleo, generale, ricevette dal dottor Francesco Amato l'incarico di procedere all'indagine.
    Nel rapporto lei riferì che dalle prove effettuate la chiave non apriva la Jaguar e che tanto Sermoneta che Amato negarono di aver perso la chiave. Aggiunse, inoltre, che Sermoneta e Amato non risultavano vicini a movimenti extraparlamentari.
    Un po’ di mesi dopo, nel 1979, Sermoneta fu nuovamente interrogato, questa volta non da lei, ma dalla Polizia, e disse tutt'altre cose. Riconobbe che la chiave era una di quelle della Jaguar che lui possedeva, prima che cambiasse il bloccasterzo, e ne consegnò altre copie. Non risulta comunque, né prima, né dopo, nessuna indagine per approfondire questa vicenda.
    Se a via Gradoli, in uno dei covi delle BR, uno trova la chiave di una Jaguar in uno dei covi delle BR, è un elemento di un qualche interesse. Ancora di più se la chiave è di proprietà – voi cercavate cose nel Ghetto – di qualcuno che ha qualcosa a che vedere col Ghetto. L'indagine però, viene chiusa in quattro e quattr'otto, prima dicendo che la chiave non apre la portiera, poi dicendo che, comunque, non era nulla di rilevante, perché era stato cambiato il bloccasterzo. A questo punto, ricorda perché l'autorità giudiziaria non le chiese di fare ulteriori indagini e approfondimenti?
    ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. No, presidente, questo particolare non me lo ricordo. Non so se durante la perquisizione quella chiave fu acquisita da noi o dalla DIGOS.

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  25. (2/2)
    PRESIDENTE. Perché poi si è dimostrato che questo Sermoneta ha avuto una serie di rapporti con il mondo... Viene detto che non aveva rapporto con il mondo dell'eversione, poi invece...
    In un testo pubblicato, una fonte aperta, si legge: «Tra il copioso materiale sequestrato il 18 aprile nel covo di via Gradoli – di cui abbiamo trovato riscontro – c'era un'altra traccia che avrebbe potuto condurre subito gli inquirenti al Ghetto ebraico: la chiave di un'auto Jaguar con un talloncino su cui c'era scritto il nome del proprietario, Sermoneta Bruno, commerciante di tessuti e titolare di un ampio negozio in via Arenula, vicino al Ghetto ebraico, dotato di vari automezzi e furgoni. Anche in quel caso, inspiegabilmente, le indagini vennero avviate con molto ritardo, il 12 ottobre 1978, su delega dell'Ufficio istruzione. Se ne occupò il colonnello dei Carabinieri Cornacchia, il quale, contravvenendo alle elementari norme di polizia giudiziaria non svolse indagini preliminari nei riguardi del Sermoneta, anzi, lo informò che nel covo di via Gradoli era stata trovata una chiave col suo nome, così, quando il Sermoneta venne interrogato, il 5 marzo 1979, sapeva già rispondere. Venne, inoltre, completamente trascurata la segnalazione di una fonte confidenziale del SISMI» – ammesso che lei ne fosse stato a conoscenza – «sui rapporti del Sermoneta con la sospetta brigatista Anna Buonaiuto, frequentatrice dell'appartamento di Laura Di Nola in via Sant'Elena, dove, durante il sequestro, erano soliti riunirsi i militanti dell'ultrasinistra. La Di Nola, deceduta nel luglio del 1979, è figlia di un commerciante di tessuti, proprietario di un negozio con un magazzino in piazza Paganica, molto vicina a via Caetani, ed era una collaboratrice dell’intelligence israeliana».
    Adesso, mi rendo conto che sono passati tanti anni, ma la domanda è: perché lei non insistette in questa indagine?
    ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. No, presidente, non saprei cosa dire. Poi è strano che, se il giudice istruttore, non so chi era...
    PRESIDENTE. Amato.
    ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. Amato. Se il giudice avesse fatto questa richiesta, io penso che avrebbe avuto la risposta.
    PRESIDENTE. La risposta è quella che ho detto. La sua risposta era che quella chiave non apriva la Jaguar. Poi – dopo, però – Sermoneta spiega che la chiave non apriva perché lui nel frattempo aveva cambiato il bloccasterzo. La cosa che sembra strana è che questo Sermoneta nel Ghetto aveva una frequentazione con ambienti, diciamo, contigui alle BR e questo forse avrebbe avuto qualche...
    ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. Questo, al di fuori di quell'accertamento, ovviamente. Poi, invece, la Polizia ha detto tutt'altra cosa.
    PRESIDENTE. No, la Polizia ha completato. Sermoneta ha detto che non apriva perché aveva cambiato il bloccasterzo e che era una chiave che lui aveva perso, però tutto il resto è stato dimenticato.
    [...]

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  26. https://www.booksprintedizioni.it/libro/Romanzo/il-bostoniano
    libro del 2022 di vincenzo marini recchia responsabile sicurenzza del PCI autore anche del famoso libro operazione moro degli anni 80 penso possa esssere interessante

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