ATTRAVERSANDO IL TEVERE: BALDUINA - GHETTO - BALDUINA
ALCUNE RICERCHE SU LAURA DI NOLA DAL 1978 AI NOSTRI GIORNI
“A me invece Roma piace moltissimo:
una specie di giungla, tiepida, tranquilla,
dove ci si può nascondere bene”.
Marcello Mastroianni ne “La Dolce vita”
Federico Fellini, 1960.
(Citazione tratta da “Dolce vita, dolce morte”,
di Giancarlo De Cataldo, ed. Rizzoli-Novelle nere, ottobre 2022)
A cura di: SEDICidiMARZO
INTRODUZIONE
Il nome di Laura Di Nola, nata a Roma il 3 dicembre 1932, nel 1978
militante del Partito Radicale, scrittrice, saggista, promotrice e
"tutrice" di alcuni dei primi gruppi di cultura omosessuale ed
alternativa - come si diceva allora- sorti in quegli anni in Italia, entrò
incidentalmente nell’inchiesta sul sequestro e sull’omicidio di Aldo Moro, stando
ai documenti ufficiali disponibili, solo dopo la tragica conclusione del
sequestro, a partire dalla fine dell’estate 1978.
Due inchieste parallele, sviluppatesi in quella parte finale del 1978,
riguardarono il ghetto di Roma, focalizzando infatti l’attenzione degli
inquirenti sulla presunta cellula eversiva che essi supposero fosse costituita,
tra gli altri, da Anna Buonaiuto, Rosa Nicoli, Bruno Sermoneta (il cui nome era
stato già rinvenuto nel talloncino apposto sulla chiave di una Jaguar ritrovata
il 18 aprile 1978 nel covo di Via Gradoli) e i coniugi Laura Di Nola e Raffaele
De Cosa, residenti in Via Sant’Elena 8.
Quelle indagini non condussero peraltro, va ricordato, ad alcuna
imputazione, quanto al sequestro e all’omicidio di Moro, per nessuna delle
persone nominate.
Laura Di Nola morì prematuramente neppure un anno dopo l’avvio di quelle
indagini, ufficialmente il 7 luglio 1979.
In modo assai singolare, le due inchieste, stando alla documentazione
disponibile, seguirono due binari che sembrano essere rimasti del tutto
autonomi, senza alcuno scambio informativo né coordinamento tra loro:
- l’uno, attivato e seguito dal Sismi in base a proprie “fonti”, che aveva
riguardato anche la presunta individuazione del musicista russo Igor Markevitch
quale figura di spicco della gestione del sequestro e degli interrogatori di
Moro;
- l’altro, attivato e seguito dall’Ufficio Istruzione di Roma con l’ausilio
dei vigili urbani, in esito all’arresto, avvenuto a Pavia il 4 luglio 1978, del
giovanissimo estremista Elfino Mortati (ricercato per l’omicidio del Notaio Gianfranco
Spighi di Prato), il quale già nel primo interrogatorio reso a Firenze aveva fatto
riferimento ad alcune presunte “basi”
dell’eversione nella Capitale, due delle quali situate nel ghetto, ove egli
aveva soggiornato o che comunque aveva frequentato nel periodo della sua
latitanza, durante il sequestro Moro.
Questi due percorsi di inchiesta, pur partendo da scaturigini diverse,
giunsero, senza che all’apparenza vi sia stato alcun punto di contatto,
all’uguale risultato di individuare quell’identico contesto di luoghi e persone
ritenuti sospetti, facendo di fatto perno sul presunto ruolo dell’abitazione
dei coniugi Di Nola e De Cosa in Via Sant’Elena n. 8 quale possibile covo di
fiancheggiatori, se non addirittura di appartenenti a pieno titolo, alle
Brigate Rosse.
Tuttavia, formuleremo anche una nuova e diversa ipotesi sulla possibile
intersezione delle due indagini, ed in ogni caso si evidenzierà come non si può
escludere che un punto di incontro tra i due filoni vi sia stato.
Infatti, questa identità di risultati raggiunti dagli Organi attivatisi,
pur muovendo da punti di partenza diversi, porta a chiederci come fu possibile,
in particolare, che i vigili urbani, nel giro di pochi giorni dall’incarico di
compiere accertamenti conferitogli dall’ufficio istruzione di Roma, poterono
attestare al magistrato di avere in sostanza individuato nell’appartamento di
Via Sant’Elena 8 proprio uno degli appartamenti sospetti cui si era riferito
Mortati, il quale oltre tutto ne aveva fatto una descrizione assai sommaria e
generica.
Nonostante il fatto che gli esiti giudiziari di quelle indagini restarono
privi di conseguenze per quelle persone, i ricercatori e i pubblicisti, alcuni
dei quali già membri o consulenti delle Commissioni parlamentari, in virtù dello svolgimento stesso di
quell’inchiesta e del fatto che il cadavere di Moro era stato fatto ritrovare
in una Via di quell’area, hanno focalizzato l’attenzione, nel corso dei
decenni, sull’ipotesi, avanzata anche con una certa tenacia da parte di alcuni
di costoro, che proprio nel Ghetto di Roma dovesse situarsi quanto meno un covo
delle B.R.
Ci pare di poter rinvenire due eccezioni a questa apparente “fossilizzazione”
dell’attività di ricerca e di studio nei ristretti confini di quello storico
quartiere del centro di Roma.
La prima, è costituita da un passaggio particolarmente enigmatico del
testo, comunque imprescindibile, anche se ad esso si volesse guardare con
lettura puramente critica, "L'affaire Moro", scritto come noto
di getto nell'estate 1978 da Leonardo Sciascia, che, riletto oggi, sembra assumere
le suggestive vesti dell’allegoria. Ce l’ha riportato alla mente, non da ora,
la lettura dell’ottimo libro di Damilano "Un atomo di verità-Aldo Moro
e la fine della politica in Italia", pubblicato da Feltrinelli nel
2018, nel quale Damilano ha ricordato il criptico richiamo del grande Autore
siciliano all’"l'invenzione della Croce" ad opera di Sant'Elena.
Data l’assenza, a quell’altezza cronologica, di informazioni concrete sulle
indagini nel ghetto di Roma, quell’allusione di Sciascia acquisisce quanto meno
il crisma dell’originalità, se non dell’intuizione preveggente.
La seconda eccezione è invece uno specifico inciso, in questo caso niente
affatto allegorico bensì assai concreto, riportato nel libro scritto dall’ex Presidente
della Commissione Moro-2, Giuseppe Fioroni, insieme alla giornalista Maria
Antonietta Calabrò, dopo la fine dei lavori della Commissione da lui
presieduta, pubblicato nel 2019 per le edizioni Lindau (in seconda edizione),
intitolato “Moro-Il caso non è chiuso- La verità non detta”.
L’inciso del libro di Fioroni, per la particolare ed
esplicita connessione con i risultati della nostra ricerca, costituirà oggetto
specifico della parte conclusiva di questo saggio, alla quale quindi si rinvia.
Il presente studio muove, al di
là della già ricordata assenza di esiti processuali, dal dato di fatto
dell’esistenza di quei gravi sospetti nutriti inizialmente dagli inquirenti in
ordine all’esistenza di un presunto covo di eversori aventi base
nell’abitazione dei coniugi Di Nola e De Cosa, per giungere a rilevare il fatto
che le ricerche seguite a quei sospetti, tanto da parte degli inquirenti che
degli studiosi della materia, non hanno mai guardato oltre il ristretto ambito
del ghetto di Roma.
Come si vedrà, infatti, a quelle ipotesi investigative, se si escludono
alcuni accertamenti in ordine a Via dei Bresciani (uno dei luoghi
esplicitamente ricordati da Mortati) e a
Trevignano Romano, non hanno mai fatto seguito ulteriori ricerche a più ampio
raggio sulle persone inizialmente coinvolte, ed in particolare su Laura Di
Nola, e l’indagine, anche storica, è rimasta sempre focalizzata sul dato più
immediatamente percepibile, ovvero sia la residenza di costei in Via
Sant’Elena, forse perché eccessivamente condizionata dal tentativo di
individuare in quei dintorni i luoghi sommariamente descritti da Elfino
Mortati.
Tra l’altro, anche l’estensione delle indagini a Trevignano Romano – Comune
nel quale venne accertata in effetti una proprietà immobiliare dei coniugi Di
Nola-De Cosa - non fu frutto di una qualche intuizione investigativa originale,
bensì fu indotta da una dichiarazione resa de relato ai vigili urbani
che indagavano su Via Sant’Elena 8 – a quanto sembra, e fatta salva l’ipotesi
che proporremo- dalla portinaia di quello stabile, secondo la quale la stessa
Di Nola nel periodo del sequestro l’avrebbe avvertita che si sarebbe
allontanata da Roma, lasciandole un recapito risultato poi appartenere ad
un’utenza di quella località.
Ma prima di estendere l’attenzione a Trevignano Romano, forse gli
inquirenti – ed in seguito, anche i pubblicisti autori di saggi di inchiesta e
di analisi storica - avrebbero potuto a nostro parere tentare di individuare
l’esistenza, proprio su Roma, di qualche altro elemento riferibile a Laura Di
Nola.
Ed è ciò che esattamente si è tentato di fare con questa nostra ricerca. E’
infatti a Roma che noi resteremo, durante questo ideale tragitto sulle tracce
di Laura Di Nola, che ci condurrà, precisamente, partendo dal ghetto, alla
Balduina.
I)
-ROMA, 1978- L’ATTIVAZIONE DEL SISMI
Nel 1980 (cfr. :“Il delitto
infinito- Ultime notizie sul sequestro Moro”, di Silvio Bonfigli e Jacopo
Scè, già consulenti della Commissione Parlamentare sulle Stragi, ed. Kaos,
2002, pag. 170 e segg.; “Il covo di Stato e la prigione fantasma”,
dell’ex senatore del PCI, Sergio Flamigni, già membro, tra l’altro, della prima
“Commissione Moro”, di seguito CM-1, ed. Kaos, 2016, pagg. 100 e segg.), il
Sismi produceva alla CM-1, con la classificazione “segretissimo”, un “Rapporto
per l’inchiesta parlamentare sulla strage di Via Fani sul sequestro e
l’assassinio di Aldo Moro” (CM-1, vol. 106, pagg. 1 e segg.), nell’ambito
del quale – all’interno del paragrafo intitolato “periodo successivo al
rinvenimento del cadavere dell’onorevole Moro (3° fase)” - il Sismi
comunicava tra l’altro all’Organismo parlamentare (ibid. pag. 89), un appunto
riassuntivo, assai succinto, di una segnalazione del 14 ottobre 1978 con la
quale un’imprecisata fonte del Servizio aveva fatto riferimento alla persona di Igor Markevitch
quale figura di primo piano all’interno delle BR al punto da avere “condotto
tutti gli interrogatori di Moro”, indicando poi tali “Anna” e “Franco”
quali esecutori materiali dell’omicidio dell’uomo politico.
Il Sismi aggiungeva, a conclusione
dell’appunto per la CM-1, che dagli “accertamenti svolti, anche con
l’intervento di Servizi collegati” non erano emersi “peraltro elementi
di conferma della notizia”.
Incidentalmente, l’indicazione dei
nomi “Anna” e Franco” quali carnefici di Moro, per una coincidenza difficilmente
spiegabile, sarebbe stata contenuta di lì a poco dopo in modo identico nel noto
racconto “Cristo nella plastica” dello scrittore italo-americano Pietro Di
Donato, poi pubblicato dal settimanale “Penthouse” nel dicembre 1978.
Le anticipazioni riportate da parte
del quotidiano “Il Tempo” (articolo a firma Giuseppe Longo del 15 novembre: CM-1,
vol 34, pagg. 243 e segg, e vol. 118, pag. 27 e segg.) del contenuto di quel
racconto, che faceva tra l’altro riferimento ad un garage di supporto del
commando autore del sequestro sito in Via della Balduina, avevano originato alcuni
accertamenti del commissariato di Polizia Montemario, in esito ai quali il
commissario Marinelli aveva comunicato al Questore, il 17 novembre,
l’individuazione, in un complesso di proprietà dello IOR, di un garage con
doppio accesso da Via Massimi 91 e da Via della Balduina n. 323 (CM-1, vol. 34,
pag. 612).
Senza entrare nel merito in questa
sede di alcuni elementi di opacità presenti nel rapporto di Marinelli, resta il
fatto che le indagini scaturite da quel
racconto dimostrano come l’attenzione delle forze dell’ordine, in merito a
possibili basi del commando e finanche ad un possibile luogo di iniziale
prigionia di Moro alla Balduina, già attivata fin dalle prime ore dopo il
sequestro dalle segnalazioni da parte di “fonti” informative con vario grado di
attendibilità, fosse evidentemente
ancora assai alta pur otto mesi dopo il sequestro.
L’appunto redatto dal Sismi per la
CM-1 nel 1980 costituisce oggettivamente un riepilogo del tutto deficitario
delle reali dimensioni delle segnalazioni pervenute al Servizio e dell’attività
di indagine svolta dal Servizio stesso nel 1978.
Tralasciando i dubbi avanzati da
alcuni sulla veridicità della data del 14 ottobre 1978 attribuita dal Sismi
alla segnalazione ricevuta dalla propria “fonte”(Scè e Bonfigli parlano
di data “fittizia”; pag. 174, op. cit.), si rileva che in primo
luogo non risulta agli atti alcuna nota informativa od alcun appunto del
Servizio che, per analogia di contenuto, possa considerarsi la scaturigine di
quel riassunto del 1980 ad uso della CM-1.
Ma soprattutto il Sismi, come
sarebbe poi emerso, non si era occupato solo della figura di Igor Markevitch,
ma aveva svolto anche ulteriori accertamenti, tra i quali quelli in ordine alle
persone che erano risultate gravitare intorno all’appartamento di Via
Sant’Elena 8, detenuto da Laura Di Nola e Raffaele De Cosa.
Non è dunque chiaro perché il Sismi
nel 1980 non riferì alla CM-1 – e, stando ai citati ex consulenti della
Commissione Stragi (pag. 173, op. cit.), neppure agli inquirenti- anche
gli ulteriori aspetti emersi dalle proprie indagini.
Grazie alla saggistica in materia –
unica fonte disponibile sul punto – è stato infatti possibile apprendere di una
ulteriore nota del Sismi attribuita all’ex colonnello Demetrio Cogliandro,
datata ufficialmente 9 dicembre 1978, che quindi ben prima del rapporto del
Sismi per la CM-1 riportava, oltre ad un primo punto concernente di nuovo la
persona di Igor Markevitch, quanto riferito da “Fonte molto attendibile”
(Bonfigli e Scè, op. cit. pagg, 174 e 175), e cioè che:
“2. Presso il Comune di Roma sono
stati assunti molti fiancheggiatori delle Brigate Rosse, che suddivisi
successivamente in piccoli gruppi hanno dato vita a vere e proprie cellule
eversive. A conforto di tale affermazione, (la fonte: ndr) ha citato la Balzerani e la Mariani Gabriella (inquisite
per la vicenda Moro), e ha riferito che in Via Gradoli fu trovata la chiave
dell’autovettura “Jaguar”, targata H…Via Aurelia n. 701.
L’auto era appartenuta
originariamente a tale Sermoneta, amico di una brigatista residente in via di
S. Elena n. 8. A questo indirizzo è stata più volte notata Buonaiuto Anna
facente parte del gruppo in argomento. Al tempo della vicenda Moro, gli
occupanti dell’appartamento si allontanarono da Roma per evitare perquisizioni
e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano sito in Via Garibaldi.
Accertamenti – Gli occupanti
dell’appartamento sono stati identificati nei coniugi Di Nola, residenti in via
di S. Elena 8, e i corrispondenti di Trevignano sono: Cecconi Settimio,
professore di filosofia, abitante in via del Monte, Franchini Antonio,
coniugato Gerometti, al momento non meglio identificato.”.
Il generale Cogliandro in una
deposizione del 6 febbraio 2001 (Bonfigli e Scè, op. cit. pagg. 176-177,
e ivi nota n. 11) confermerà la matrice di origine israelita della “fonte”,
lasciando trapelare in modo sia pure criptico che si trattasse del capitano
Antonio Fattorini, suo ex collaboratore e noto – sempre a detta del Cogliandro-
nell’ambiente del Sismi come “mezzo ebreo”, per i buoni rapporti che costui,
secondo Cogliandro, aveva con l’intelligence di Israele.
La connotazione israelita, in
effetti, caratterizzava sia lo scenario topografico in cui quelle notizie si
collocavano, sia alcune delle persone nominate, come Laura Di Nola e (Bruno) Sermoneta.
Questo appunto risulta del tutto
assente nella documentazione acquisita dalla CM-1 e dalla magistratura; venne
acquisito agli atti della Commissione Stragi ed analizzato e commentato,
appunto, dai consulenti Scè e Bonfigli, nell’ambito della rinnovata ribalta
avuta nel 1999 dalla figura di Igor
Markevitch e del suo presunto ruolo durante il sequestro di Aldo Moro.
Vladimiro Satta, nel suo saggio “Odissea
nel caso Moro”, Edup Edizioni, 2003, colloca questo appunto nella sezione
“Moro 7/26 a” dell’Archivio Commissione Stragi, aggiungendo che la
citazione da parte di Bonfigli e Scè è “parziale e non integrale” - pur
essendo la parte mancante definita dall’autore “di sicuro interesse” -
in quanto l’appunto stesso è (o era, all’epoca) interamente classificato come “riservato”
(V. Satta, op. cit. nota n. 306, pag. 137).
Peraltro una copia fotostatica
parziale dell’appunto stesso si trova riprodotta dal giornalista dell’ANSA e
saggista Paolo Cucchiarelli nel suo libro “Morte di un Presidente”, ed.
Ponte alle Grazie, 2016, pag. 280.
Le notizie acquisite dal Sismi sul “gruppo
in argomento” gravitante attorno all’appartamento dei coniugi Di Nola,
attestavano dunque espressamente l’esistenza- a dire di quel Servizio – di una
vera e propria “cellula eversiva”. Ciò nonostante, sembra che queste
informazioni siano rimaste confinate nell’ambito puramente interno del Servizio
almeno fino al 1980, e che, di conseguenza, esse non si incrociarono con i dati
che, a quanto pare, anche la magistratura era intanto andata acquisendo per
altra via.
Tuttavia, alcuni elementi potrebbero
indurre a formulare viceversa l’ipotesi che quelle informazioni del Servizio,
contrariamente alle apparenze emerse fino ad oggi. in qualche modo interagirono
con le altre indagini in corso.
II)- ROMA, 1978
LE INDAGINI SCATURITE DALLE
DICHIARAZIONI DI ELFINO MORTATI
II-1) IL NULLA DI FATTO DI DIGOS,
CARABINIERI E GUARDIA DI FINANZA.
IL RISULTATO POSITIVO DEI VIGILI
URBANI E I LORO PRIMI DUE RAPPORTI DI
SETTEMBRE
Elfino Mortati, come detto
nell’introduzione, venne arrestato a Pavia il 2 luglio 1978 (cfr. per
riferimenti indiretti la nota della Questura di Roma del 5 luglio 1978, CM-1,
vol. 62, pag. 531).
Nel corso dei primi interrogatori a
Pavia e Firenze, era emerso, tra le altre cose, che nel periodo di latitanza
tra il febbraio e il maggio 1978 egli era stato condotto da tali “Anna” e
“Massimo” in un appartamento a Roma in Via dei Bresciani 4, che sarebbe stato
frequentato tra gli altri anche da Enrico Triaca (cfr. nota Questura sopra
citata. Quello di “Anna” è un nome che, come si vede, ricorrerà trasversalmente in varie tipologie di
documenti, a quell’altezza cronologica successiva alla conclusione del
sequestro; una tale “Anna” apparirà infatti, successivamente, anche come
personaggio rilevante nel fumetto pubblicato dalla rivista dell’area di
Autonomia, “Metropoli”)
Nella deposizione del 10 luglio
(CM-1, vol. 64, pagg. 487 e segg., ma anche in vol. 116, pag. 303 e segg.) in
merito alla sua latitanza a Roma nel periodo del sequestro Moro, Mortati aveva dichiarato, tra le altre cose, di avere soggiornato anche
in due appartamenti situati sicuramente nella zona del ghetto di Roma - tuttavia
facendone una descrizione
sostanzialmente assai imprecisa e sommaria – oltre al fatto che di avere
intuito che i frequentatori di quegli appartamenti, tra i quali – per l’appunto- una certa “Anna”,
“dai discorsi che facevano….comunque
avevano a che fare con le Brigate Rosse” (CM-1, vol. 116, pag. 304).
A seguito di queste dichiarazioni,
il giudice Priore aveva richiesto subito alla Digos, quello stesso 10 luglio
(CM-1, vol. 116, pag. 302), di svolgere con la “massima urgenza indagini di
p.g. al fine di accertare l’esatta ubicazione degli appartamenti di cui al
verbale testimoniale di Mortati Elfino, reso in data odierna”, cui si
aggiungeva la richiesta di “identificare le persone di cui allo stesso
verbale” (CM-1, vol. 116, pag. 302).
Successivamente alla risposta
recante l’esito negativo delle prime indagini da parte della Digos (CM-1, vol.
116, pag. 301), il successivo 11
settembre l’Ufficio Istruzione di Roma, con plurime note del giudice Achille
Gallucci, richiedeva nuovamente alla Digos (CM-1, vol. 33, pag. 974), oltre che
alla Guardia di Finanza (CM-1, vol. 33, pag. 795), ai Carabinieri (CM-1, vol.
35, pag. 249) e ai Vigili Urbani (CM-1, vol. 62, pag. 823) , di “accertare,
con accurate indagini, se”, nelle
diverse zone, vie e piazze del Ghetto che il magistrato aveva rispettivamente
loro assegnato all’interno del perimetro delimitato tra il Lungotevere, Via Arenula, Piazza Ara
Coeli, Via Botteghe Oscure e Via del
Teatro Marcello, vi fossero “abitazioni nelle quali si possa fondatamente
sospettare abbia trovato ricetto il noto Mortati Elfino e se esistano locali
idonei a dar ricetto ad una autovettura”.
La Digos (CM-1, vol. 33, pag. 975),
la Guardia di Finanza (CM-1, vol. 33, pag. 796) e i Carabinieri (CM-1, vol. 35,
pag. 250), avevano comunicato alla magistratura gli esiti totalmente negativi
delle loro indagini, con note datate rispettivamente 28 ottobre (la Digos), 28
settembre (la GdF), e, quanto ai carabinieri del Reparto Operativo, con
rapporto a firma del Colonnello Antonio Cornacchia, addirittura il 13 gennaio
1979.
Non così i Vigili Urbani, i quali
appena cinque giorni dopo l’emissione della richiesta di indagini da parte del
magistrato, il 16 settembre avevano già redatto una prima nota con la quale,
sostanzialmente, affermavano di dover comunicare “con urgenza” all’Ufficio
Istruzione, nonostante le indagini fossero ancora in corso, i “particolari”
emersi dal “riscontro di fatto”, operato quella stessa mattina.
In sostanza essi attestavano di
avere individuato quale elemento di specifico interesse l’edificio in Via
Sant’Elena 8, e in particolar modo l’appartamento al quarto piano identificato
con l’interno n. 9, sulla cui anta di ingresso destra era stata rilevata
l’indicazione dei nomi “De Cosa” e “Di Nola” (CM-1, vol. 62, pagg. 825).
Il rapporto dei vigili urbani
scriveva che (le sottolineature sono nostre) “Trattasi dell’edificio qui
sito al civico 8 di Via S. Elena, ovverosia al riscontro di fatto, operato questa
mattina, di alcuni elementi, già noti a Codesto Ufficio, che sono stati
rilevati in detto edificio”, parole con le quali in sostanza i vigili
attestavano all’autorità giudiziaria l’avvenuta identificazione da parte loro
dell’esistenza di un sostanziale legame tra quell’edificio e uno dei due
descritti sommariamente da Elfino Mortati.
In quel primo rapporto, i vigili
urbani avevano inoltre precisato di avere effettuato l’accesso nell’edificio
con il simulato pretesto di verificare l’eventuale esistenza di abusi edilizi (per
i dettagli di quel resoconto, si rinvia al testo integrale rapporto).
Pochi giorni dopo, precisamente il
20 settembre, i vigili urbani avevano effettuato un secondo sopralluogo, con il
pretesto di verifiche connesse alla corretta riscossione delle tasse sulla
raccolta dei rifiuti, concentrandosi di nuovo sull’appartamento interno 9 di
Via Sant’Elena 8. In questa occasione i vigili avevano riscontrato la presenza
di Laura Di Nola, oltre ad un giovane già visto frequentare quell’appartamento
nel corso della precedente occasione. Il rapporto del 20 settembre indicava,
tra l’altro, le generalità di Laura Di Nola, risultata affittuaria
dell’appartamento, di proprietà della famiglia Pediconi.
La Di Nola aveva dichiarato ai
vigili che l’appartamento non aveva pertinenze di alcun tipo (rinviamo al
documento integrale per gli altri dettagli: CM-1, vol 62, pag. 861-862).
Il successivo 2 novembre, il giudice
Rosario Priore aveva disposto che i vigili urbani compissero ulteriori indagini
“nella zona indicata” “principalmente al fine di accertare se in essa
si trovino locali idonei a dar ricetto ad autovetture” (CM-1, vol. 62, pag.
856).
II-2) IL PRIMO DEI DUE RAPPORTI DEI
VIGILI URBANI DI NOVEMBRE 1978.
La “zona indicata” in questa nuova
richiesta di indagini da parte di Priore era quella già attribuita ai vigili
nella prima richiesta di Gallucci dell’11 luglio, cioè quella“compresa tra Via Arenula, Via
del Pianto, Via Reginella, Piazza Mattei, Via Paganica, Largo Arenula” (CM-1,
vol. 62, pag. 823, cit.).
La risposta dei vigili anche questa
volta non aveva tardato, giungendo pochi giorni dopo, con un rapporto al
Giudice Priore, la cui data è illeggibile nella copia riprodotta in CM-1, vol.
62, pag. 857, ma è indirettamente databile in base ad alcuni elementi, in parte
estrinseci, in un arco compreso tra la data della richiesta di Priore e il
successivo 16 novembre.
I vigili avevano riferito al magistrato,
con questo rapporto, che “…in ottemperanza a quanto richiesto dalla S.V. con
nota del 2 c.m.” avevano contattato riservatamente la portinaia dello
stabile di Via Sant’Elena 8, la quale, come si è già accennato
nell’introduzione di questa ricerca, stando al resoconto dei vigili aveva loro riferito
che “nel periodo del sequestro del noto personaggio, la Di Nola Laura, che
abita com’è noto al n° interno 9 dello stesso stabile, si sarebbe
allontanata dalla sua abitazione lasciandola vuota”, lasciandole “un
recapito telefonico presso il quale (la portinaia) avrebbe dovuto
comunicarle eventuali interventi forzosi nella sua abitazione da parte delle
forze dell’ordine”, recapito che poi i vigili attestavano di avere
accertato corrispondere all’utenza di un bar sito a Trevignano Romano.
Rispetto alla specifica richiesta
del 2 novembre da parte di Priore, nulla veniva detto in ordine alla ricerca in
quell’edificio (o nei pressi) di un luogo adatto a dare un riparo ad
autovetture; rimane la possibilità, in linea teorica, che eventuali notizie in
ordine a questo specifico aspetto si trovassero nella pagina mancante di quel
rapporto, la cui numerazione manuale in alto a destra delle due pagine
disponibili salta dalla numero 4940 alla numero 4942. Si tratta
tuttavia di un nodo che ad oggi è ancora impossibile sciogliere, essendo
dispersa chissà dove quella pagina.
Vale qui la pena almeno di accennare
che questo rapporto pone alcuni problemi, che non ci risultano mai rilevati in
precedenza.
Il primo problema è che ad esso
risulta allegato (pag. 858, volume 62, CM-1), uno stato di famiglia di Laura Di
Nola, che reca la data del 15 settembre.
Se i vigili avevano dunque a
disposizione già il 15 settembre uno stato di famiglia specificamente
riguardante Laura Di Nola e Raffaele De Cosa, per quale ragione nel loro primo
rapporto del 16 settembre (cioè del giorno successivo al rilascio
di quello stato di famiglia) essi “certificarono” a quest’ultima data l’individuazione
di quell’appartamento e dei nomi “ Di Nola” e “De Cosa”, rappresentando
i fatti come se si fosse trattato di una sconcertante novità assoluta, di una
sorprendente scoperta contestuale a quel sopralluogo del giorno 16?
Questo palese paradosso cronologico
rende in definitiva plausibile quanto meno l’ipotesi che quella coppia fosse
sotto osservazione da prima del sopralluogo, e che in data 16 settembre fu
effettuato un sopralluogo mirato nell’edificio che già prima del 16
era stato identificato quale residenza della coppia Di Nola- De Cosa.
Non è neppure ben chiara, inoltre,
la ragione per la quale quello stato di famiglia - del 15 settembre - fu
allegato a questo rapporto - di novembre - visto che le sue risultanze
attestavano una circostanza ormai ampiamente acquisita dai vigili urbani già da
settembre, come per altro essi ribadivano in questo stesso rapporto (“la Di
Nola Laura ….abita com’è noto al n° interno 9 dello stesso stabile”).
Ulteriori aspetti problematici
emergono inoltre sul piano della coerenza complessiva dello svolgimento dei
fatti, dal confronto di questo rapporto con le deposizioni che invece la
portinaia rese al giudice Priore, confronto che origina consistenti questioni
sia sulla parte di quel rapporto dei vigili che più strettamente descriveva la loro
attività, sia, in misura maggiore, sulla parte del rapporto stesso che
riguardava le affermazioni della portinaia in merito a quanto comunicatole
dalla Di Nola.
Sotto il primo profilo, i vigili
descrissero una propria attività improntata ad una particolare riservatezza allorché,
“in ottemperanza – come si legge testualmente - a quanto richiesto dalla S.V. – cioè
il giudice Priore- con nota del 2 c.m., riferivano al giudice di
avere “interpellato opportunamente” la
portinaia dello stabile, come se in sostanza ne stessero raccogliendo, con la
massima cautela del caso, le prime dichiarazioni.
Questa sorta di primogenitura delle
dichiarazioni della portinaia dello stabile ai vigli urbani, è smentita dal
fatto, del tutto ignorato sia nella saggistica che nelle successive disamine
delle varie Commissioni parlamentari, che la signora Maria Santa Paolacci,
classe 1920 – questi i dati anagrafici della portinaia di Via Sant’Elena 8 – era
infatti stata già sentita con “esame di testimonio senza giuramento” il
precedente 30 ottobre, cioè prima della nuova richiesta di indagine rivolta
ai vigili il 2 novembre, proprio dal giudice Priore (CM-1, vol. 42, pag.
207 e segg.); con l’ulteriore appendice che la convocazione del giudice le era
stata notificata proprio dai vigili urbani (CM-1, vol. 42, pagg. 203-206).
Si può poi aggiungere che la
richiesta del 2 novembre da parte del giudice ai vigili di svolgere ulteriori
indagini, come si è poc’anzi ricordato, aveva specificamente ad oggetto la ricerca
di siti idonei a fornire ricovero ad autovetture. Non è quindi dato sapere in
virtù di quale intuizione investigativa i vigili si risolsero invece a
raccogliere le dichiarazioni de relato della portinaia su quanto le
avrebbe riferito la Di Nola in ordine al suo allontanamento da Roma.
Certo, si potrebbe anche ritenere
che al di là dell’ordinario formalismo degli atti di indagine, il giudice
Priore potesse avere indicato ai vigili gli ulteriori accertamenti da compiere in
base a mere intese verbali, e che i vigili ottemperarono all’incarico con
l’opportuna riservatezza.
Resta però da capire, per prima cosa,
perché Priore, se nutriva dei dubbi sulla deposizione della portinaia, non la
convocò direttamente di nuovo davanti a sé stesso, invece di delegare i vigili
urbani; e, per seconda cosa, resta da capire, se fu lui stesso ad indicare ai
vigili l’ambito delle informazioni che essi avrebbero dovuto acquisire dalla
portinaia, in base a quali elementi egli potesse attendersi che la signora
Paolacci avrebbe potuto dichiarare proprio ai vigili, come in effetti
avvenne, circostanze sulla Di Nola che
non aveva riferito a lui stesso il 30 ottobre.
Il fatto notevole, poi, è in ogni
caso, a prescindere dalla scaturigine delle intuizioni investigative dei vigli,
cioè se fossero state genuine oppure indotte dal giudice Priore, che per
l’appunto, a quanto risulta, Priore non sembra aver avuto alcuna reazione allorché
ebbe a disposizione questo rapporto dei vigili, dal quale risultava evidente che
come minimo il precedente 30 ottobre, davanti a lui, la signora Paolacci era
stata a dir poco non esauriente, per non dire reticente, e non risulta che il
magistrato abbia chiesto lumi alla Paolacci neppure durante la sua nuova
escussione di costei il 28 dicembre successivo.
Ed è, per l’appunto, con riferimento
al contenuto delle dichiarazioni della signora Paolacci che il confronto del
rapporto dei vigili in esame con le deposizioni da lei rese davanti a Priore
crea i maggiori problemi di interpretazione.
Infatti, la signora Paolacci non
riferì al magistrato, non solo il 30 ottobre, ma anche nelle due successive
occasioni in cui risulta assunta a testimonio da Priore, nulla di simile a
quanto invece riportato dai vigili urbani in ordine alla Di Nola (cioè del suo
allontanamento da Roma durante il sequestro con indicazione di un recapito ove
essere rintracciata in caso di interventi forzosi della polizia), descrivendo
anzi un contesto diverso ed un allontanamento di costei, durante il sequestro, non
già per la gran parte del periodo, bensì solo per pochi giorni, e per recarsi a
Milano – non a Trevignano - come peraltro le avrebbe riferito la madre della
stessa Di Nola (si leggano le tre deposizioni, anche per ulteriori dettagli,
rispettivamente: come detto, il precedente 30 ottobre, CM-1, vol. 42, pag. 210;
poi il 28 dicembre 1978, quindi ben dopo il rapporto di novembre che i vigili
urbani avevano redatto per lo stesso giudice istruttore: CM-1, vol. 42, pag.
446 e segg.; ed infine il 10 febbraio 1979: CM-1, vol. 42, pag. 614.).
Non solo; la signora Paolacci aveva
dichiarato al giudice anche un’altra circostanza incompatibile con un
allontanamento prolungato della Di Nola da Roma durante il sequestro. La
portinaia riferì infatti a Priore che Laura Di Nola aveva ricevuto alcuni
telegrammi, almeno uno dei quali consegnatole personalmente e non tramite la
portinaia stessa, proprio in concomitanza con alcuni momenti cruciali del
sequestro (omettiamo in questa sede la disamina delle possibili questioni
poste dalla testimonianza su questi telegrammi: peraltro, quelli disponibili
agli atti non sembrano coincidere esattamente con i ricordi della signora
Paolacci; questi i riferimenti: vol.
62, pag. 847 e segg. e pagg. 894-895; vol. 117, pag. 825; vol. 118, pagg. 165-166).
Nella seconda deposizione davanti a
Priore, inoltre, la signora Paolacci fece solo riferimento ad alcuni movimenti
delle persone da lei viste frequentare l’appartamento della Di Nola,
riconoscendo tra le foto di persone sospette “terroriste” tale“Micoli”
(sic; in realtà Nicoli) Rosa, che in effetti, come vedremo, era già stata indicata su impulso di
un’imprecisata “fonte confidenziale” nel quarto e ultimo rapporto del
precedente 17 novembre, sul quale si tornerà tra breve, predisposto sempre per il
giudice Priore dal dirigente dei Vigili Urbani, Francesco Russo,.
Nella sua terza ed ultima
deposizione nuovamente davanti a Priore (per quanto disponibile agli atti), la
portinaia di Via Sant’Elena 8 aveva reso alcune ulteriori dichiarazioni,
verbalizzate in una manciata di righe, a proposito di un giovane visto
frequentare l’alloggio all’interno 9, del tutto irrilevanti ai nostri fini.
Tirando le somme, quali che ne siano
state le ragioni, ed almeno stando a quanto ufficialmente verbalizzato nelle
varie occasioni, l’Ufficio Istruzione di Roma ritenne di non dovere interrogare la signora Paolacci, nelle
successive occasioni del 28 dicembre 1978 e 10 febbraio 1979, in merito alle difformità emerse tra le dichiarazioni
da lei rese ai vigili urbani nel novembre 1978 e quelle rese il precedente 30
ottobre allo stesso giudice, pur dovendo essere quelle stesse difformità ormai già
note a Priore nel dicembre 1978 e nel febbraio 1979, in quanto destinatario a
suo tempo del rapporto del mese di novembre di quell’organo di polizia
giudiziaria.
A prescindere dal contegno del
magistrato, resta ovviamente inalterata la possibilità che le dichiarazioni
della signora Paolacci risultanti dal quel rapporto dei vigili della prima
parte di novembre dei vigili, fossero del tutto veritiere.
Il problema è che la mancata
conferma di quelle dichiarazioni davanti al magistrato contribuisce
sostanzialmente ad eroderne la portata e
gli effetti, e conduce tuttora lo studioso a porsi alla fin fine piuttosto l’ulteriore
interrogativo se i vigili urbani a novembre, da un lato, oppure il magistrato,
per altro verso, nelle tre deposizioni innanzi a lui, acquisirono e riportarono
correttamente, oppure no, le dichiarazioni loro rese dalla signora Paolacci
nelle rispettive occasioni di incontro.
Vale la pena almeno solo accennare,
infine, che l’obiezione “innocentista” avanzata da alcuni (V. Satta, op. cit.,
pag. 375 e 417) rispetto all’eventuale
ruolo di fiancheggiatrice dell’eversione di Laura Di Nola, basata sulla
apparente e suggestiva irragionevolezza, per una estremista, all’atto di
abbandonare la propria residenza, di lasciare il proprio recapito ad
un’estranea facendo per di più riferimento ad eventuali interventi di forza
della polizia, a nostro parere non ha pregio:
- primo, perché quelle dichiarazioni
riportate de relato dai vigili non furono appunto in alcun modo oggetto di
formalizzazione o precisazione davanti ad un magistrato;
- secondo, perché se si prendono in
considerazione tutte le dichiarazioni della portinaia, incluse quelle
rese a Priore e che risultano, ad oggi,
ignorate da tutta la pubblicistica, parrebbe di poter dire che proprio la custode
dello stabile dia “un colpo micidiale” (per dirla con il Satta, pur
rovesciando la direzione di queste parole) a quell’obiezione “innocentista”,
visto che davanti al magistrato la signora Paolacci descrisse un ben diverso
contesto, parlando tra l’altro proprio di un andirivieni non indifferente in
quell’alloggio nel periodo del sequestro;
- terzo, perché sul piano puramente
logico quella suggestione innocentista si può totalmente ribaltare, perché si potrebbe ipotizzare in linea
generale (a prescindere cioè dalla personale vicenda della Di Nola) che il
fatto che una persona appartenente a un gruppo eversivo comunichi al proprio
portinaio (o a chiunque altro) – senza che costui, ovviamente, sappia che la
persona appartenga effettivamente al gruppo eversivo- un dato fortemente sensibile (un recapito,
appunto, o la richiesta di essere avvisato in caso di intervento della polizia
nell’immobile abbandonato) non esclude necessariamente che la persona
appartenga effettivamente ad un gruppo clandestino, specie in mancanza, come
nel caso di specie, di una conferma o di una precisazione davanti alla
magistratura da parte del testimone che quelle dichiarazione avesse reso de
relato come riferitegli dalla persona sospetta; e che, anzi, una dichiarazione del genere
possa valere come classica precostituzione di una patente di limpidezza da
parte di chi la rende;
- quarto, perché quelle presunte dichiarazioni della
portinaia potrebbero essere state anche frutto di una non esatta sintesi, da
parte dei vigili urbani, delle sue parole, le quali, per ipotesi malamente
verbalizzate, e non ripetute né precisate davanti a un giudice, hanno finito per essere oggettivamente funzionali a sorreggere
a posteriori una tesi “innocentista”; per intenderci, quale
quella argomentata da Satta.
E’ fatta salva la diversa ed
ulteriore ipotesi che più avanti proporremo.
Non possiamo esimerci tuttavia dal
dovere di ricordare una volta ancora, come già si è fatto nell’introduzione,
che Laura Di Nola (e il marito Raffaele De Cosa) non furono mai neppure
indagati formalmente per il “caso Moro”.
Così come formalmente indagate non
risultarono neppure Rosa Nicoli e Anna Buonaiuto, i cui nomi erano emersi
dall’ultimo rapporto dei vigili urbani conosciuto, di cui si è già fatto cenno,
databile con buon grado di verosimiglianza al 17 novembre 1978, che andiamo ad
esaminare.
II)-3. L’ULTIMO RAPPORTO DEI VIGILI URBANI A PRIORE - 17
NOVEMBRE 1978
I vigili urbani avevano poi indirizzato
a Priore un ulteriore rapporto, l’ultimo conosciuto, a firma del dirigente
Francesco Russo (CM-1, vol. 62,
pag. 867 e segg.).
Anche la data di questo rapporto è
stata indicata genericamente nella pubblicistica, fino ad oggi, con il solo
mese di novembre, molto probabilmente perché anch’essa, come nel caso di quella
del rapporto sopra esaminato, è illeggibile sulla copia agli atti della CM-1.
Siamo tuttavia riusciti a
ricostruirla in modo completo con sufficiente attendibilità, grazie alla
numerazione manuale “5026”, che
si legge apposta in alto a destra della copia agli atti della CM-1, poiché abbiamo
scoperto che quel numero corrisponde a quello che identifica questo atto a pag.
111 del faldone n. 640-01 degli atti acquisiti dalla CM-2, recante l’indice “degli
atti completi relativi alle indagini e agli accertamenti svolti dalla Polizia
Giudiziaria e dagli organi preposti su delega della A. Giudiziaria relativi
alla strage di Via M.FANI e al sequestro dell'On.le Aldo Moro in data
16.03.1978 . (Copia indici atti del ed. MORO
1).”, indice nel quale l’atto stesso
risulta datato per l’appunto al 17 novembre (cfr. l’immagine dell’indice che
qui riproduciamo):
Tra l’altro, la datazione di questo
rapporto consente di datare l’altro rapporto di novembre sopra esaminato
approssimativamente tra un data successiva al 2 novembre (richiesta di
ulteriori indagini da parte di Priore) ed una data antecedente a quella - 17
novembre - del rapporto in esame, in ragione della successione numerica della
datazione apposta a queste pagine, che può presumersi corrisponda alla cronologia dei documenti. L’altro
rapporto di novembre è infatti numerato, in alto a destra, “4940” (CM-1,
vol. 62, pag. 857 cit.).
Il rapporto dei vigili urbani in
esame è il seguente:
Anche questo rapporto presenta
alcune singolarità degne di nota.
Pur formalmente ricollegato dal suo estensore
alle richieste di indagine dell’ufficio istruzione dell’11 settembre e del 2
novembre, in realtà i fatti oggetto di accertamento da parte dei vigili che
esso riporta appaiono - come del resto nel caso del precedente rapporto,
poc’anzi esaminato - per nulla aderenti a quanto formalmente richiesto dal
giudice.
Questo rapporto presenta, piuttosto,
notevoli analogie con il contenuto del rapporto del Sismi analizzato nella
prima sezione, a dispetto della datazione di quest’ultimo al successivo 9
dicembre, e nonostante che l’impulso di questi ulteriori accertamenti sia in
apparenza attribuito, dai vigili, a notizie apprese da una imprecisata “fonte
confidenziale”.
Oltre al riferimento contenuto nel
terzo capoverso alle richieste di accertamento sui dipendenti della X
Circoscrizione del Comune di Roma, che evidenzia un possibile nesso con il
“punto 2” del rapporto del Sismi che attestava la presenza di fiancheggiatori
delle BR alle dipendenze del Comune stesso, ai fini che qui ci occupano è
ancora più significativo il secondo capoverso, che si occupa espressamente
della “attrice teatrale” Anna Buonaiuto.
Questo nominativo si trova infatti menzionato
anche nel citato appunto del Sismi, che aveva
attestato – a detta di quel Servizio - una stretta relazione e frequentazione di
(Bruno) Sermoneta – lo ricordiamo, già proprietario della Jaguar le cui chiavi
erano state ritrovate in Via Gradoli il 18 aprile- con una “brigatista residente
in via di S. Elena n. 8”, dove, sempre secondo il Sismi, era anche “stata
più volte notata Buonaiuto Anna facente parte del gruppo in argomento”.
Particolarmente significativo è l’incipit,
di questo secondo capoverso del rapporto dei vigili: “Per quanto invece
concerne la Buonaiuto Anna….”. L’utilizzo
di questa formulazione da parte del suo estensore, lascia affiorare un
implicito ma chiarissimo riferimento ad un preciso indirizzo di indagine, di
cui non è affatto chiara l’origine, ricevuto e seguito dai vigili urbani, rivolto
all’acquisizione di notizie anche sulla Buonaiuto, dato che è evidente l’assenza di qualunque
nesso logico e sintattico di quell’incipit con il capoverso precedente,
nel quale si riferisce di una diversa frequentatrice dell’appartamento della Di
Nola, individuata in Rosa Nicoli.
Di questo secondo capoverso è quindi
necessaria una lettura ancora più incisiva rispetto a quella scaturente dalla
mera analisi letterale, perché la sintassi di questa formulazione iniziale, per
restituirle un senso compiuto, conduce in realtà a rintracciarvi, sia pure
implicitamente, un riferimento non già alla Buonaiuto in sé considerata, ma al
complessivo e specifico spunto di indagine che evidentemente doveva aver
riguardato in generale almeno alcuni di coloro che erano stati individuati dalla
“fonte” come frequentatori dell’appartamento della Di Nola, tra i quali sia la
Nicoli (primo capoverso) che la Buonaiuto (secondo capoverso).
Pertanto, dato che ormai, a quella
data (17 novembre), l’indagine era con ogni evidenza già indirizzata a
ricercare elementi collegati o ricollegabili all’appartamento della Di Nola, e
che i nomi sia di Anna Buonaiuto che di Rosa Nicoli non erano stati di certo
fatti dalla portinaia di Via Sant’Elena né al giudice Priore il 30 ottobre (la
Paolacci avrebbe parlato della Nicoli solo in seguito, nell’escussione del 28
dicembre) , né ai vigili urbani nel precedente rapporto di novembre, appare del
tutto verosimile che quei nomi, ed in particolare quello di Anna Buonaiuto, fossero in qualche modo già emersi non solo,
ovviamente, prima che i vigili urbani si attivassero con gli ultimi
accertamenti attestati dal rapporto del 17 novembre in esame, ma soprattutto
tramite una fonte diversa dalla portinaia dello stabile ed altresì diversa
ed ulteriore rispetto alla “fonte confidenziale” citata dai vigili
all’inizio di questo stesso rapporto, dato che la specifica “fonte
confidenziale” testualmente menzionata dai vigili nel primo capoverso era
stata espressamente indicata unicamente come latrice delle notizie riguardanti
la sola Rosa Nicoli.
In merito alla possibile esistenza
di più fonti informative dei vigili urbani (o, forse, del magistrato che li
aveva attivati), che si è appena ipotizzata, va inoltre posto in rilievo che il
rapporto del Sismi, ufficialmente datato 9 dicembre, riferiva anche, in buona
sostanza, le identiche circostanze in merito all’allontanamento della Di Nola e
del marito dall’appartamento narrate dalla portinaia ai vigili urbani secondo
quanto da questi riportato nel loro precedente rapporto di novembre; il
rapporto del Sismi infatti così si pronunciava in merito: “Al tempo della vicenda Moro, gli occupanti
dell’appartamento (Di Nola e De Cosa: nda) si allontanarono da Roma per
evitare perquisizioni e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano sito in
Via Garibaldi.”.
Tornando quindi alla questione posta
al termine della prima sezione, cioè dire se l’autonomia di strade percorse
senza intersecarsi dalle indagini del Sismi, da un lato, e dell’autorità
giudiziaria con l’ausilio dei vigili urbani, dall’altro, fu reale o viceversa
solo apparente, ci sembra si possa ipotizzare, ferma la mancanza di qualsiasi
altro riscontro documentale in merito, che forse – sottolineiamo, forse - quel
parallelismo fu solo apparente e che le due strade, invece, si incrociarono.
Ciò in quanto, sempre nei limiti
degli atti per noi disponibili e qui esaminati, a rigor di logica le ipotesi
possibili sono tre, e due di esse implicano un contatto tra le due vie; e cioè
che: a) o i vigili urbani e il Sismi ebbero ciascuno una o più fonti
rispettive, che del tutto autonomamente condussero i due Uffici a risultati analoghi;
b) oppure il Sismi fu informato dei risultati delle indagini da parte dei
vigili urbani, o comunque se ne avvalse; c) oppure, viceversa, furono i vigili
urbani ad essere messi su quella pista, con tanto di nomi e circostanze, dal
Sismi.
Ipotesi quest’ultima che - fatta
salva sempre la possibilità che emerga un giorno dagli atti un diverso ed
antecedente rapporto del Sismi - condurrebbe necessariamente a dover
retrodatare l’appunto di Cogliandro rispetto al 9 dicembre, visto che i
rapporti dei vigili sono compresi tra il 16 settembre e il 17 novembre.
Esiste infine, almeno sul piano
logico, una ulteriore, possibilità, forse maliziosa ma dagli scopi comunque
giustificabili, sulla quale ovviamente manca qualsiasi riscontro fattuale: e
cioè che stante il fatto che la portinaia, in ben tre occasioni, non aveva
fatto alcun cenno all’allontanamento della Di Nola dal suo appartamento – in
ogni caso, non almeno nei termini in cui la stessa Paolacci aveva invece
riferito tale circostanza ai vigili urbani - questa specifica informazione in
realtà possa essere stata riferita ai vigili urbani, a dispetto delle
risultanze del loro rapporto, non già dalla portinaia, bensì da una “fonte” che
doveva rimanere celata.
In definitiva, il quadro che emerge
dai rapporti dei vigili urbani che si sono analizzati - la tempistica repentina
della prima segnalazione al magistrato dell’edificio di Via Sant’Elena, le
presunte dichiarazioni rese ai vigili dalla portinaia senza che però costei le
abbia mai ripetute a Priore, la mancanza di qualsiasi riferimento nominativo a
specifiche persone da parte della portinaia, l’emersione testuale e logica di almeno
una “fonte” imprecisata, le analogie con il rapporto del Sismi, formalmente
successivo – ci induce a dover formulare una nuova, ulteriore ipotesi, e
cioè che gli spunti di indagine che furono seguiti potessero derivare da almeno
una “fonte”, ad oggi sconosciuta, verosimilmente in stretto contatto con le
persone individuate e con l’appartamento della Di Nola.
Il corollario dell’ipotesi che
abbiamo appena proposto, è che allora le sommarie e generiche indicazioni
fornite da Mortati forse potrebbero avere avuto il minor ruolo di costituire un
indizio della bontà di spunti di indagine già informalmente attivatesi
in precedenza, e che quindi, di riflesso, esse siano state fino ad oggi
sopravvalutate anche in tutta la saggistica che si è occupata della vicenda.
Siamo, naturalmente, nel campo delle
ipotesi, che forse il magistrato avrebbe dovuto meglio vagliare all’epoca dei
fatti, ed i documenti ad oggi disponibili non ce ne forniscono purtroppo alcun
riscontro oggettivo.
III)- SU ANNA BUONAIUTO E ROSA
NICOLI
Il nome di Anna Buonaiuto era
peraltro già emerso agli atti (CM-1, vol. 33, pagg. 539 e segg.) allorché già il 7 settembre la Digos aveva
trasmesso all’Ufficio Istruzione di Roma una nota con la quale segnalava che
nel portafoglio smarrito e poi ritrovato ad Udine, risultato appartenente a
costei, era stato ritrovato un volantino con il quale si denunciava il
comportamento delle autorità nei confronti di Triaca e compagni, arrestati come
noto a Roma circa una settimana dopo l’omicidio di Aldo Moro in occasione della
scoperta della tipografia brigatista di Via Pio Foà.
La nota della Digos peraltro si limitava
a riportare sinteticamente le generalità della Buonaiuto, la sua professione di
attrice e la sua effettiva abitazione, risultata essere situata a Roma, in Via
dei Banchi Nuovi n. 49 (come poi avrebbero riferito anche i vigili urbani nel
loro ultimo rapporto del 17 novembre), senza alcun riferimento a Via
Sant’Elena; è pertanto assai poco verosimile – in mancanza di altri atti
disponibili- che questa nota della Digos sia stata l’origine della repentina
individuazione da parte dei vigili urbani dell’edificio in Via Sant’Elena 8
quale edificio “sospetto” di identificarsi con uno di quelli descritti da
Elfino Mortati nel luglio precedente.
Resta tuttavia l’evidente
singolarità della coincidenza –non si può definire altrimenti, in mancanza di
qualsiasi dato ulteriore – del ritrovamento di un portafoglio appartenuto
proprio da Anna Buonaiuto in concomitanza con l’attivazione delle ricerche, tra
il luglio e, appunto, il settembre 1978, delle “basi” eversive romane nel
ghetto. Contenente un volantino acquisito a Roma, ma smarrito a Udine.
Infatti, secondo il saggio “La
recita della Storia- Il caso Moro nel cinema di Marco Bellocchio”, di Anton
Giulio Mancino, ed. Bietti Heterotopia, 2014, nell’audizione della Buonaiuto
acquisita dagli ausiliari della Commissione Stragi, tra breve esaminata, e che
risulterebbe allegata alla “Annotazione Giraudo” del 7 febbraio 2001, a
proposito di quel volantino costei aveva dichiarato che «le era stato consegnato,
così come ad innumerevoli altre persone, di fronte al Bar NAVONA nell’omonima
piazza, da un giovane sul quale non era stata in grado di fornire particolari.
Aveva conservato il volantino per la ricchezza di errori di ortografia che lo
caratterizzavano».
A parte l’ovvia ed indiscussa legittimità
dell’acquisizione e conservazione di un volantino consegnatole sulla pubblica
piazza, la non richiesta precisazione da parte della Buonaiuto dei motivi della
conservazione di quel volantino stride con l’evidenza del fatto che quel
volantino di “errori di ortografia” non ne presentava affatto.
La copia del volantino in questione,
allegata alla citata nota della Digos, è visibile in CM-1, vol. 33, pag. 540.
Tornando allo specifico tema di
nostro interesse, in ordine alle escussioni di Anna Buonaiuto si rinvengono
solo alcune scarne informazioni nel saggio citato di Scè e Bonfigli.
Stando ai due ex consulenti della
Commissione Stragi, la Buonaiuto fu interrogata dai Carabinieri l’8 agosto 2000
(dunque ben 22 anni dopo i fatti) – presumibilmente nell’ambito dell’attività
della stessa Commissione parlamentare – limitandosi ad affermare di ricordare
di essere stata probabilmente interrogata nei primi anni ’80 dal giudice Sica
in merito alla vicenda del volantino poc’anzi ricordata, di non avere mai
frequentato l’appartamento di Via Sant’Elena e di non avere mai conosciuto i
coniugi Di Nola e De Cosa; quanto all’eventuale conoscenza con quest’ultimo,
Scè e Bonfigli (“Il delitto infinito…”, cit., pag. 197) scrivono testualmente: ”La Buonaiuto ha
affermato di non avere mai conosciuto né la Di Nola, né De Cosa, però
quest’ultimo, pur non potendo fissare temporalmente il ricordo, ne rammenta il
nome”.
Quindi, a quanto sembra, De Cosa,
audito pochi giorni prima della Buonaiuto, avrebbe invece affermato che quel
nome non gli era estraneo.
La Buonaiuto ricordava, tuttavia, di
avere frequentato la storica vineria di Campo dé Fiori (nella quale peraltro
Mortati aveva dichiarato di avere incontrato la tale “Anna” cui si è
fatto cenno che gli avrebbe fatto da guida nella sua latitanza romana) e di
avere conosciuto Rocco Ugo Bevilacqua, inizialmente arrestato per il sequestro
Moro ma poi rilasciato (“Il delitto infinito…”, cit. pagg. 196-197).
Sempre stando ai due ex consulenti
della Stragi, inoltre, nel corso degli accertamenti svolti in relazione
all’omicidio del colonnello Antonio Varisco, la Buonaiuto compariva assieme a
Raffaele De Cosa nell’elenco delle persone identificate nel Palazzo
Antici-Mattei (precisamente, durante la perquisizione, tra gli altri,
dell’architetto Enrico Cassia, il cui nome salì poi all’onore delle cronache
nel corso dei lavori della stessa Commissione Stragi in ordine alla presunta
disponibilità da parte sua di un ufficio in quel palazzo che sarebbe risultato
nella disponibilità del Sisde, a quanto pare tuttavia dopo la conclusione del
sequestro Moro; “Il delitto infinito”, cit. pagg. 165-166).
Corre l’obbligo di ricordare
nuovamente che Anna Buonaiuto- nel frattempo divenuta, non da ora, una delle
più note ed apprezzate attrici italiane, dotata di grande versatilità che la
porta ad interpretare con eguale bravura sia ruoli impegnati che brillanti- non
fu comunque mai neppure indagata per presunta appartenenza ad organizzazioni eversive.
Per una compiuta ricostruzione
storica, si deve tuttavia parimenti tenere presente l’esistenza agli atti,
stando ai due autori citati, solamente delle sue due menzionate escussioni, la
seconda delle quali in epoca assai lontana dai fatti.
Quanto a Rosa Nicoli, sempre secondo
Scè e Bonfigli – i quali a loro volta rinviano alla relazione “Elfino Mortati”
del magistrato Libero Mancuso per la Commissione Stragi- la Nicoli subì solo
una perquisizione il 13 luglio 1979 (“lo stesso giorno in cui veniva
perquisito De Cosa”), rimasta di fatto senza esiti ulteriori anche per
quanto concernette la denuncia da lei subìta in quell’occasione per detenzione
illegale di una pistola lanciarazzi; dopo di che, costei fu ascoltata dal ROS
solo nell’ottobre del 2000, circostanza nella quale smentì di essere stata
amica della Balzerani, ed ammise solo di essersi recata con Laura Di Nola ed
altre persone a Trevignano Romano (“Il delitto infinito”, cit. pag.
195).
Anche di Rosa Nicoli non risulta sia
mai stata giudizialmente accertata l’appartenenza alle Brigate Rosse, come
rileva Vladimiro Satta (“Odissea…”, cit. pag. 397, in conclusione della
nota n. 109).
Pur ovviamente nell’ottica di una
ricostruzione meramente storica dei fatti, resta da capire tuttavia per quale
ragione non risulti agli atti alcun reale approfondimento di indagine su Rosa
Nicoli nell’immediatezza dei fatti, specialmente dopo le rivelazioni
della “fonte confidenziale” ai vigili urbani riportate nel loro verbale
del 17 novembre, e soprattutto non è dato purtroppo conoscere in base a quali
elementi, evidentemente già a disposizione degli inquirenti, la fotografia
della Nicoli fu mostrata dal giudice Priore tra quelle di varie “donne sospette
di terrorismo” (CM-1, vol. 42, pag. 447) alla portinaia di Via Sant’Elena,
la quale, come si è visto, la riconobbe come frequentatrice di
quell’appartamento nel corso del suo esame testimoniale del 28 dicembre 1978.
D’altronde, lo ripetiamo, è, questa della
signora Paolacci, assieme alle altre due da lei rese allo stesso Priore, una
testimonianza di cui non c’è alcuna traccia nella saggistica in genere: neanche
nel citato volume di Satta.
IV) SU LAURA DI NOLA E RAFFAELE DE
COSA
La signora Paolacci, in ultima
analisi, è rimasta ad oggi, suo malgrado, l’unica persona espostasi con
personale coinvolgimento, nella veste - non sempre comoda - di testimone, a
complemento del nocciolo informativo prodotto dalla polizia giudiziaria- dei
vigli urbani in particolare- e dalla magistratura, in quei mesi conclusivi del
1978.
Si, perché se ovviamente desta
qualche interrogativo la mancanza di accertamenti immediati sulle altre persone
sopra citate, resta incomprensibile la mancata escussione immediata di Laura Di
Nola e Raffaele De Cosa, stando almeno alle risultanze delle fonti ufficiali
liberamente fruibili e alla saggistica, nelle quali non c’è traccia o notizia di
un loro esame tempestivo nonostante i sospetti di cui essi erano stati - a
torto o a ragione, ai fini di questo saggio non conta- palesemente fatti
oggetto.
Non si comprende in particolare che
cosa si sia aspettato ad ascoltare almeno in veste di testimoni Laura Di Nola
ed il marito Raffaele De Cosa già dopo il secondo rapporto dei vigili urbani del
20 settembre, nel quale era ormai chiara la disponibilità da parte loro di
quell’appartamento, a quell’altezza cronologica ormai era chiaramente giudicato
“sospetto” quanto meno sul piano indiziario.
Visti gli esiti, è francamente
difficile giustificare la loro mancata escussione con l’esigenza di non
compromettere la segretezza delle indagini.
Neppure il decesso della Di Nola,
avvenuto il 7 luglio 1979, come è evidente può costituire un pretesto per la
sua mancata escussione, dati i circa dieci mesi trascorsi dal primo rapporto
dei vigili urbani al magistrato (16 settembre 1978).
Mai assunta formalmente, a quanto
consta, in atti giudiziari, tutte le notizie su di lei, per quanto riguarda il
suo impegno di saggista, femminista e di sostegno alla cultura omosessuale,
derivano anche da fonti aperte agevolmente rinvenibili in rete per chiunque (e
sulle quali pertanto qui non ci attardiamo), mentre per quanto concerne altresì
la specifica vicenda che ci occupa sono ricavabili, dati i limiti delle nostre
possibilità di ricerca, in mancanza di atti disponibili, solo dalla pubblicistica,
ed affiorano essenzialmente dalle dichiarazioni rese dall’ex marito nelle
rarissime sue deposizioni ufficiali nonchè, indirettamente, da alcuni appunti
delle forze di polizia sul De Cosa stesso - tratti dalla pubblicistica - che
incidentalmente tratteggiavano anche taluni aspetti della figura della moglie.
Il che implica la necessità, in
questa sede, di trattare talvolta congiuntamente le vicende dei due coniugi.
Sintetizzando alcune informazioni
tratte dalla citata opera di Scè e Bonfigli (“Il delitto infinito…”,
cit. pagg. 188 e segg.), risulta che il De Cosa venne arrestato il 14 luglio
1979 (una settimana dopo la morte della moglie) per possesso illegale di alcune
pistole, sequestrate con altro materiale presso il suo luogo di lavoro in Via
di Ripetta n. 71, mentre in Via di Sant’Elena 8 vennero ritrovate due macchine
da scrivere Olivetti (di cui una a testina rotante) e vari esemplari di
quotidiani tutti del periodo del sequestro Moro.
Il 5 maggio precedente, un
fonogramma dei carabinieri, che faceva seguito ad una segnalazione del
Ministero dell’Interno in pari data che riferiva che “il noto De Cosa
Raffaele…starebbe partecipando ad una fase preparatoria” per un attentato
al Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, aveva allertato le sezioni
anticrimine su questo possibile attentato.
Inoltre, stando ai due consulenti
della Commissione Stragi, a questa notizia del possibile attentato era allegato
un altro appunto, senza data nè intestazione, che tratteggiava la figura di De
Cosa in alcuni punti, dei quali ai nostri fini quelli più salienti erano i
seguenti: a) De Cosa era definito un presunto appartenente alle Brigate
Rosse; b) Laura Di Nola veniva indicata come espulsa dal PCI e vicina all’area
dell’autonomia operaia; c) si ricordava che nel periodo del sequestro Moro il
loro appartamento di Via Sant’Elena 8 era stato punto di incontro di elementi
dell’ultrasinistra tra i quali Rosa Nicoli, collaboratrice della X
Circoscrizione, “forse amica della nota Balzerani Barbara” (circostanza
questa poi smentita dalla Nicoli nel 2000, come si è detto sopra); d) De Cosa
sarebbe stato in passato l’amante della nota “nappista” Franca Salerno; e) da
alcune altre circostanze evidenziate, si supponeva che la “fonte” di queste
informazioni abitasse nella zona di Via Sant’Elena, avendo riferito alcuni
fatti che presupponevano un riscontro visivo diretto delle cose descritte.
Queste notizie erano state unite al
fascicolo di De Cosa esistente presso il Ministero dell’Interno, nel quale
risultava una richiesta dell’Ucigos alla Digos di “complete informazioni e
foto di De Cosa perché sospettato di appartenere alle BR” (così il testo
citato, pag. 189) , datata al 30 maggio 1978, quindi da ben prima (la
considerazione è nostra) che – apparentemente solo in esito all’arresto di
Mortati- si avviasse la congerie di accertamenti richiesti dall’autorità
giudiziaria nel ghetto di Roma.
L’archivio centrale del Sisde – il
servizio segreto civile- inoltre- era risultato depositario di altri atti
concernenti De Cosa: tra gli altri, una scheda contenente alcuni contatti di De
Cosa nel cui novero- oltre ai già noti Rosa Nicoli, Franca Salerno, Barbara
Balzerani e Marco Ligini (sulla cui figura si rinvia a varie fonti aperte,
anche in rete: esponente della “nuova sinistra”, è risultato tra gli autori del
noto libro “La Strage di Stato”, controinchiesta del 1970, di enorme
successo, sulla strage di Piazza Fontana), ne risultavano altri di cui non era
dato comprendere “la scaturigine”, tra i quali quello di maggior
interesse, a posteriori, risulta essere quello di Giuliana Conforto, di lì a
poco risultata ospite dei latitanti Valerio Morucci e Adriana Faranda,
arrestati presso di lei il 29 maggio del 1979.
Il fatto che quella scheda
attestasse espressamente che alla data, evidentemente, di sua redazione non
fosse possibile “comprendere la scaturigine” di alcuni di quei nomi, tra
i quali quello della Conforto, pare dimostrare che il contatto di De Cosa con
la Conforto fosse emerso da data antecedente all’arresto dei due brigatisti
fuggitivi. In tal senso sembra esprimersi anche il saggio in questione di Scè e
Bonfigli, i quali si riferiscono alla Conforto come “futura ospitante”
(rispetto quindi alla data di quella scheda del Sisde) dei due brigatisti
latitanti (op. cit. pag. 190).
Per la precisione, il saggio in
esame riporta in forma sintetica la relazione, ad opera dello stesso Silvio
Bonfigli per la Commissione Stragi, redatta anche sulla base delle indagini
dell’ufficiale ausiliario Massimo Giraudo, ultimata il 27 febbraio 2001, come
si rileva dal saggio “Delitto Moro- carte nascoste”, ed. Kaos, 2022,
pagg. 803 e segg, e in particolare pag. 812, cui comunque si rinvia per ulteriori
e più estesi riferimenti.
Vladimiro Satta, nel suo più volte
citato saggio, evidenzia correttamente che i consulenti della Commissione
Stragi, Scè e Bonfigli, non forniscono gli eventuali esiti giudiziari né
dell’arresto di De Cosa per la presunta detenzione illegale di armi, né
dell’accusa di avere partecipato all’organizzazione di un attentato contro
Giulio Andreotti (op. cit. pagg. 396-397, nota 109).
Tuttavia nelle proprie
argomentazioni Satta omette di ricordare che i citati consulenti parlamentari
avevano anche menzionato quella richiesta di informazioni e foto su De Cosa
rivolta dall’Ucigos alla Digos già il 30 maggio 1978, ben anteriore all’arresto
di Mortati, che per quanto generica si riferiva a De Cosa come “sospettato
di appartenere alle BR”.
Satta inoltre riferisce (op. cit.
pag. 396, nota 93) che “Raffaele De cosa, ascoltato in epoca recente (rispetto
all’edizione del saggio di Satta: nda) dagli inquirenti, respinge le accuse
legate all’appartamento di via Sant’Elena, dal quale si trasferì intorno al
1986”.
Ovviamente, come è evidente, il
fatto di essersi trasferito da Via Sant’Elena nel 1986 non ha alcun rilievo in
ordine agli eventi del 1978.
Egli in effetti dichiarò questa
circostanza nel corso della sua deposizione, finalmente acquisita, in ordine
agli elementi emersi sulla sua ex residenza, solamente il 2 agosto 2000; quindi
anche per lui, come per la Buonaiuto, 22 anni dopo i fatti, e nel medesimo
contesto di indagine, quello della Commissione Stragi.
De Cosa per la precisione dichiarò
di essersi trasferito attorno al 1986 da Via Sant’Elena con la sua seconda moglie.
Incidentalmente, possiamo dire che
la signora si chiamava Bruna Masarova, era cittadina dell’allora
Cecoslovacchia, e risulta ormai purtroppo deceduta in epoca recente.
Dalle ricerche sugli atti
disponibili, non è emersa alcuna audizione dell’epoca della signora, eppure
appare strano che ciò non sia avvenuto (anche perché assai difficilmente una
moglie ignora la personalità del marito). Ragion per cui l’auspicio è che una
deposizione di costei esista (presumibilmente, per analogia di tempistica con
quella del marito, in Commissione Stragi), e, in caso affermativo, sia resa
presto disponibile per gli studiosi.
E’ noto invece – traendo le
informazioni che stiamo per riportare sempre dalla saggistica in materia-
quanto De Cosa dichiarò, in quell’audizione, sulla sua ex moglie Laura Di Nola.
Infatti, sempre stando alle
risultanze della menzionata relazione di Silvio Bonfigli per la Commissione
Stragi, sarebbe risultato che “Sulla base delle informazioni acquisite dai
carabinieri del ROS è possibile affermare che la Di Nola all’epoca dei fatti
fosse inserita in un contesto di intelligence israeliana. Depongono in tal
senso le interessantissime indicazioni fornite dal marito Raffaele De Cosa ai
carabinieri in data 2 agosto 2000” (“Delitto Moro- carte nascoste”,cit.
pag. 813).
In sintesi, Raffaele De Cosa
confermò l’origine israelita della ex moglie (d’altronde, va osservato che a
tal fine la conferma di De Cosa non sarebbe stata a rigore neppure necessaria),
dichiarando di essersi recato con lei in Israele nell’agosto 1968, dove Laura
Di Nola a suo dire si era già recata in un’altra occasione sei mesi prima di
quel viaggio comune, e dove la stessa aveva dei parenti.
Con la richiesta di massima
riservatezza a chi lo stava interrogando, De Cosa riferì poi che Laura Di Nola
era stata in sostanza in rapporto con la nota rete di ricerca dei criminali
nazisti eclissatisi nel marasma esistente al termine della seconda guerra
mondiale, creata da Simon Wiesenthal, specificando che la moglie era molto
riservata e che l’occasione della confidenza fu la ricerca di un criminale
nazista che era stato poi arrestato nel 1970 (ibid.).
La relazione di Bonfigli riportava
altresì che i carabinieri del ROS, nel corso di un altro contesto di indagine
pendente, avevano verificato che proprio durante gli anni ’70 il Mossad usava
reclutare propri collaboratori anche tra persone collegate alla rete Wiesenthal
(ibid. pag. 814)
Risultava inoltre che la Di Nola
collaborasse con una rivista di cultura israelita, “Shalom”, e che il
padre, negoziante di drapperie e tessuti, aveva un ufficio di rappresentanza a
Piazza Paganica (ibid.), alle spalle di Via Sant’Elena.
La collaborazione della Di Nola con
la citata rivista “Shalom” risulta accertata; ad esempio a questo sito https://www7.tau.ac.il/omeka/italjuda/files/original/3d6111175254a28bd94638f6daa5ef1e.pdf; a pag. 119 del documento, si rinviene un trafiletto “anonimo” che il 13
luglio 1979, una settimana dopo la sua scomparsa, annunciava il “lutto in
redazione” per la morte della Di Nola.
Come si ricorderà, poi, l’appunto
del Sismi formalmente datato al 9 dicembre 1978, indicava un rapporto di
amicizia tra “una brigatista residente in via di S. Elena n. 8” (cioè
Laura Di Nola) ed un’altra persona israelita, Bruno Sermoneta (anche lui
commerciante nel ramo dei tessuti, già proprietario della Jaguar le cui chiavi
erano state ritrovate nel covo brigatista di Via Gradoli).
Qualche ulteriore notazione si trare
dal libro della giornalista e saggista Rita Di Giovacchino (anche lei purtroppo
deceduta nel 2021), “Il libro nero della Prima Repubblica”, ed. Castelvecchi,
pag. 256 e segg. Riportiamo testualmente:
“All’epoca la De Nola (sic; in realtà Di Nola), diplomata al Centro Sperimentale di
Cinematografia, lavorava come documentarista. Dall’inchiesta (quella
commissionata al ROS dalla Commissione Stragi: nda) emerge la figura di una
donna inquieta, introversa, alla ricerca di un’identità politica: espulsa dal
PCI, ha gravitato per qualche tempo nei circoli femministi della Maddalena
(omonima via di Roma: nda), poi si è avvicinata ad Autonomia, infine è
entrata nel FUORI, l’organizzazione di liberazione omosessuale candidandosi nel
Partito Radicale. In questo periodo sembra che Laura abbia riscoperto il suo
ebraismo…”.
Dobbiamo naturalmente precisare che
tutti gli elementi di cui sopra non costituiscono, di per sé soli, una prova
che la Di Nola fosse realmente inserita “in un contesto di intelligence
israeliana”, per dirla con il consulente della Commissione Stragi.
A questo link un suo articolo
dell’epoca, preceduto da un breve riepilogo della sua vicenda:
http://www.leswiki.it/1976-laura-di-nola-unesperienza-del-fuori-romano/
In merito alla morte di Laura Di
Nola, la Di Giovacchino avanzava un’ipotesi potenzialmente assai grave, senza
recare a supporto alcun riferimento informativo e, soprattutto, senza che a
quanto pare nessuna autorità abbia mai ritenuto di ascoltarla in merito.
Ha scritto infatti l’autrice (la
sottolineatura è nostra): “…sembra che sia morta di cancro nell’estate
del ’79. Non si esclude però che possa essere stata allontanata e magari avere
trovato rifugio in Israele, dove aveva parenti e amici”.
Senza voler creare misteri in
proposito, riportiamo comunque che la bizzarria delle ricerche su quanto
liberamente reperibile in rete, può condurre ad individuare finanche quanto
emerge al link qui di seguito:
Si tratta di una foto riconducibile
al blogger e fotografo Massimo Consoli (che si trova citato anche nel documento
di cui al link poco prima riportato).
Stando a questa sorta di estratto in
inglese di quella pagina su Laura Di Nola, come si vede, sembrerebbe doversi
desumere che si indichi come data della sua morte il 2004 (dato che l’altro
anno indicato, cioè il 1932, corrisponde esattamente a quello della sua
nascita).
Anche Massimo Consoli, a sua volta
attivista dei movimenti omosessuali, risulta purtroppo deceduto nel 2007:
https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Consoli
Sarà pertanto impossibile sciogliere
con l’ausilio della Di Giovacchino o di Consoli i nodi delle affermazioni della
saggista e della data indicata quale presumibile anno di morte della Di Nola
nella pagina inglese appena riportata, tanto più considerando che invece
dall’introduzione dell’articolo del 1976 sul “FUORI romano”, di cui al link
poco sopra indicato, si desume chiaramente che il sito dello stesso Consoli
riportava quale data di morte quella ufficiale, cioè il 7 luglio 1979.
Al link seguente è invece
disponibile la commemorazione trasmessa a suo tempo da Radio Radicale per la
morte della Di Nola; l’audio è tuttavia pessimo, se non totalmente
impercettibile:
https://www.radioradicale.it/scheda/582/morte-di-laura-di-nola
Laura Di Nola, come abbiamo già
detto, non ha mai subito alcuna imputazione di appartenenza o fiancheggiamento delle
Brigate Rosse nè di altra organizzazione eversiva.
Non si può dire se e quanto, sulla
sua vicenda, abbia inciso, oppure no, il decesso, ufficialmente così repentino
rispetto allo svolgimento dei fatti.
Tuttavia si può ribadire che rimane
del tutto inspiegabile il fatto che lungo tutti i dieci mesi trascorsi tra il
settembre 1978 e il luglio 1979 Laura Di Nola non sia mai stata escussa neppure
una volta dall’autorità giudiziaria.
V) BREVI CONSIDERAZIONI E QUESTIONI
APERTE IN MERITO ALLE INDAGINI SU VIA SANT’ELENA
Tirando le fila di quanto si è sin
qui esposto, preme rammentare prima di tutto alcune questioni che restano
aperte.
Tentando di non ripeterci oltre lo
stretto necessario, la prima questione che si rilevata è, come si è esposto, se
sia esistito un rapporto, e se si con quale direzione e quale scansione cronologica,
tra le indagini del Sismi e quelle dei vigili urbani.
In mancanza di altri documenti
ufficiali, bisogna poi anche chiedersi se per avventura anche le “fonti” di
questo ente si attivarono dopo e per effetto delle confessioni di Mortati,
oppure se si attivarono autonomamente; in questo secondo caso, che stando al
poco che risulta disponibile sembra il più probabile, occorre allora chiedersi
quando, in realtà, si attivò il Sismi: e cioè se dopo l’omicidio di Moro o se,
come ritenuto da una parte della pubblicistica citata (Scè e Bonfigli, Flamigni),
già durante il sequestro. Non è tuttavia questa la sede in cui affrontare
questo specifico dubbio.
Abbiamo poi avanzato una nuova
ipotesi, e cioè che rispetto alle indagini oggetto di questa ricerca le
dichiarazioni di Mortati possano al più avere costituito una conferma di
sospetti già informalmente in corso di verifica al tempo del suo arresto, e,
soprattutto, che lo sviluppo di quelle indagini possa essersi fondato anche
sulle informazioni di almeno una “fonte”
vicina alle persone e ai luoghi oggetto degli accertamenti stessi.
Un punto, in ogni caso, ci pare sia affiorato
in modo incontestabile, e cioè che pare assai difficile che i vigili urbani
siano stati così bravi e fortunati da individuare in settembre, con tanta
rapidità, proprio l’appartamento dei coniugi Di Nola e De Cosa come
appartamento fortemente sospetto, solo sulla scorta delle sommarie descrizioni
di Mortati; quel Mortati omicida del notaio Spighi che, tra l’altro, nel 2001 trasformerà
improvvisamente, ed in modo difficilmente attendibile, la “Anna” che gli
aveva fatto da guida nella sua latitanza romana nel 1978 niente meno che in un
uomo (per brevità si ritiene di non poter affrontare in questa sede la
specifica traiettoria seguita nel corso di oltre venti anni da Elfino Mortati,
tutto sommato irrilevante ai fini della presente ricerca, posto che, in
sintesi, se tale parabola ha un rilievo, pare proprio averlo nel senso di una
assai sospetta retromarcia dell’omicida rispetto alle proprie dichiarazioni del
1978).
In questo senso, ci sembra che
Vladimiro Satta, nella sua opera citata e alla quale rinviamo per i dettagli, non
colga nel segno là dove ritiene di poter annientare la consistenza della
“pista” di Via Sant’Elena 8 quale uno dei luoghi indicati dal Mortati come
punto di riferimento del suo “periodo romano”, in base alla “derubricazione”
del Mortati stesso a (per dirla con l’uomo della strada) “cane sciolto” e
comunque estraneo all’organigramma delle Brigate Rosse.
Il punto, lo si è detto, a nostro
avviso non è questo. Perché se Mortati fu un mitomane, o un esaltato, o
entrambe le cose, e se, come ulteriore elemento critico- sul quale, sia chiaro,
conveniamo - la sua descrizione dei luoghi fu effettivamente sommaria e
generica, a maggior ragione ci si deve chiedere, come abbiamo fatto noi, come
mai i vigili urbani di Roma furono tanto bravi e rapidi ad individuare proprio
Via Sant’Elena quale edificio fortemente sospetto prima e a prescindere da
qualunque riscontro dell’attendibilità di Mortati e della “qualità” della sua
collocazione all’interno dell’eversione organizzata.
Dubbio, questo, che invece Satta non
pone, e non si pone, affatto.
A prescindere dagli esiti giudiziari
irrisolti di quelle indagini, in esito alle quali stando alle risultanze fino
oggi acquisite si ha tuttora il dovere di considerare estranei ai fatti Laura
Di Nola, il marito, Anna Buonaiuto, Bruno Sermoneta, Rosa Nicoli, e le altre
persone inizialmente identificate, quello che interessava far rilevare ai fini
di questo saggio, è il dato incontestabile costituito dai forti sospetti sul quell’ambiente che caratterizzò
concretamente l’azione degli inquirenti.
Pertanto, se per gli inquirenti
dell’epoca Laura Di Nola e Raffaele De Cosa potevano essere sospettati di
essere il punto di riferimento di un intero gruppo di persone a loro volta
sospettabili di essere parte di una cellula eversiva, si sarebbe dovuto
indagare a più ampio raggio, osservandone spostamenti, orari, eventuali
proprietà immobiliari ed eventualmente chi le occupasse e a quale titolo. Anche
oltre i confini del ghetto di Roma, come abbiamo anticipato nell’introduzione
di questo saggio.
Cosa che non risulta sia avvenuta,
neppure, in seguito, nell’ambito del giornalismo, della saggistica e nei lavori
di ben tre Commissioni parlamentari di inchiesta (CM-1, Stragi, CM-2).
Eppure, quello che si era andato
concretizzando fu un clima di sospetto, nel caso del Ghetto ormai tardivo – o
tardivamente palesatosi - rispetto al
tragico esito della vicenda, a ben vedere analogo a quello che viceversa caratterizzò
l’area della Balduina fin dalle prime ore successive al sequestro di Moro,
allorché, nella fase iniziale, si tentò inutilmente di individuare in quella
zona di Roma, se non la prima prigione di Moro, quanto meno uno o più luoghi di
primo ricetto sicuro, per quanto probabilmente di rapido transito, per alcuni dei sequestratori e/o per le auto
utilizzate nell’operazione.
E’ un percorso ideale lungo il filo
conduttore segnalatoci dalla presenza costante del barlume del sospetto, che
richiede, ora, di ritornare alla Balduina, compiendo un tragitto a ritroso nel
tempo e nello spazio, cioè dire dai luoghi e dal tempo della fine della vicenda
del sequestro Moro, verso i luoghi e il tempo del suo inizio.
VI) - ROMA, 1978. LE INDAGINI E LE SEGNALAZIONI DEI
PRIMI GIORNI DEL SEQUESTRO.
Senza poter analizzare in questa
sede alcuni punti critici sollevati (anche) dal rapporto del dirigente del
commissariato Montemario, Commissario Marinelli, di cui si è fatto cenno
nell’introduzione, redatto per il
Questore di Roma già il 17 novembre, a seguito di imprecisati “ulteriori
accertamenti compiuti in esito alle anticipazioni del quotidiano “Il Tempo”
del 15 novembre in merito all’articolo dello scrittore Di Donato “Cristo
nella plastica”, si possono comunque rilevare due particolarità del suo
contenuto, già accennate.
La prima, è che gli“ulteriori
accertamenti” cui Marinelli aveva fatto
riferimento, dato il lasso temporale di meno di quarantotto ore intercorso tra
le anticipazioni del quotidiano romano e la redazione del suo rapporto, si deve
presumere che fossero stati svolti tempo prima ed a prescindere dall’articolo
romanzesco dello scrittore italo-americano.
Di questi “ulteriori
accertamenti” per inciso non risulta che sia stato prodotto alcun riscontro
documentale, né risulta che l’ufficio istruzione di Roma, al quale la Digos
aveva trasmesso la nota del commissario Marinelli con nota del 1° dicembre
(vol. 34 cit. pag. 609), abbia chiesto a sua volta conto della corrispondente
documentazione informativa.
http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/023/023/INTERO.pdf
“Il 19 marzo
1978,
come risulta dagli atti acquisiti dalla Commissione presso il commissariato
Monte Mario, il brigadiere Pasquale D’Annunzio informò il suo superiore, il commissario
Marinelli, degli esiti negativi delle verifiche da lui stesso effettuate
nella zona della Balduina mediante perquisizioni, unitamente all’equipaggio
dell’auto radiocollegata « Monte Mario » e al pattuglione operante in quella
circoscrizione con sigla radio « Roma Narni 108 », sulla base segnalazioni
fornite dalla DIGOS e dalla Questura.
Tra queste se ne nota
una di interesse: infatti, alle 15.15 dello stesso giorno, la Sala operativa
della Questura di Roma comunicò che un anonimo aveva riferito che in via
Massimi, via Anneo Lucano, via Licinio Calvo « sarebbero nascoste le Brigate
rosse e lui ci avrebbe indicato l’appartamento che si accede attraverso un
garage ».”
La seconda particolarità è che
Marinelli attribuiva all’articolo di Di Donato un circoscritto riferimento alla
“parte alta” di Via della Balduina, quale luogo di ubicazione del garage
che avrebbe ospitato immediatamente l’auto con l’ostaggio nel giro di pochi
minuti e di poche centinaia di metri da Via Fani, che invece l’articolo non
conteneva in quanto nel testo si parlava di Via della Balduina senza alcuna
ulteriore delimitazione.
Tralasciamo di trattare qui, poi, la
parte ormai notissima di quel rapporto e le ipotesi che ne sono derivate, non
da ora, che riportava l’individuazione
di elementi di sospetto in un garage con doppio accesso su Via della Balduina
323 e Via Massimi 91, all’interno di un complesso di proprietà dello IOR, nel quale in tempi recenti alcuni componenti
della CM-2, e segnatamente il suo Presidente On. Fioroni, hanno ipotizzato con una
certa determinazione di poter individuare la prima prigione di Moro.
Aggiungiamo solo che a nostro parere
si tratta di un’ipotesi non condivisibile, poiché si basa su argomentazioni
puramente indiziarie assai deboli, nonostante alcuni ulteriori elementi
conoscitivi acquisiti rispetto ai decenni precedenti, i quali però ci sembra
siano stati posti tra loro in una concatenazione alquanto forzata.
Tuttavia, ciò che più interessa
rilevare è che - a prescindere dal fatto che proprio Via Massimi abbia avuto
oppure no un qualche ruolo nelle prime ore del sequestro - in base al complesso
degli elementi disponibili, dalle segnalazioni ad opera delle “fonti”, alle
ipotesi ed attività investigative, ed alla ricostruzione logica e di buon senso
degli eventi (fuga del commando, tempistica, sorte in sicurezza dell’ostaggio,
immediata scomparsa delle auto usate nella fuga ad eccezione della Fiat 132,
ecc.) è tutt’altro che da escludere che in quell’area, complessivamente
considerata, tra la Balduina e Monte Mario, circostante il luogo dell’agguato,
potesse essere collocato, se non il luogo della prima, transitoria detenzione
dell’ostaggio, quanto meno un sicuro luogo di ricetto per alcune delle auto
usate dai suoi sequestratori.
Il fatto che quella poc’anzi detta
fu un’ipotesi investigativa perseguita con insistenza nei primissimi giorni del
sequestro, è un pacifico dato di fatto acquisito agli atti.
Oltre al passaggio sopra riportato
della relazione finale del 2016 della CM-2, che attesta anche una specifica
attività della polizia (e delle sue fonti) in tale direzione, sono agli atti
anche i riepiloghi delle
operazioni della stessa Polizia e della Guardia di Finanza.
Con riferimento
ai riepiloghi dell’attività di questi due enti investigativi, si evince che vi
fu in primo luogo, quanto alla Guardia di Finanza, una tenace attivazione ed
insistenza delle “fonti” nel segnalare un covo dei sequestratori in una zona
circoscritta entro un raggio assai breve da Via Fani, come riportano in proposito,
nell’ordine cronologico di seguito indicato, le tre note informative prodotte
da quel Corpo disponibili negli atti.
La prima nota, datata 17 marzo
(CM-1, vol. 125, pag. 786), riportava che “Fonte confidenziale degna di
nota” aveva segnalato che Moro sarebbe stato “detenuto nella zona Balduina-Trionfale-Boccea-
Cassia”, sorvegliato da un solo carceriere, con larga disponibilità di cibi
in vista di una possibile lunga detenzione, senza però escludere che una volta
allentata la pressione delle forze dell’ordine, l’ostaggio sarebbe stato “trasferito
in altra località.
Nella seconda nota, datata 21 marzo
(vol. cit, pag. 795), si attestava che “altra fonte aveva confermato la
presenza a Roma di Moro, mentre “la fonte di cui al precedente appunto” –
potendosi così desumere che le fonti della Guardia di Finanza erano almeno
due- “oltre a confermare quanto già comunicato” aveva comunicato di
avere appreso che “quanto prima” Moro sarebbe stato trasferito per
raggiungere il “tribunale del popolo” per essere processato. Sempre la
“fonte” dell’appunto precedente aveva descritto le possibili modalità di
trasferimento dell’ostaggio, precisando che “i brigatisti avrebbero in Roma
più di un covo” , ed aveva aggiunto, a richiesta di precisazione dei suoi referenti
in quel Corpo, che pur non avendo elementi più precisi a disposizione, la zona
di detenzione dell’ostaggio, già segnalata nel precedente appunto, “a suo
avviso” si poteva ritenere
circoscritta in un raggio di due chilometri dal luogo del sequestro “(verso
il raccordo anulare)”.
Nella terza ed ultima nota
disponibile, datata 22 marzo (vol. cit. pag. 799), la “fonte” (come si
evince dalla parte successiva del testo, quella citata nel primo appunto) aveva
segnalato prima di tutto (le sottolineature sono nostre) che la 128 blu
utilizzata nell’agguato e nella fuga dopo la strage, ritrovata nel frattempo il
19 marzo, “immediatamente dopo il rapimento dell’On. Aldo Moro sarebbe
stata parcheggiata in un garage o in un box, ubicato nella zona segnalata con
il primo appunto, all’interno cioè della zona (o nelle immediate vicinanze)
massicciamente controllata dalle forze di polizia”.
Il secondo capoverso di questa nota contiene
una vera e propria ipotesi su uno dei punti tuttora maggiormente controversi
dell’intera vicenda, ovvero sia la ragione che spinse i sequestratori a
lasciare come noto le tre auto, ad oggi identificate quali quelle utilizzate
nell’agguato e nella fuga, in tre momenti diversi, in Via Licinio Calvo (si
confronti ad esempio per un’ipotesi in merito diversa da quella segnalata in
questo appunto, il saggio di Romano Bianco e Manlio Castronuovo, “Via Fani
ore 9.02”, ed. Nutrimenti, 2010, pagg. 106-107).
La “fonte” aveva riferito infatti –
per quanto non sia di immediata decifrazione la formulazione del testo
nell’appunto in esame- che per evitare il rischio che il rinvenimento dell’auto
nel luogo di ricetto potesse condurre all’individuazione di un “covo” , i
sequestratori avrebbero preferito correre il rischio “minore” di
spostare l’auto nel luogo dove era stata ritrovata tre giorni prima (cioè Via
Licinio Calvo).
Questo spunto investigativo era
diretto corollario dell’informazione già comunicata in precedenza, che la fonte
ribadiva ora “con insistenza”, e cioè che Moro sarebbe stato detenuto
nella “zona già segnalata”.
La sua liberazione, proseguiva la
fonte, sarebbe stata impedita dalla superficialità degli interventi
nell’immediatezza del sequestro, e dalla mancata effettuazione di controlli “a
tappeto”.
La nota concludeva riportando alcune
“voci” raccolte dalla “fonte”, secondo le quali (la
sottolineatura è nostra, e si rinviene comunque anche nella copia disponibile
agli atti, vol. e pag. citati) “un covo delle B.R. sarebbe ubicato nella
zona segnalata ad un piano alto (5°-6°-7°). All’appartamento in questione si
accederebbe con ascensore, oltre che dal normale ingresso, anche
Di queste tre note, in particolare
quest’ultima evidenziava, come vi si legge, che la fonte aveva ribadito “con
insistenza” che Moro sarebbe stato ancora tenuto prigioniero, a quella
data, “nella zona già segnalata”, e riportava un’indicazione della
“fonte” assai specifica quanto alle caratteristiche di “un “covo” delle B.R”,
nella stessa zona, indicando un appartamento ad un piano elevato con un
accesso anche dal garage situato nel piano interrato.
La Guardia di Finanza non
era rimasta inerte a seguito di queste segnalazioni.
In un appunto agli atti
della CM-1 (vol. 125, pag. 901), infatti, la Guardia di Finanza attestava di
avere iniziato alle ore “08.00 del 24 marzo” il “rastrellamento
informativo nella zona maggiormente sospetta”, individuabile sulle “pagine
gialle” (in realtà dovrebbe intendersi lo stradario di Roma) nella Tavola VII,
riquadri A-B-C-D, numeri 1-2-3-4-5-6 e 7. Di altri riquadri della stessa Tavola
VII veniva comunque preannunciato, in altro appunto, il “rastrellamento” in
data 25 marzo.
L’appunto chiariva che
l’estensore aveva ritenuto opportuno evidenziare che si era proceduto al “segnalamento”,
nelle schede informative compilate:
“- degli immobili cui è
possibile accedere anche dai garages;
- degli immobili che per
ubicazione e/o tipo, possono facilmente prestarsi a luogo di detenzione.”.
Le schede riepilogative
delle varie segnalazioni sono disponibili – con un’ordinazione delle
informazioni, nel volume 125 stesso, non propriamente corretta sul piano
sequenziale rispetto all’appunto di cui sopra- alle pagine 876 e seguenti.
Indubbiamente in queste
schede si rinvengono copiose indicazioni di immobili con le caratteristiche
evidenziate, nella “zona segnalata” più volte dalla fonte (o dalle
fonti).
Riportiamo specificamente
una di queste schede, recante l’elenco, una sorta di indice, degli immobili –
che in esito ai sopralluoghi effettuati, la Guardia di Finanza aveva
individuato possedere le caratteristiche poc’anzi evidenziate, sulla base delle
segnalazioni ricevute dalle sue “fonti” - individuati nella Tavola VII,
riquadro “F4” (CM-1, vol. 125, pag. 890), perché le indicazioni che vi si
trovano riportate hanno stimolato la nostra curiosità in ragione della loro
corrispondenza con alcune ripetute operazioni di perquisizione ed indagine
compiute dalle forze di polizia dietro coordinamento della Questura di Roma, il
cui elenco è disponibile nel vol. 104 degli atti della CM-1 alle pagine 84 e
seguenti:
Abbiamo notato, come
detto, che in una di quelle Vie, anche la polizia aveva svolto accertamenti in
date a cavallo di quelle in cui anche la Guardia di Finanza aveva svolto i
propri rilievi nella ricerca di immobili aventi quelle accennate
caratteristiche.
Come si è anticipato,
nel vol. 104 della CM-1, alle pag. 84 e segg. si trova, poi, il riepilogo delle
operazioni coordinate dalla Questura di Roma, allegato alla relazione che il
neo Ministro dell’Interno Virginio Rognoni avrebbe dovuto esporre al Parlamento,
nel dibattito sul sequestro e l’omicidio di Moro, sull’attività compiuta dalle
forze di polizia durante il sequestro.
Nell’ambito di queste
vaste operazioni, furono compiute tra le altre le seguenti:
il 18 marzo (vol. 104,
pag. 87):
-
il 30 marzo, tra le altre (vol. 104, pagg. 101-102):
Il 31 marzo, tra le
altre (vol. 104, pag. 103):
Di questi estratti, sia
degli elenchi redatti dalla Guardia di Finanza, che del riepilogo delle
operazioni coordinate dalla Questura, ci ha incuriosito inevitabilmente la
ricorrenza dell’indirizzo di Via Lucilio (erroneamente trascritta come “Lucinio”
nel riepilogo di polizia del 18 marzo).
Ciò essenzialmente per
due motivi: il primo è che non solo quella strada rientra a pieno titolo nella
“zona segnalata” (per dirla con la Guardia di Finanza), ma si tratta anche
della via sulla quale si immette Via Licinio Calvo, via nella quale come è
noto, praticamente all’incrocio tra le due strade, furono lasciate le tre auto
ufficialmente utilizzate nel sequestro e nella fuga del commando, e cioè: la
stessa mattina del 16 marzo, pochi minuti dopo la strage, la Fiat 132 che
secondo la versione ufficiale avrebbe prelevato Moro al termine dell’agguato;
nonché, nei giorni successivi, tra il 17 e il 19 marzo, la 128 bianca e la 128
blu (quest’ultima già citata dalla “fonte” della Guardi di Finanza).
Il secondo motivo è
che, come si legge nel riepilogo delle operazioni di polizia poc’anzi
riprodotto, Via Lucilio è una delle non molte strade nelle quali risulta
indicata la perquisizione specifica non solo dell’edificio posto ad un dato
numero civico, ma anche la singola unità immobiliare controllata: nel caso di
specie, Via Lucilio 36, interno 9/A.
Abbiamo vanamente
ricercato, ma di quella perquisizione, nonostante la sua specificità, non è
purtroppo emerso alcun verbale.
Anzi, si può dire che,
per quanto ci è noto, non esiste nulla negli atti disponibili in ordine ad
approfondimenti su Via Lucilio, a parte quei sintetici riferimenti, neppure
negli atti delle Commissioni Parlamentari di inchiesta, inclusa la seconda
Commissione Moro, che ha terminato i propri lavori alla fine del 2017.
C’è un’eccezione.
L’abbiamo anticipata nell’introduzione di questo studio. Ed è ora il momento di
tornare a parlarne.
VII-)
ROMA , AI NOSTRI GIORNI. RITORNO ALLA BALDUINA.
VII-1) “L’ALTITUDINE” DI VIA
MASSIMI 91 E DI VIA LUCILIO 36. UN PASSAGGIO DEL TESTO DI GIUSEPPE FIORNI E
MARIA ANTONIETTA CALABRO’
Meritano a questo punto
di essere riportate alcune parole, cui accennavamo nell’introduzione, dell’ex Presidente della Commissione Moro-2,
Giuseppe Fioroni, autore insieme alla giornalista Maria Antonietta Calabrò del
saggio “Moro-Il caso non è chiuso- La verità non detta”, ed. Lindau, II
ed. 2019, pubblicato dopo la fine dei lavori della Commissione da lui
presieduta.
Già dal titolo,
l’autore ripropone la propria tesi, che egli ha più volte sostenuto in varie
altre sedi, secondo la quale sul “caso Moro” si deve ritenere appunto esistente
una “verità indicibile”, che finalmente sarebbe stata a quanto pare svelata
in esito ai lavori della Commissione da lui presieduta, contrapposta alla “verità
dicibile”, cioè quella fino ad oggi ufficialmente certificata da vari
processi e in parte della memorialistica di matrice ex brigatista nonchè della
saggistica, frutto in sintesi di una “contrattazione” tra ex terroristi e parte
degli apparati dello Stato, e fondata essenzialmente sul riconoscimento di
fatto del così detto “Memoriale Morucci-Faranda”.
Già durante la lettura
del libro ha attirato la nostra attenzione il passaggio che di seguito
riportiamo, tratto testualmente dalle pagine 118 e 119 dell’edizione citata; la
sottolineatura nel testo è nostra:
“Un miniappartamento
nell'attico della Palazzina B.
Nel complesso di via
Massimi 91, tra il 1977 e il 1978 - ha scoperto la Commissione Moro2- furono
fatte modifiche abitative che sono state oggetto di recenti approfondimenti. In
particolare risulta che nell'attico della Palazzina B fu realizzata una sorta
di vera e propria camera compartimentata, un piccolo vano nel quale poteva
tranquillamente vivere una persona, costruito sul terrazzo dell'attico e
appoggiato a uno dei muri perimetrali dell'appartamento, in modo che una delle
pareti era in muratura.
Situata nella zona di
servizio dell'appartamento, la stanza, appositamente separata da una parete di
cartongesso dalla parte padronale, poteva ospitare un eventuale soggetto
temporaneamente custodito nella "cameretta" con gli spazi e i servizi
di un vero e proprio miniappartamento.
All'epoca del sequestro
di Moro, il terrazzo posto all'ultimo piano della palazzina B del complesso di
proprietà dello IOR di via Massimi 91 costituiva il punto più alto tra tutte le
costruzioni della capitale, e gli interni dell'attico di detta palazzina era
tale quindi da non poter essere "visti" da nessun altra proprietà,
appartamento, finestra, terrazzo della zona. Tanto che la società che ha
gestito la vendita del complesso immobiliare - dopo la dismissione da parte
dello IOR (2006) - ancor oggi lo pubblicizza per questa sua peculiare caratteristica.
Effettivamente le coordinate satellitari attestano che il civico 91 di via
Massimi è posto a 129 metri sul livello del mare, cui si devono aggiungere i
piani di altezza del palazzo.
Altre palazzine
- interessate dalle indagini sul misterioso covo delle Br in zona Balduina -
come il civico di via Lucilio 36, posto su una strada che interseca via Licinio
Calvo, sono stati costruiti a quote più basse
(altitudine di 117 metri).
Alcuni testimoni hanno
riferito che, a motivo della sua posizione dominante, dalle terrazze di via
Massimi 91 si poteva vedere bene sia via Licinio Calvo, dove vennero
abbandonate tutte e tre le auto dei terroristi provenienti da via Fani, sia
piazza Madonna del Cenacolo, piazza dove più tardi, nell'autunno del 1978,
vennero trasbordate alcune armi collegate al sequestro.”
Ora, il passaggio da
noi sottolineato ci è parso assai singolare. Ne spieghiamo subito le ragioni.
Come si è visto, Via
Lucilio 36 era stato oggetto di uno specifico controllo della polizia il 31
marzo, in modo particolarmente specifico nell’appartamento interno 9/A.
Le tre relazioni finali
pubblicate dalla seconda Commissione Moro alla fine degli anni 2015, 2016 e
2017 sono tutte disponibili al link:
https://inchieste.camera.it/inchieste/moro/documenti.html?leg=17&legLabel=XVII%20legislatura
Ebbene, nessuna delle
tre relazioni presenta un qualsiasi riferimento, fosse anche implicito,
sfumato, sotteso, a Via Lucilio (fatte salve le citazioni delle testimonianze risalenti
al 1978 in ordine al rilascio delle tre auto in Via Licinio Calvo).
Nonostante che nessuna
inchiesta si sia mai occupata dello stabile in Via Lucilio 36, neppure nella
saggistica, né tanto meno la Commissione da lui presieduta, il suo ex
presidente Fioroni, improvvisamente, ha portato per la prima volta alla
ribalta, in oltre quaranta anni di storia, giudiziaria e non solo, del
sequestro Moro, proprio quello stabile.
Dato che in quel
passaggio Fioroni fissa le premesse dell’ipotesi di sua elezione, secondo la
quale in un piano attico del complesso di Via Massimi 91 dovrebbe individuarsi
la prima prigione di Moro, proprio in virtù di caratteristiche analoghe a
quelle evidenziate nel 1978 dalla Guardia di Finanza – cioè un appartamento
sito ad piano alto, essendo peraltro dato notorio la presenza in quel complesso
anche di garages con accesso diretto alle abitazioni - è lecito immaginare che
egli si sia riferito allo stabile di Via Lucilio 36 non solo per l’altitudine
relativa, cui pure fa cenno, dei due edifici considerati, ma anche per le
caratteristiche analoghe di entrambi gli edifici, che, evidentemente avrebbero
potuto coincidere nell’uno come nell’altro caso con quelle poc’anzi già
ricordate e poste in rilievo dalla “fonte” della Guardia di Finanza nel 1978.
La nostra attenzione è
stata in particolare sollecitata dalla formulazione adottata dagli autori, stando
alla quale l’edificio di Via Lucilio 36 non è stato da loro assunto quale
paradigma delle altitudini degli edifici di altre palazzine della zona “interessate
dalle indagini “, bensì testualmente come mero esempio di altre palazzine
“sospette” collocate a quote altimetriche inferiori rispetto a Via Massimi 91.
Il punto che desta
interrogativi è quindi proprio questo. E cioè che gli autori- e segnatamente
Fioroni, considerato il suo recente ruolo istituzionale- non fissano l’edificio
di Via Lucilio 36 quale punto di riferimento delle altitudini della zona, in
quanto essi non affermano che quell’edificio costituisse l’edificio a quota
altimetrica immediatamente inferiore a quella dell’edificio di Via Massimi 91,
bensì, lo individuano a mero titolo di esempio tra le palazzine già oggetto di
indagine costruite “a quote più basse”.
Ma gli edifici di Via
Lucilio “interessati dalle indagini” nel 1978, come risulta dagli
estratti del riepilogo delle operazioni di polizia che sopra abbiamo
riprodotto, furono molteplici, non solo quello sito al civico 36.
Perché, allora, l’ex
presidente della Commissione Moro-2 ha fatto riferimento, pur formalmente
assumendolo come puro esempio di altri edifici sospetti della zona, proprio all’edificio
di Via Lucilio n. 36?
Questa circostanza induce
a formulare l’ipotesi che il riferimento a quell’edificio possa avere tutta
l’aria di un espediente narrativo il cui ambito spazi da una esemplificazione
puramente casuale a qualcosa di ben diverso.
Formuliamo l’auspicio
che il Presidente Fioroni (con Maria Antonietta Calabrò) in una prossima
edizione del volume vogliano sciogliere questi dubbi.
Ora, il complesso di
Via Massimi 91 era, come noto, di proprietà dello IOR.
Sarebbe allora a questo
punto interessante, in termini di mera ricerca storica, conoscere qualcosa di
maggiormente approfondito anche sullo stabile di Via Lucilio, e in particolare
sull’appartamento interno n, 9/A che fu, come si è visto, l’unico ad essere
controllato, il 31 marzo.
E così tentare di
sapere chi ne aveva la disponibilità materiale, chi insomma vi fu rinvenuto al
suo interno (salvo un’eventuale apertura forzosa, di cui non c’è traccia agli
atti, qualcuno avrà pur aperto la porta alla polizia!): già, la disponibilità
materiale, ovvero come si dice nel gergo comune la detenzione delle chiavi,
magari anche da parte di pacifici inquilini od altrettanto innocui ospiti occasionali
dei proprietari.
VII-2) VIA LUCILIO 36,
INTERNO 9/A….ED INTERNO N. 10/B.
La mancanza di un
qualsiasi riscontro documentale di quell’operazione di polizia, in questo caso,
come peraltro in casi analoghi in genere, comporta la necessità, per chi volesse
proseguire la ricerca, di trovare altri dati di riferimento stabili, cioè
principalmente risultanti da atti e documenti muniti di affidabile grado di
certezza, quali ad esempio il proprietario o i proprietari degli immobili; sempre
che peraltro ciò sia possibile.
Nel nostro caso, ciò si
è rivelato possibile.
Nel marzo 1978, la
proprietaria dell’appartamento di Via Lucilio n. 36, palazzina A, interno 9,
situato al 4° piano era per la quota di tre quarti la signora Marcella Milano.
Per la rimanente quota
di un quarto, la proprietaria era la figlia della signora Milano:
Laura Di Nola.
Laura Di Nola e sua
madre erano proprietarie anche dell’omologo appartamento interno 10, sempre 4°
piano, nell’altra palazzina, distinta con la lettera B.
Quegli immobili erano
di proprietà dal 1960, per metà ciascuno, dei genitori di Laura Di Nola, la
quale, al decesso del padre, Giacomo Guglielmo Di Nola, avvenuto il 12
settembre 1977, ereditò, insieme alla madre, la metà già di proprietà del
padre.
Ciascuno dei due appartamenti
aveva un box di pertinenza in piano seminterrato.
Dal punto di vista
dell’operato degli inquirenti, viene allora da chiedersi perché, già che
c’erano, non venne appunto perquisita anche la palazzina gemella individuata
con la lettera “B”.
La domanda sorge
spontanea, proprio perché quello specifico controllo lascia immaginare che
venne svolto in virtù di un qualche preciso impulso informativo già a
disposizione degli inquirenti (anche a prescindere dal fatto che in mancanza di
riscontri documentali non si ha piena contezza del suo esito, dovendosi solo
presumere che data la mancanza di qualsiasi ulteriore notizia successiva in
merito a quell’edificio e alle persone ivi individuate, a quanto pare almeno
alla data del 31 marzo esso si rivelò negativo).
E’ quindi quanto meno
singolare che essendo i due alloggi ed annessi box auto di proprietà delle
stesse persone, non sia venuto in alcun rilievo, nello spunto di indagine,
anche l’appartamento interno 10 della palazzina B.
Perché, dunque, si
controllò l’interno 9/A, e non si fece altrettanto con il 10/B?
C’è poi l’aspetto dei
due boxes pertinenziali: furono controllati?
Se si deve stare alla
succinta descrizione dell’operazione di polizia di quel 31 marzo, sembra
proprio di no, visto il circoscritto riferimento al solo interno 9/A, che per comune
uso dei termini appare identificare, in assenza di una precisazione che si
riferisca anche ad eventuali pertinenze, il solo appartamento quale porzione
immobiliare – come si usa dire- “principale”.
La possibile rilevanza
della questione appena posta è resa evidente dal fatto che la scheda della
Guardia di Finanza sopra riprodotta indicava chiaramente ai civici 32 e 38 di
Via Lucilio due accessi rispondenti alle caratteristiche focali dell’oggetto
dell’indagine, cioè l’accesso diretto dai boxes agli appartamenti.
Ed in effetti,
utilizzando la funzione “street view” di google maps, e fatte salve eventuali
diverse risultanze che dovessero emergere dalla verifica sui luoghi, sembra
proprio che ai civici 32 e 38 corrispondano i cancelli di accesso carraio al
piano interrato delle stesse palazzine aventi accesso “principale” (cioè quello
pedonale agli appartamenti) al civico 36.
Rimane quindi, sul
piano storico, l’incognita sui dettagli di quanto effettivamente fu riscontrato
dalla polizia in quel controllo, e in particolare, come si è accennato, su chi
fossero gli occupanti al 31 marzo 1978 dell’appartamento 9/A, il solo
controllato nell’intero edificio.
Dall’unico elemento
documentale noto dotato di affidabilità, si evince solo che nella denuncia di
successione della madre di Laura Di Nola, Marcella Milano, deceduta il 28
gennaio 1983, chi predispose quel documento qualificò testualmente i due
alloggi di Via Lucilio 36 come “ridotti in pessime condizioni dagli
affittuari”.
Qui ci fermiamo, perché
da questo pur chiaro indizio dell’occupazione, almeno al gennaio 1983, da parte
di terzi degli immobili che al 31 marzo 1978 appartenevano a Laura Di Nola e a
sua madre, noi non siamo in grado in alcun modo di poter stabilire né da
quando, né a chi, quegli alloggi fossero stati concessi in affitto, né
tanto meno se eventualmente essi fossero stati occupati, già in epoca
antecedente, in virtù di meri, precari accordi verbali tra proprietari ed
eventuali occupanti.
In conclusione, se da
un lato va certamente tenuto sempre ben presente e rammentato che Laura Di Nola
e il suo ex marito sono rimasti indenni da qualsiasi provvedimento giudiziario
inerente il sequestro, dobbiamo ugualmente ripeterci in ordine alla lampante
evidenza del fatto che, se a partire dalla tarda estate del 1978 le autorità
inquirenti sospettarono così insistentemente dei coniugi Di Nola e De Cosa e
dei contesti topografico (il ghetto di Roma) e soggettivo, ovvero sia delle
persone che gli inquirenti avevano ipotizzato facessero riferimento ai due
coniugi, quelle indagini ebbero comunque
corto respiro ed ancor più corto raggio d’azione.
Tanto più se, come
sostennero i consulenti della Commissione Stragi Scè e Bonfigli, è vero che già
il 30 maggio 1978 la Ucigos aveva chiesto alla Digos informazioni e foto di
Raffaele De Cosa, dunque ben prima dell’arresto di Mortati, le cui confessioni
finiscono invece con il costituire ancora oggi uno stretto binario che tuttora
condiziona gli studi sulla questione, limitandone la portata alla sola zona
dell’ex ghetto di Roma; di modo che nessuno è mai riuscito, allora come oggi, a
volgere lo sguardo anche altrove: ad
esempio al di là del Tevere, verso la collina di Monte Mario e la Balduina.
VIII) CONCLUSIONE - “VERITA’
INDICIBILE”, ALLUSIONE CRIPTICA O
ESEMPIO DEL TUTTO CASUALE?
In conclusione, è il
caso di tornare a quel passaggio del libro di Giuseppe Fioroni che abbiamo
sopra riprodotto e commentato.
L’attenzione se la
merita tutta, visto che, come si è detto, è l’unico spunto, in oltre quaranta
anni di storia, anche narrativa, della vicenda del sequestro e dell’omicidio di
Aldo Moro, che abbia fatto un cenno sia pure istantaneo proprio a Via Lucilio
36.
Torniamo alle tre
relazioni finali presentate rispettivamente alla fine degli anni 2015, 2016 e
2017 dalla Commissione Moro-2 presieduta dallo stesso Fioroni.
Come anticipato, nessuna
delle tre relazioni reca il minimo accenno a Via Lucilio nei termini qui
indicati, ma non solo: nessuna delle tre relazioni reca alcun cenno a tutte le
questioni trattate nel presente scritto.
Si può dare cioè per
acquisito testualmente che, fatti salvi eventuali documenti al momento
ancora secretati (tali ne risultano ancora in mole considerevole, sulle
acquisizioni della CM-2, che coprono l’annosa e complessa vicenda del
sequestro), nessun ulteriore accertamento è stato svolto – o se svolto, non
è stato reso noto - dalla
Commissione presieduta da Fioroni sulle vicende che abbiamo affrontato e in
particolare sull’edificio di Via Lucilio 36 nel suo complesso, anche a
prescindere, cioè, dalle specifiche unità immobiliari già di proprietà di Laura
Di Nola e della madre.
Una rapida ed agevole
verifica con la funzione di ricerca disponibile nei comuni software in uso sui
tre testi in esame, restituisce infatti questi risultati:
- nella relazione del
2015, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Ghetto”, “Di
Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano
due sole menzioni, alle pagine 139 e 146 con la chiave “Lucilio”, relative
esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento delle auto in Via
Licinio Calvo;
- nella relazione del
2016, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Di Nola”, “De
Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano
esclusivamente: due sole menzioni, a pagina 58, con la chiave “Lucilio”, sempre
relative esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento delle
auto in Via Licinio Calvo; ed una menzione del tutto incidentale con la chiave
“Ghetto” a pagina 32, riguardante l’audizione dell’ex colonnello Cornacchia in
merito alla vicenda Jaguar-Sermoneta, che si esaurisce con la menzione dell’affermazione
dell’ex ufficiale di non avere ricordato nulla in proposito nell’audizione
stessa;
- nella relazione del
2017, non risulta nessuna citazione con le chiavi di ricerca “Di Nola”, “De
Cosa” e “Buonaiuto” (neppure nella versione “Bonaiuto”); risultano
esclusivamente: una sola menzione, a pagina 257, con la chiave “Lucilio”,
sempre relativa esclusivamente alle testimonianze dell’epoca sul ritrovamento
delle auto in Via Licinio Calvo; ed una menzione del tutto incidentale con la
chiave “Ghetto” a pagina 80, riguardante l’audizione del ricercatore Marco
Benadusi nella quale si riporta la menzione della risposta data dal ricercatore
in quella sede, sempre in via del tutto incidentale, in ordine alle
dichiarazioni rese da Elfino Mortati dopo il suo arresto, menzione che in
questo caso ci sembra comunque opportuno riportare testualmente :” Benadusi
ha quindi risposto a una domanda sulle dichiarazioni di Elfino Mortati e ha
ricordato che Mortati fece scoprire un covo in via dei Bresciani, mentre non si
riuscì a individuare quali fossero i due covi nel Ghetto nei quali Mortati
aveva affermato di aver visto Enrico Triaca e Valerio Morucci.”
Infine, nell’indice per
nomi in calce allo stesso saggio di Fioroni e Calabrò, non si rinviene alcuna
voce relativa ai cognomi “Di Nola”, “De Cosa” e “Buonaiuto”
Se il retroterra degli
accertamenti è tanto brullo, un vero e proprio deserto di notizie o novità riguardanti quanto si è
qui affrontato, va ribadito una volta di più che costituisce indubbiamente
un’inaspettata “rivelazione” quel riferimento proprio a Via Lucilio 36 esposto
da Fioroni nel suo citato saggio, per le ragioni che si sono esposte.
A prescindere dalle probabili
ed approfondite misurazioni a disposizione di Fioroni delle rispettive
altitudini più o meno su tutti gli edifici della zona, ci chiediamo
infine se, per caso, la storia mai scritta di Via Lucilio 36 – sia essa, oppure
no, insignificante – abbia dovuto attendere oltre quarant’anni dal sequestro
Moro per nascere e morire nello spazio di una manciata di parole, come un mero,
banale problema di orografia del
quartiere della Balduina.
Nel dubbio, ci
riserviamo la possibilità - che assai probabilmente, se del caso, interesserà i
posteri - che un giorno possa forse scoprirsi che (anche) la storia delle
indagini in Via Lucilio 36 si sarebbe dovuta collocare nell’ambito della “verità
indicibile” sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.
Ottimo.
RispondiEliminaGrazie Domenico. Se puoi, per favore, segnalalo ai tuoi contatti social. Ciao.
RispondiEliminaCatasto e non solo.
RispondiEliminaQuanto alla ricostruzione globale della vicenda, personalmente non sono in grado ancora di proporre una ricostruzione dimostrabile.
Occorrerebbe sapere dove aveva il suo domicilio effettivo la marcella milano nei 55. Perché è strano che, avendo 2 appartamenti di proprietà in zona buonina come la balduina, la signora poi abitasse altrove. Possibile, ma strano, tenuto conto che i commercianti, e gli ebrei in genere, stanno particolarmente attenti ai soldi. Ci vorrebbe un certificato storico anagrafico della milano. Perché, se la milano abitava in uno dei due appartamenti di lucilio 36 nei 55, allora diventa difficile pensare che la figlia mettesse lì dentro o Moro o un paio di macchine della fuga o entrambi. A meno che non fosse del mossad pure la madre. Poi c´era la villetta di trevignano, par di capire intestata ai di nola, forse la milano stava lì ? Ci vorrebbe visura catastale storica per soggetto sia della di nola sia della milano sia del giacomo guglielmo, sia del de cosa. Ma poi non basterebbe, perché se uno ha una casa intestata, non è detto che ci abiti. Poi non comprendo l´asse ereditario : se la di nola morì davvero nel ´79, la sua quota di lucilio 1 e 2, a chi andava per legge, alla madre o anche al marito ? È tutto molto intrigante ma nebuloso purtroppo. La di nola era lesbica, dunque il marito a che le serviva ? Forse per convenienza sociale, dato che le lesbiche nei ´60 e ´70 erano ancora represse in italia ? Tornando a lucilio, i due box avrebbero potuto ospitare due delle macchine di Fani, ma le macchine usate a Fani furono forse di più, includendo il furgone bianco, la A112, e poi la 132 che forse nemmeno stava a Fani ma da qualche parte doveva stare, se davvero è stata ritrovata a Calvo. Al 1983 se ho ben capito, sono attestati affittuari a lucilio 36, 1 e 2 : ma non sappiamo se stavano lì pure nei 55.
RispondiEliminaVisto su googlemaps, questo civico 36 e la via sembrano abbastanza densamente abitate : portarci Moro, o anche solo due delle macchine poi "ritrovate" a Calvo, alle 9 di mattina, o poco dopo, con la gente in giro e tanti occhi potenziali, foss´anche con Moro dentro una cassa come D´Urso o Sossi, mi pare difficile anche se non impossibile, cmq rischiosetto. Ma non si può dirimere, l´unica cosa certa è che la prima prigione era in zona Moro, cmq lucilio 36 buono a sapersi. Un giorno se escono le prove, potrebbe rivelarsi l´indirizzo giusto che tutti cercano invano da 44 anni.
RispondiEliminaUn´altra incognita è come campasse la di nola, che era diplomata in regia ma non s´era mai affermata professionalmente. Il marito aveva un laboratorio di elettricista pare, a Ripetta 71. Quando muore il padre, l´eredità dovette esser cospicua, ma il padre muore solo nel ´77, e prima come avevano campato i di nola/de cosa ? Lei aveva già 45-46 anni nel 1978, il marito 42. Forse integravano appunto, affittando uno dei due appartamenti di lucilio ? oppure la stipendiavano mossad e wiesenthal ?
i punti oscuri sono ancora troppi. Certo che la di nola campava di lusso, teneva salotto a s.elena con l´élite, con dacia maraini e simili, insomma non aveva certo problemi di soldi o necessità di guadagnarsi da vivere. Mah, senza prove brancoliamo nel buio ma almeno questo lucilio 36 fa gioco, sta proprio lì a due passi da Calvo, sta inzoma prima prigione, quindi è una possibilità.
Sul piano alto per la prigione, mmm...Dalle lettere, confortate dal fumetto di metropoli, si penserebbe piuttosto a seminterrato, per via di passi come "filtra sin qui la notizia" oppure "se ci fosse luce, sarebbe bellissimo". Il fatto che il cadavere fosse colorito non dirime, perché Eleonora attesta che il marito manteneva abbronzatura da stagione all´altra, poi andava spesso a Terracina etc. La tonicità muscolare potrebbe spiegarsi con grande spazio nella prigione, o cortile o casa isolata con cantina e giardino etc. Ma anche qui, non si riesce a dirimere.
RispondiEliminaIl fumetto di metropoli, stando a piperno audito dalla stragi, fu imbastito da madaudo e socrate, sulla base di conversazioni tra piperno e gli altri redattori. E quelli la sapevano lunga sul sequestro. C´è la faccia di senzani ed altre cose veritiere o plausibilissime. Poi ci sono anche depistaggi, come sempre. Ma la anna di metropoli fa l´insegnante, non l´attrice come la buonaiuto, forse dunque allude più all´algranati, che mi risulta unica prof tra le donne br del sequestro Moro. Inoltre è bionda, mentre la buonaiuto è mora. Il problema con la buonaiuto, è che stando a quel che mortati racconta di anna agli atti della Moro 1, la descrizione non collima affatto : la buonaiuto è del ´50, la anna di mortati del ´58 ; la buonaiuto aveva già concluso gli studi di recitazione da un pezzo, mentre la anna di mortati è iscritta ai primi anni di giurisprudenza, facoltà che la buonaiuto non risulta aver frequentato (fece solo, disse, 1 anno a filosofia). La anna di mortati era di Roma, coi genitori ad Ostia, un altro passo degli atti la dice di origine siciliana - la buonaiuto invece è di Latisana (UD), il padre napoletano, la madre latisanese. Anna di mortati è figlia unica, la buonaiuto ha 3 sorelle. Inoltre quando gli mostrano le foto dei ricercati, mortati riconosce "mario" in morucci e "anna" in marina premoli, anche se dubitativamente qui. Non so però se gli fu mostrata anche foto della buonaiuto. Certo che se anna era la buonaiuto, potrebbe aver mentito a mortati. Ma non si può dirimere neppure qui. Resta il sospetto sulla buonaiuto, per via del volantino etc., ma anche perché anna è l´unica del gruppo afferente in qualche modo a bresciani 4 etc., a non esser mai stata identificata in 44 anni - il che odora di copertura assai forte. Non la si è voluta identificare. Questo è un dato di fatto. Voglio dire, per dozier hanno chiamato de tormentis e torturato atrocemente 3 o 4 br, per anna o la di nola, alla maggior parte dei disperati di bresciani 4 non han chiesto mai nulla.
RispondiEliminabuonaiuto ha goduto (e gode) di una totale impunità e immunità, è una di quelle persone che l'hanno fatta franca, che l'hanno sfangata, e questo fa male, specie ripensando ai sei morti ammazzati e a quelle vittime collaterali che hanno avuto il solo torto del coraggio e della schiena dritta.
EliminaAd ogni modo non credo che i più volte menzionati "anna" e "franco" si chiamassero effettivamente così, più probabile che fossero i cosiddetti nomi di battaglia.
Gentile Bianchi, ho l'obbligo di ribadire che, come abbiamo già scritto nell'articolo, Anna Buonaiuto deve ad oggi ritenersi a tutti gli effetti estranea ai fatti.
EliminaLa vicenda mortati è fortemente sospetta. A un certo punto, finisce come la storia di de sena a parigi : un velinaro, forse imbeccato da russomanno, svela il segreto istruttorio e addio indagine. Per mortati, ci pensa l´ex(?) terrorista fascista di avanguardia nazionale guido paglia su La nazione, a spifferare che mortati è coinvolto nel caso Moro etc., al che mortati smette di collaborare e priore ed imposimato gettan la spugna con gran sollievo anche perché spinella li aveva ammoniti fotografandoli dal campanile di s.caterina dei funari o da casa cassia a funari 31/sisde - addio mortati e covi br del ghetto. Quindi vollero sabotare, sabotare le indagini sul ghetto, sabotare eventuali indagini su mossad e cia a caetani 32/centro studi americani/usis, sabotare indagini sui sonnino etc. Proprio come saboteranno de sena e calogero su hyperion.
RispondiEliminaConcludendo provvisoriamente : davvero buono a sapersi il lucilio 36. Però se pubblicaste visure e documenti, meglio ancora, così la comunità degli studiosi se ne potrebbe giovare per verifica. Sono passi avanti, rilevanti anche se indiziario/ipotetici. Una volta scoperto ed accertato con prove, dov´era la dannatissima prima e principale prigione, e nomi, cognomi ed appartenenza e posizionamento iniziale, di chi davvero uccise gli agenti a Fani, il caso Moro è risolto.
RispondiEliminaSono le parti più difficili. Ma non esiste delitto perfetto. Sursum corda.
Ricordiamo a tutti i lettori che, come abbiamo evidenziato nell'articolo, tutte le persone di cui abbiamo analizzato o accennato le vicende (Laura Di Nola e i suoi genitori, Raffaele De Cosa, Anna Buonaiuto, Rosa Nicoli, Bruno Sermoneta) , sono a tutt'oggi a tutti gli effetti da considerare estranee ai fatti. Invitiamo a tenerne conto nei contenuti e nei toni dei commenti nonchè delle ipotesi personali eventualmente avanzate da ciascuno dei lettori.
RispondiEliminaQuanto ad Elfino Mortati, più che la vicenda abbastanza "trita" del ripensamento immediato a causa, come si è presunto, dell'articolo di Guido Paglia, sarebbe interessante capire come mai 22 anni dopo trasforma "Anna" addirittura in uomo. Magari analizzeremo in seguito anche questa sua personale questione.
Fu il mortati a trasformare anna in tirabovi (peraltro morto "suicida" ?) ? Fonte ? Altra domanda : in quale dei documenti reperiti, immagino all´ufficio di pubblicità immobiliare di roma, sta scritto che l´ascensore dai box di lucilio 36 sboccava direttamente negli appartamenti dei di nola ? Ancora : che significa in pratica : che c´era un ascensore privato in uso esclusivo ai di nola, che dai box portava dentro gli appartamenti ? Oppure era l´ascensore del garage, dei garage condominiali ? Ma allora dove sboccava, dentro le case di nola o sui pianerottoli ? Quanti appartamenti c´erano a pianerottolo ? 9 o 10 interni diviso 4 piani fa più di 2 appartamenti a pianerottolo. Oppure i quarti piani erano tutti dei di nola ? Quindi o questi ascensori erano privati, e andavano direttamente dai box di nola agli interni di nola, ed allora c´era discrezione a caricare eventualmente Moro in ascensore, ad andare e venire dall´eventuale prigione etc. Oppure questi ascensori erano in comune coi condomini del garage e sboccavano sul pianerottolo, quindi niente discrezione e rischio di trovarsi faccia a faccia col vicino di pianerottolo con la cassa di Moro in mano o addirittura Moro fuori, il che renderebbe davvero improbabile che la prigione fosse lì, specie considerando che Moro arriva in prigione poco dopo le 9, non di notte. Avete insomma, la topografia esatta di questi due box, dei due appartamenti e degli ascensori ?
RispondiEliminaNon so se lei stia replicando a precedenti commenti, come riterrei più sensato, oppure al nostro articolo. In questo secondo caso, le sue di, pur legittime, non deve rivolgerle, con ogni evidenza, a noi. Al limite, avrebbero dovuto porsele gli inquirenti dell'epoca, quelli degli anni seguenti, le commissioni parlamentari, e i pubblicisti professionisti. Grazie ancora.
RispondiEliminaOvviamente intendevo scrivere "le sue domande", ecc.
EliminaP. S. Ribadisco comunque che fu la Gdf a individuare le due rampe di box, con accesso ai numeri 32 e 38,tra quelli aventi tali caratteristiche.
EliminaP. S 2. Quanto al Mortati, non è ovviamente questa la sede per una analisi compiuta. Chiarito che eventuali imprecisioni nella risposta a uno dei commenti precedenti è imputabile al sottoscritto, vero è che essa sarebbe del tutto veniale, perché la verità storica è quella : a un certo punto Anna diventa un uomo, e Mortati si trincero' un paio di decenni dopo dietro un forte difetto di memoria. Ci torneremo sopra.
EliminaMah, per sapere ad esempio, quanti appartamenti ci sono al quarto piano delle due palazzine di lucilio 36, basta piantina catastale, o planimetria catastale o come si chiama. Non c´è neppure bisogno dell´ufficio di pubblicità immobiliare per questo, credo basti qualsiasi catasto di qualsiasi città. Questo continuo rimpallare alle autorità preposte, quando si sa benissimo che non han fatto che depistare o ignorare per 44 anni, è francamente stucchevole. Cmq vedrò di far la ricerca da solo, visto che non esiste volontà di approfondimento qui, a parte la scortesia offensiva delle repliche che tendono solo a soffocare il dibattito con scuse pretestuose e/o vili.
RispondiEliminaScusi, ma di che parla? Non so chi sia lei, so soltanto che passa da un tono al limite anche costruttivo ad uno inutilmente aggressivo con una facilità che fossi in lei riterrei preoccupante. Non vedo poi il problema sostanziale, che rimane sempre quello. Noi abbiamo individuato un dato, il resto secondo lei spetta a noi?
Eliminabuongiorno Giuseppe (alias phil glass / skep /aleth / basc ape / anonimo)
Eliminadal momento che “non esiste volontà di approfondimento a parte la scortesia offensiva delle repliche che tendono solo a soffocare il dibattito con scuse pretestuose e/o vili”, sfugge il motivo per cui continui a frequentare attivamente questo sito di “pezzenti gelosi” a cui starebbe a cuore “il copyright della vanagloria degli stronzi”
viene quasi da pensare che abbia molto tempo libero e niente di meglio da fare
un saluto
alberto
Mi corre l'obbligo di spezzare una lancia a favore dei 4 moschettieri. E' stata pubblicata un'analisi molto approfondita che, se per certi versi reputo stucchevole, va comunque apprezzata per quello che è: un tentativo di fare chiarezza aggiungendo un tassello in più. Per altro fu lo stesso contestatore "anonimo" a sollecitare un approfondimento di natura catastale, ed eccolo servito. Ma vedo che costui non è mai soddisfatto e chiede sempre di più: vorrebbe, insomma, la pappa pronta.
EliminaAllora resto in trepidante attesa che costui apra un suo blog e pubblichi i risultati delle sue ricerche.
Ehi mario bianchi : se mi vuoi criticare benissimo, però devi leggermi prima : io non ho affatto chiesto la pappa pronta, al contrario ho detto che siccome la planimetria catastale non vogliono trovarla loro, me la cerco da solo, perché è importante appurare se al quarto piano i di nola fossero soli, o con vicini di pianerottolo, e se l' ascensore dunque sboccasse dentro casa di nola, o sul pianerottolo in comune con estranei magari. Non è necessaria la tintisona per questo. Inoltre ho chiesto di pubblicare i documenti che il guidi ha evidentemente reperito all' ufficio di pubblicità immobiliare di roma, e nei quali ha trovato i dati catastali di cui scrive : perché ritengo importante condividere con la comunità dei ricercatori, anche perché son carte che costano, e non tutti hanno i fondi per questo, o il tempo etc. : il caso Moro non lo risolve uno o 4 o 5, lo si risolve in dozzine e dozzine, di generazione in generazione, data la complessità tecnica ed anche il costo e la delicatezza ed il rischio del reperire le prove.Il punto della mia critica, in generale, era che non dobbiamo attenderci nulla da autorità che hanno solo depistato ed insabbiato per 44 anni. Dobbiamo fare da soli. Se sto qui, rispondendo anche all' agent provocateur di turno, se sto qui è perché il tassello lucilio 36 è potenzialmente importante, ed aver scoperto che c' era, tra milioni di possibilità, proprio la di nola è potenzialmente rilevante, anche se per ora solo sul piano indiziario. E questo è un indubbio merito del guidi, altrimenti non starei a perder tempo a leggere e commentare l' articolo. Ovvio che la ricerca deve continuare, che non ci si può fermare o ritenersi soddisfatti, fino alla scoperta provata di dove k stesse Moro e dove k stesse il o i garage compiacenti. Ma intanto, questo indirizzo nuovo è da vagliare ed approfondire, senza lasciare la cosa a morire more solito in mano alle autorità - che non hanno nessuna intenzione di fare sul serio. Infine, quanto alle mie di ricerche, se mi favorisci il tuo indirizzo email, te ne mando in pdf 325 pagine se vuoi. Il problema qui, come altrove peraltro, è che non si riesce a discutere in pace senza che qualcuno la butti in rissa. Non mi sorprende, non mi tange proprio, è un peccato però, perché se tutti quei pochissimi rimasti a ricercare attivamente sul caso Moro, si aprissero alla condivisione ed alla civile discussione critica, forse chissà, non ci vorrebbero altri 44 anni per scoprire le ultime due cose essenziali che mancano : la prima e principale prigione, e nomi cognomi appartenenza di chi davvero uccise gli agenti a Fani. Amen.
RispondiEliminaVorrei replicare a Bianchi se trova stucchevole che per la prima volta in 40 e passa anni sia stata rilevata una data di uno stato di famiglia che smentisce il presunto primo sopralluogo dei vigili urbani al 16 settembre, o se trova stucchevole che per la prima volta in 40 anni e passa siano state date le generalità della portinaia di via Sant'Elena e il fatto che abbia deposto davanti a Priore in modo differente da quanto attestato dai vigili. Se Bianchi sapeva già queste cose, l'articolo poteva farlo lui, lo avremmo ospitato volentieri.
RispondiEliminaQuanto al Guidi, che sarei io, vorrei dire ad anonimo alias Aleth, o Skep, che le planimetrie le abbiamo. Non sta a noi pubblicarle, gli dico solo per sua conoscenza che dalle planimetrie non dedurra' mai il reale stato dei luoghi, specie tra un piano seminterrato e un piano alto. Deve andarci di persona.
Cioè, avete la planimetria dell' edificio, ma non quella dei singoli piani se ben capisco. Ok allora se la planimetria dei singoli piani non è reperibile, ci penserò io a sgamare quanti appartamenti ci sono ai quarti piani. Quanto alle generalità della portinaia, stanno agli atti della Moro1, e già altri su fb ed altrove aveva rilevato mesi fa le discrepanze tra le deposizioni, e molto molto altro, ma non importa, non è questione di priorità, ma di arrivare a risolvere. Il punto davvero nuovo e buono e da tanti complimenti dell' articolo è di nola a lucilio 36. Quello è davvero rilevante potenzialmente. Poi se vi decideste un giorno a pubblicare 'sti benedetti documenti catastali su lucilio 36 , non credo né che il mossad vi sparerà dato che purtroppo le masse popolari non vi si filano proprio e non spostate consenso politico alla vulgata perché non avete accesso ai massmedia nell' ora di massimo ascolto purtroppo ; né che la di nola vi citerà per diffamazione o violazione della privacy, dato che è morta, se poi nel 79 o 2004 non fa differenza. Morta è la madre, il padre, figli o fratelli non ne aveva, de cosa ha 86 anni e penso abbia ben altri problemi se vivente, e se ne sbatte dei di nola tant'è che s' è pure risposato. Cmq fate come vi pare, il tono costantemente astioso e polemico e sussiegoso di queste sezioni commenti impedisce qualsiasi civile dibattito costruttivo e francamente, bye bye. Se non pubblicate voi le visure, prima o poi appena trovo tempo e denaro me le compro da solo e le pubblico io. Nessuno è indispensabile, né il sedicidimarzo né io né nessuno. Indispensabile è arrivare a risolvere il caso Moro, quello sì, e chiunque ci riuscirà avrà raggiunto la meta solo grzie a tutti gli sforzi genuini di chi lo avrà preceduto - a cominciare da Alfredo Carlo Moro, Flamigni e D' Adamo, i veri padri nobili del caso Moro.
RispondiEliminaAleth, non si capisce cosa lei intenda per "planimetria dell'edificio" e/o "planimetria dei singoli piani" . In catasto esistono, talvolta: a) le planimetrie delle SINGOLE unità immobiliari (e queste DEVONO esistere); b) gli "ELABORATI PLAIMETRICI" (e questi esistono TALVOLTA, specie per edifici nuovi o per variazioni nuove). Dagli ELABORATI PLANIMETRICI lei non evincerà MAI se un box in piano interrato è collegato direttamente con un 4° piano. E' CHIARO? Può viceversa evincere se su uno stesso piano vi siano X alloggi, o Y boxes ecc. Non ho poi capito dove vuole arrivare: se per ipotesi in 4° piano vi fossero 3 alloggi, ciò escluderebbe forse un "covo"? A Via Gradoli erano almeno 3 per piano, eppure...A Via Montalcini non ricordo, dovrei ricontrollare. Senza accusare neppure lontanamente i coniugi Di Nola e De cosa, facciamo un esempio: stabile condominiale con ascensore monofunzionale (cioè, chi primo arriva, primo alloggia). Tizio, dopo avere parcheggiato l'auto, dal piano interrato preme il tasto 4 e sale al quarto piano senza interruzioni. C'è discrezione? Secondo me, si. Sia chiaro, sto facendo un esempio in generale.
RispondiEliminap.S. Aleth, nella fattispecie le assicuro che non risulta disponibile alcun "elaborato planimetrico" per l'edifico in questione. Quindi muova le gambe e vada a verificare lo stato dei luoghi motu proprio. Cosa vuole sapere, se l'ascensore arrivava ai/dai piani bassi a quelli alti? La risposta è si, almeno per alcune delle planimetrie disponibili. Non vedo proprio cosa cambi rispetto a Via Montalcini. In questo caso inoltre il problema potrebbe anche ridursi - si fa per dire- al ricetto solo di una o più autovetture dopo la fuga da Via Fani, a prescindere cioè dalla sorte dell'ostaggio.
RispondiEliminaMa insomma, li ha o no gli elaborati planimetrici dei due piani interessati ? Si evince o no quanti appartamenti c´erano a questi due quarti piani ? Perché se erano più di quelli dei di nola, allora è difficile che ci abbiano ficcato Moro alle 9 del mattino, in cassa o fuori cassa, col rischio di incontrare vicini ficcanaso sul pianerottolo - è chiaro il concetto ? A meno che ripeto, l´ascensore non sboccasse direttamente, come a volte capita, DENTRO gli appartamenti di nola. Oppure, che tutti gli inquilini o almeno tutti quelli dei quarti piani fossero complici. Comunque è ovvio che questi dettagli non li avete in mano. Cercherò di procurarmeli io, ho i miei sistemi. Ovvio poi che, anche se non erano prigione, i box dei di nola poterono fornir ricetto a un paio di macchine "ritrovate" poi a Calvo lì a due passi. Giusto anche pensare che lucilio 36 fosse semplice covo, senza esser né prigione né garage compiacente. Io commentavo sulla eventuale funzione prigione, che è quel che mi sembra più importante scoprire. Ma anche altre funzioni sarebbero ovviamente rilevanti, quindi concordo sul fare ogni ipotesi. Sarebbe importante anche stabilire, come dicevo già prima che la discussione degenerasse more solito, se la dannata marcella abitasse o no lì, fosse presente o no lì al 16.3.78. Perché se c´era, delle due l´una : o era pure lei del mossad o cmq complice di eventuali usi terroristici degli spazi ; oppure ben difficilmente la figlia portava lì Moro o le macchine o covo o moretti o gallinari etc., con la mamma ficcanaso in giro. Mi occuperò anche di questo. O almeno ci provo. Poi riferirò in qualche modo, sempre se la piantate con le polemiche perché tempo da perdere non ne ho. Ed anche, per un fatto di onestà intellettuale, se quando si citano ricerche e link altrui, come su consoli, il 2004 etc., se ne creditasse o almeno ringraziasse l´autore senza insultarlo come bizzarro. Non che mi tanga, ma se uno studia Moro, deve esserne all´altezza anche morale o almeno provarci. Io se cito a qualsiasi proposito una qualsiasi virgola del sedicidimarzo o di chicchessia, la cito appunto, la credito e non me ne approprio.
RispondiEliminaCome si evince anche dalla verifica fatta in ordine alla rivista Shalom, tutti i link inseriti nell'articolo li abbiamo ricavati da soli con semplici e intuibili chiavi di ricerca su Google. Ripeto inoltre che un elaborato planimetrico complessivo dell'edificio non mi risulta esistere.
RispondiEliminaEhi, vuoi vedere che il guidi ha fatto centro ? Chissà...Facciam così : questo primo rapporto ve lo faccio gratis. In cambio, voi pubblicate tutte le visure etc. da cui avete tratto la di nola a Lucilio 36. Se le pubblicate, continuo a riferire man mano che indago, sennò finisce qui e tanti auguri.
RispondiEliminaHo parlato con la vedova del Dr. Italo Niccolini di Lucilio 36, abitante d' antan. E' stato un colloquio difficilissimo, sul filo del rasoio, perché era formalmente gentile, ma appena ha sentito del caso Moro, è diventata imbarazzatissima ed ha cercato di chiudere alla svelta. Ricordava benissimo la marcella milano di nola, sapeva che era morta. Non ha voluto dirmi, con una scusa, se la milano abitasse effettivamente alla A o alla B. Forse ha temuto che fossi un ladro che cercava di carpire info per un furto, non so. Ma sono riuscito in extremis a scucirle quel che mi premeva maggiormente sapere : che fosse alla A o alla B il domicilio effettivo della milano, AL QUARTO PIANO C' ERA SOLO LEI, SOLO IL SUO APPARTAMENTO ALL' EPOCA DEI 55. E questo ovviamente, riapre, per i motivi detti supra nel thread che non voglio ripetere, l' ipotesi prigione alla grande, specie se l' ascensore, come a questo punto è logico ed ovvio dedurre, saliva e sboccava direttamente in casa di nola dal garage. Ho cercato di farle altre domande, se ricordasse la perquisizione etc., ma a quel punto voleva davvero chiudere e son riuscito solo a strapparle che di quei giorni ricorda solo "un gran tramestio" - questo in risposta alla mia domanda se al 16 marzo e in seguito, avesse notato viavai con casa di nola. E siccome la signora Niccolini era istruita e si esprimeva in ottimo italiano privo di accento, vuol dire che il viavai c' era - tramestio questo vuol dire. A questo punto però, noblesse oblige ed ho chiuso il colloquio perché la Niccolini era sulle spine e non potevo moralmente, torturarla oltre. Dunque ricapitolando : ancora nessuna prova né di covo né prigione né garage compiacente, ma precisazioni topografiche importantissime che riaprono tutte e tre le ipotesi/possibilità. Sul piano probabilistico, che la di nola figlia avesse ben 3 case vicinissime ai luoghi topici dei 55 - o meglio rovesciando, che ben 3 luoghi topici dei 55 (Calvo, Caetani, Braccianese) fossero prossimi a case di laura di nola, rende tali "coincidenze" rilevantissime. Bravo al guidi, tanto di cappello.
Premetto che la fatica dell'articolo, che abbiamo volutamente organizzare in modo elaborato per non finire a fare una trita e ritrita replica della pubblicistica stranota e che abbiamo citato là dove necessario quale unica fonte disponibile, è dell'intero gruppo. Detto questo, mi preme rimarcare che noi di ipotesi non ne abbiamo fatte e non ne facciamo; come ho detto nelle ultime repliche, abbiamo evidenziato un dato mancante in tutte le ricostruzioni, a prescindere dalla sua rilevanza o meno. Detto questo, le ripeto che fermo restando il fatto che lei ha fatto benissimo ad interpellare questa persona, chiamiamola pure testimone, in senso storico, noi sapevamo già, in base al materiale disponibile, che al quarto piano esistono solo: un alloggio nell'edificio A (interno 9) e un alloggio nell'edificio B (interno 10). L'elaborato planimetrico generale non esiste, ma neppure serve che esista. Quanto agli abitanti effettivi dei due alloggi, non siamo ovviamente in grado di sapere chi vi abitasse. Escluderemmo la signora Milano, che parrebbe risultare residente in quegli anni (ovviamente fino al decesso) ad altri indirizzi.
EliminaEppure a me la vedova Niccolini ha detto cha la milano abitava lì all' epoca. Una cosa è la residenza ufficiale, altra può essere il domicilio effettivo. Cmq dopo 44 anni, la memoria dei testimoni può ben fare difetto. Quindi non si può dirimere. In ogni caso, gli appartamenti erano due, quindi anche se la milano ne abitava uno, non si sa cmq chi abitasse, se qualcuno all' epoca vi abitava, nell' altro. Certo se la milano stava lì, diventa difficile ipotizzare complicità - a meno che lei stessa non fosse nello stesso tipo di organizzazioni attribuito alla figlia da fonti varie. Ma anche se non dormiva lì, ne aveva le chiavi sicuro, e cmq ne era intestataria quindi col diritto di entrare etc. Quindi se quegli appartamenti furono usati a scopi criminali, la milano doveva cmq esserne a parte. In ogni caso, vedo che non avete alcuna intenzione di condividere visure e documenti né pubblicandoli né privatamente, quindi tanti auguri.
EliminaGentile Aleth, stiamo tentando da entrambi i lati di tornare su corde più costruttive. Non si perda quindi in ultimatum sterili: le visure e le planimetrie non si possono pubblicare; punto. Se poi non si fida, le posso dare la nostra parola d'onore che tutto risponde a verità. Quello che lei dice sulla differenza tra residenza e domicilio è vero; ma non abbiamo ovviamente elementi per sapere chi occupasse quei due alloggi e relativi boxes di pertinenza. Come abbiamo evidenziato, l'unico elemento documentale conduce ad acquisire che almeno al gennaio 1983 quei due alloggi fossero occupati da imprecisati "affittuari" . Le ricerche esperite sugli atti attestano solo che ufficialmente nè la Di Nola, nè la madre, alla morte del rispettivo padre e marito, fossero residenti in Via Lucilio (per la Di Nola direi che il dato è palese, con tanto di accertamenti dei vigili urbani). E nemmeno Raffaele De Cosa, anche lui residente in Via Sant'Elena 8.
EliminaPerchè non prova a ricontattare la sua testimone per chiederle se ricorda chi abitasse effettivamente lì dentro? Tenga presente che molto probabilmente non troveremo MAI alcun contratto di affitto....Nè noi, nè la magistratura.
Gentile Guidi,
RispondiEliminaho letto in rete, mi pare in intervista di Suo collega del sedicidimarzo, che Lei fa il notaio. Dunque chiedo alla Sua competenza professionale, in base a quale legge esattamente, le visure e planimetrie non si possano pubblicare. Non v'è ombra di sarcasmo nella mia domanda, è una domanda e basta, dovuta al fatto che io ignoro l' esistenza di tale legge alla quale presumo Lei faccia implicito riferimento. La mia formazione è scientifica non giuridica, chiedo pertanto venia.
Esiste un preminente interesse collettivo, non so se sul piano giuridico, ma certamente su quelli morale, politico e, almeno per quanto mi concerne personalmente, religioso, che dovrebbe spingervi a pubblicare immediatamente quelle visure e planimetrie che da anni vi tenete nel cassetto. Inoltre : ammesso che Lei mi fornisca il quadro di riferimento giuridico che proibisce tali pubblicazioni ; non capisco perché Lei non possa inviarmi la scansione pdf di detti documenti privatamente. Non mi dica che è proibito pure questo, perché voi se ho ben capito, siete 4 o 5 nel collettivo, quindi se come Lei ha asserito supra, l' articolo lo avete scritto in 4 o 5, vuol dire che Lei o chiunque altro di voi ha preso le visure etc., le ha inviate agli altri 3 o 4 quanti siete. Non è ammissibile tra ricercatori, che non vi sia reciprocità di condivisione, anche perché come Lei sa benissimo, il caso Moro è di complessità tale, che non si risolverà in 4 o 5 o 6, ma con lo sforzo collettivo di generazioni di studiosi. E del pubblico che segue e partecipa al dibattito offrendo magari suoi input preziosi anche se non specialistici. In teoria, la magistratura ha accesso all' archivio storico degli affitti che ha sede presso l' agenzia delle entrate, vicino all' ufficio di pubblicità immobiliare di Roma dove avete preso le visure di Lucilio 36 suppongo, ma qui noi non magistrati non abbiamo accesso e questo lo so. Peraltro i conduttori cui Lei accenna potevano essere in nero. In ogni caso concordo che siano vie sbarrate per noi, ameno di non conoscere qualcuno lì dentro.
Non è questione di fidarsi, peraltro la testimone mi ha confermato quel che Lei ha poi ammesso già aver ricavato dai documenti in Suo possesso. Forse non mi sono spiegato bene sulla testimone : è stato un miracolo se sono riuscito a farla parlare 5 minuti, stava sulle spine, sui carboni ardenti (il che implicitamente, potrebbe essere interpretato come ulteriore indizio che a Lucilio 36 ci siano davvero verità pericolose, cosa che ritengo a questo punto assai probabile). Al momento dunque, e Glielo dico dopo 20 anni di esperienza nella raccolta di testimonianze orali, questa fonte non è riattivabile. Comunque io ho altre carte da giocare per tentare di saperne di più. Ma potrei agire molto meglio dopo attento studio delle vostre visure e documenti, che al momento non posso procurarmi da solo per problemi sia economici sia di enorme lontananza da Roma. Qui non stiamo contrattando al mercato, non è questione di ultimatum. Ma non posso indagare al meglio senza verificare le risultanze documentali, né io finora ho lesinato con Lei, mie ricerche pertinenti alle discussioni sul caso di nola emerse qui, ricerche parte delle quali (Consoli, 2004, etc.) Lei ha incorporato nel Suo articolo senza neppure creditarmi. A Lei non sfugge di certo, che qui si scherza col fuoco, e che se, come ritengo ripeto probabile e come mi e Le auguro, Lei ha scoperchiato un vaso di Pandora che potrebbe rivelarsi decisivo, a indagare sul campo io metto a rischio la pelle. Ergo se tutto si chiede, tutto si deve dare. La compartimentazione, lasciamola alle presuntissime "brigate rosse".
in merito alla possibilità che nelle "immediate adiacenze" e/o "vicinanze" di via Licinio Calvo ci potesse essere stato "un covo strategico" e/o "una o più basi di appoggio, in garage o altri locali simili" non appare inutile segnalare due passaggi contenuti nella 1^ reazione della CM2
RispondiEliminaCM 2 - RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ SVOLTA
Approvata dalla Commissione nella seduta del 10 dicembre 2015
http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/pdf/68/audiz2/audizione/2015/12/10/leg.17.stencomm.data20151210.U1.com68.audiz2.audizione.0064.pdf
(pagg. 149 e 150)
16.7.
[…]
La 128 blu si trovava all’altezza del civico 27 di via Licinio Calvo.
Aveva a bordo una sirena collegata con una piccola batteria. La sua precisa descrizione è riportata nel relativo processo verbale, scritto all’1,30 del 20 marzo negli uffici del commissariato Montemario. Sono state effettuate successive acquisizioni provenienti dalle Teche Rai per chiarire ulteriormente la circostanza del ritrovamento delle due Fiat 128.
Le cronache ricordano: « L’inchiesta si ingarbuglia con il ritrovamento di un’altra auto usata dai terroristi. Sia i poliziotti che alcuni abitanti del posto sono disposti a giurare che prima [...] la 128 blu non c’era ». La sera di domenica 19 marzo il dirigente del commis-sariato, Marinelli, imbocca via Licinio Calvo a bordo di una pantera e nota quell’auto (S. Criscuoli, Affannose ricerche senza esito, l’Unità, 21 marzo 1978,1). « Sulla carrozzeria non vi è traccia né di fanghiglia né di gocce di pioggia. E poiché dal giorno del rapimento di Moro a Roma è piovuto, si dovrebbe dedurre che l’auto è stata tenuta in un garage. E neppure tanto lontano da via Licinio Calvodicono gli inquirenti » (P. Gambescia, Spuntano a sorpresa le auto delle br, l’Unità, 21 marzo 1978,2).
Se Morucci non avesse sostenuto la tesi dell’abbandono immediato di tutti i veicoli avrebbe egli stesso attestato l’esistenza di un covo strategico nelle immediate adiacenze di quella famosa via” .
[…]
16.9.
Si è già detto che di una base non scoperta parlò esplicitamente anche il Procuratore generale nella sua requisitoria. In quell’occasione il magistrato ritenne « logico pensare che i terroristi avessero predisposto nelle vicinanze di via Licinio Calvo una o più basi di appoggio, in garage o altri locali simili e idonei, appartenenti a persone del tutto insospettabili ».
Complimenti
RispondiEliminanel corso di una intervista a RaiNews24 del luglio 2005 Giovanni Galloni (ex vice-segretario della DC ed ex vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura) affermò:
RispondiElimina« Non posso dimenticare un discorso che ebbi con Moro poche settimane prima del suo rapimento. Discutevamo con Moro delle BR, delle difficoltà di trovarne i covi delle BR e Moro mi disse: "La mia preoccupazione è questa: che io ho per certo la notizia che i servizi segreti sia americani sia israeliani hanno degli infiltrati all'interno delle BR. Però non siamo stati avvertiti di questo, perché se fossimo stati avvertiti probabilmente i covi li avremmo trovati" »
https://www.youtube.com/watch?v=IR17BOVfj0Y (0:26 > 1:16)
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RispondiEliminahttp://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/68/audiz2/audizione/2016/10/12/indice_stenografico.0106.html
Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro
Seduta n. 106 di Mercoledì 12 ottobre 2016
[...]
PRESIDENTE. Tra i reperti trovati a via Gradoli c'era una chiave di un'auto Jaguar con un talloncino che rimandava a Bruno Sermoneta, commerciante del Ghetto. Bruno Sermoneta aveva venduto la macchina nel dicembre del 1975 a tale Serafina Cosentino, ma chi la usava effettivamente era suo figlio Ugo Amato. Il suo nucleo, generale, ricevette dal dottor Francesco Amato l'incarico di procedere all'indagine.
Nel rapporto lei riferì che dalle prove effettuate la chiave non apriva la Jaguar e che tanto Sermoneta che Amato negarono di aver perso la chiave. Aggiunse, inoltre, che Sermoneta e Amato non risultavano vicini a movimenti extraparlamentari.
Un po’ di mesi dopo, nel 1979, Sermoneta fu nuovamente interrogato, questa volta non da lei, ma dalla Polizia, e disse tutt'altre cose. Riconobbe che la chiave era una di quelle della Jaguar che lui possedeva, prima che cambiasse il bloccasterzo, e ne consegnò altre copie. Non risulta comunque, né prima, né dopo, nessuna indagine per approfondire questa vicenda.
Se a via Gradoli, in uno dei covi delle BR, uno trova la chiave di una Jaguar in uno dei covi delle BR, è un elemento di un qualche interesse. Ancora di più se la chiave è di proprietà – voi cercavate cose nel Ghetto – di qualcuno che ha qualcosa a che vedere col Ghetto. L'indagine però, viene chiusa in quattro e quattr'otto, prima dicendo che la chiave non apre la portiera, poi dicendo che, comunque, non era nulla di rilevante, perché era stato cambiato il bloccasterzo. A questo punto, ricorda perché l'autorità giudiziaria non le chiese di fare ulteriori indagini e approfondimenti?
ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. No, presidente, questo particolare non me lo ricordo. Non so se durante la perquisizione quella chiave fu acquisita da noi o dalla DIGOS.
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RispondiEliminaPRESIDENTE. Perché poi si è dimostrato che questo Sermoneta ha avuto una serie di rapporti con il mondo... Viene detto che non aveva rapporto con il mondo dell'eversione, poi invece...
In un testo pubblicato, una fonte aperta, si legge: «Tra il copioso materiale sequestrato il 18 aprile nel covo di via Gradoli – di cui abbiamo trovato riscontro – c'era un'altra traccia che avrebbe potuto condurre subito gli inquirenti al Ghetto ebraico: la chiave di un'auto Jaguar con un talloncino su cui c'era scritto il nome del proprietario, Sermoneta Bruno, commerciante di tessuti e titolare di un ampio negozio in via Arenula, vicino al Ghetto ebraico, dotato di vari automezzi e furgoni. Anche in quel caso, inspiegabilmente, le indagini vennero avviate con molto ritardo, il 12 ottobre 1978, su delega dell'Ufficio istruzione. Se ne occupò il colonnello dei Carabinieri Cornacchia, il quale, contravvenendo alle elementari norme di polizia giudiziaria non svolse indagini preliminari nei riguardi del Sermoneta, anzi, lo informò che nel covo di via Gradoli era stata trovata una chiave col suo nome, così, quando il Sermoneta venne interrogato, il 5 marzo 1979, sapeva già rispondere. Venne, inoltre, completamente trascurata la segnalazione di una fonte confidenziale del SISMI» – ammesso che lei ne fosse stato a conoscenza – «sui rapporti del Sermoneta con la sospetta brigatista Anna Buonaiuto, frequentatrice dell'appartamento di Laura Di Nola in via Sant'Elena, dove, durante il sequestro, erano soliti riunirsi i militanti dell'ultrasinistra. La Di Nola, deceduta nel luglio del 1979, è figlia di un commerciante di tessuti, proprietario di un negozio con un magazzino in piazza Paganica, molto vicina a via Caetani, ed era una collaboratrice dell’intelligence israeliana».
Adesso, mi rendo conto che sono passati tanti anni, ma la domanda è: perché lei non insistette in questa indagine?
ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. No, presidente, non saprei cosa dire. Poi è strano che, se il giudice istruttore, non so chi era...
PRESIDENTE. Amato.
ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. Amato. Se il giudice avesse fatto questa richiesta, io penso che avrebbe avuto la risposta.
PRESIDENTE. La risposta è quella che ho detto. La sua risposta era che quella chiave non apriva la Jaguar. Poi – dopo, però – Sermoneta spiega che la chiave non apriva perché lui nel frattempo aveva cambiato il bloccasterzo. La cosa che sembra strana è che questo Sermoneta nel Ghetto aveva una frequentazione con ambienti, diciamo, contigui alle BR e questo forse avrebbe avuto qualche...
ANTONIO FEDERICO CORNACCHIA. Questo, al di fuori di quell'accertamento, ovviamente. Poi, invece, la Polizia ha detto tutt'altra cosa.
PRESIDENTE. No, la Polizia ha completato. Sermoneta ha detto che non apriva perché aveva cambiato il bloccasterzo e che era una chiave che lui aveva perso, però tutto il resto è stato dimenticato.
[...]
https://www.booksprintedizioni.it/libro/Romanzo/il-bostoniano
RispondiEliminalibro del 2022 di vincenzo marini recchia responsabile sicurenzza del PCI autore anche del famoso libro operazione moro degli anni 80 penso possa esssere interessante
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