giovedì 18 gennaio 2018

L'ENIGMA DI VIA MONTALCINI 8 - seconda parte -

I RIS al lavoro durante il recente sopralluogo con un'auto
 R4 identica (  anche nel colore ) a quella di via Caetani 
Continua in questa seconda parte il nostro approfondimento su via Montalcini e le zone d'ombra che si affollano anche qui come in quasi ogni aspetto del caso Moro.

Abbiamo anticipato  nella prima parte (leggi qui) , fatti salvi i successivi approfondimenti futuri,  la completa differenza di descrizione, ruolo ed importanza assunti nella segnalazione originaria di due condomini (concernente generici sospetti sull'interno 1 di Via Montalcini):  dall ' "auto rossa", da un lato - nelle parole degli stessi testimoni - e dall'altro nella ricostruzione della vicenda che sarà invece adottata dagli organi di polizia e dal Ministro Rognoni.

Prima di passare all'esame degli ulteriori elementi che ci portano nella direzione di poter dubitare fortemente che non vi fossero sufficienti elementi di sospetto tali da condurre all'immediata
perquisizione dell'alloggio e all'arresto della Braghetti già nell'estate del 1978, vogliamo dar comunque conto conto di quelli , pur quantitativamente minori ,  che porterebbero però a pensare che addirittura vi possa essere stata da parte degli inquirenti un'attenzione a quell'appartamento già nei 55 giorni. 

Il che non significa necessariamente che gli inquirenti sospettassero di quell'appartamento come di
una prigione di Moro. Come abbiamo visto, e vedremo anche successivamente, tutto ciò appare più frutto di forzature posteriori.

Tornando alla questione di questi indizi di attenzione al covo da parte degli inquirenti già nei 55 giorni, vogliamo sottolineare che quanto segue non ha nulla a che fare, sia chiaro, con le tesi di Imposimato, enunciate nel suo libro "I 55 giorni" e basate sui racconti - invero apparentemente fantasiosi - di persona poi finita indagata per falsa testimonianza in quanto, tra l'altro, si era presentato allo scomparso giudice anche sotto mentite spoglie per confermare ciò che egli stesso in precedenza gli aveva raccontato, presentandosi con la sua vera identità.  

Si tratta qui di piccoli indizi e contraddizioni in alcune dichiarazioni di cui, prima di proseguire, riteniamo opportuno dare conto e che, se confermati, renderebbero ancora più incomprensibile e inquietante la libertà con cui la Braghetti poté muoversi durante e dopo i 55 giorni. 



             VIA MONTALCINI ERA SORVEGLIATA GIA' DURANTE IL SEQUESTRO?




( a cura di: Andrea Guidi )

Dalle deposizioni riportate nel primo capitolo del nostro documento su questa vicenda, si evince pacificamente come punto fermo della complessiva ricostruzione il fatto che la signora Ciccotti – come ormai noto, la condomina di Via Montalcini che in un imprecisato giorno antecedente il delitto avrebbe visto nel garage della Braghetti la parte anteriore di un'imprecisata "auto rossa"- non parlò mai di “Renault 4 rossa” (né di nessuna altra auto specifica) .
Su questo aspetto, abbiamo rilevato altresì la sintonia dell'Avv. Martignetti e del Ministro Gaspari, riscontrata nelle loro rispettive dichiarazioni,  nel non dire nulla, o non ricordare nulla, in merito ad un'auto rossa.  Eppure non si trattava certo di un'auto qualsiasi, né di un contesto storico qualsiasi. Sembrerebbe cioè poco comprensibile una vera e propria rimozione da parte di costoro proprio del ricordo di un elemento del genere.
Forse si sarebbe dovuta approfondire tempestivamente questa carenza di memoria da parte di Martignetti e di Gaspari su un aspetto delle segnalazione (l'auto rossa) che di certo, se effettivamente la “fonte” ne avesse parlato in termini tali da farne il cardine dei propri sospetti,  non sarebbe potuto essere facilmente dimenticato dai due interlocutori;  fatto sta che, come si è visto, nel maggio 1988 Gaspari stesso nel suo "comunicato stampa" quanto meno affievolirà non di poco le presunte certezze che il ministro Rognoni, deponendo davanti al giudice istruttore, aveva manifestato appena il giorno prima in merito alla presunta centralità del ruolo rivestito dalla “Renault rossa” nella segnalazione da lui ricevuta da parte dello stesso collega di partito.
La ricostruzione più probabile dei fatti, pertanto, in quanto concilierebbe lo scarso o nullo rilievo   dell'auto rossa nei ricordi di Martignetti e Gaspari  e, in senso conforme alle amnesie dei due su questo punto, le costanti dichiarazioni dei coniugi Piazza nella direzione della assoluta secondarietà di questo elemento nei loro sospetti, da un lato, con le deposizioni del Ministro Rognoni, di Coronas e di Noce imperniate invece sulla presunta centralità della vera e propria “Renault rossa”  nell'ambito della segnalazione, dall'altro, pare possa essere quella secondo la quale molto semplicemente quell'auto rossa, come che siano andate le cose, non costituì affatto, l'"elemento centrale" della segnalazione trasmessa al ministro Rognoni prima, e all'Ucigos poi.
Questa ipotesi, lo rileviamo incidentalmente, manterrebbe inoltre la propria validità anche nell'ipotesi che l'Avv. Martignetti abbia per avventura avuto informazioni anche da qualche altra fonte sua propria, parallela ma diversa dai coniugi Piazza, ipotesi che tra l'altro porterebbe a dover rovesciare completamente la prospettiva in quanto imporrebbe di chiedersi di riflesso se per caso la segnalazione di coniugi Piazza (che non intendiamo mettere di certo in dubbio) non avrebbe potuto finire per costituire oggettivamente, semmai, un utile diversivo  idoneo a sviare l'attenzione da altre segnalazioni da parte di eventuali altre fonti. Eventualità, quella di altri “contatti” avuti da Martignetti ulteriori rispetto ai suoi cognati, che purtroppo non venne neppure prospettata in sede giudiziaria e che di conseguenza, allo stato delle conoscenze acquisite, si deve ritenere sia destinata a rimanere ormai priva di risposta.
Tuttavia, pur in mancanza di approfondimenti giudiziari e quindi di dati oggettivi diversi e/o  maggiori  sull'effettivo ruolo di Martignetti nell'impulso sia pure indiretto alle indagini dell'Ucigos, ricordiamo che costui in un certo senso disse perfino qualcosa "di più", se non "di troppo", e comunque qualcosa di diverso dai coniugi Piazza,  in quanto nella lettera consegnata ai giudici nel corso della sua prima deposizione (faldone On. Grassi 320_01, pag. 2, cit.) come si è visto affermava, confermando in sostanza le parole del comunicato stampa di Gaspari del 14 maggio 1988, di avere maturato personalmente la specifica "convinzione"  che a Via Montalcini avrebbero dovuto essere estese le ricerche non già solo di qualche persona sospetta, bensì proprio della prigione di Moro; affermazione, come si comprende, ben diversa da ciò che, come abbiamo visto, i coniugi Piazza-Ciccotti si limiteranno sempre a riferire in tutte le sedi senza per di più mai fare neppure in via ipotetica alcun cenno ad un'eventuale prigione del Presidente della D.C.
Sarebbe stato dunque ben meritevole di approfondimento, come si può facilmente intuire,  tentare di capire donde l'avvocato avesse tratto questa sua specifica e personale convinzione, la cui portata  era ovviamente tale da oltrepassare, aggirare, rendere del tutto superflua e irrilevante, la stessa questione  se in Via Montalcini fosse stata vista oppure no un'auto rossa (o una Renault rossa).
Fermo restando il limbo di mancanza di qualunque considerazione e a maggior ragione di possibili sviluppi, in cui questi spunti rimasero, come probabilmente ormai rimarranno, confinati, l'indagine che ci occupa rimane dunque di necessità limitata all'importanza a nostro avviso fondamentale che riveste il tentativo di  individuare  le ragioni in forza delle quali, stando ai documenti e alle deposizioni delle autorità politiche e di polizia emersi negli anni successivi, la generica auto rossa diviene  da un certo momento in poi, e precisamente, a quanto pare, solo a partire dagli ulteriori impulsi di indagine dati dal ministro Rognoni in poi,  una vera e propria "Renault rossa" nonché il presunto “elemento centrale”  della segnalazione.
Torneremo nella terza parte di questo studio ad esporre in dettaglio la cronistoria delle varie relazioni ed appunti dell'Ucigos; possiamo tuttavia anticipare che ci pare di avere riscontrato un netta cesura terminologica e qualitativa tra la forma e il modo in cui la questione della “Renault rossa” viene trattata nei rapporti in senso stretto sulle indagini in corso, redatti tra l'agosto e l'ottobre 1978, tutto sommato posta in modo equivalente e confuso con gli altri elementi affrontati dagli agenti, da un lato, e viceversa l'improvvisa e conclamata centralità che quell'auto viene ad assumere nella già menzionata relazione del 1982 del capo dell'Ucigos De Francisci in risposta alla Commissione parlamentare, dall'altro. E' per la precisione solo da quest'ultimo documento che la “centralità” del riferimento a quell'auto viene attestata dalle autorità, documento – ci limitiamo a dare qui atto del mero fatto “storico”- rispetto al quale, ed è un fatto, si conformeranno costantemente di lì in poi e  prontamente le successive dichiarazioni, scritte o in audizioni, delle autorità, a cominciare dallo stesso Ministro Rognoni fin dalla sua prima deposizione del 1983 davanti alla Commissione di inchiesta, nel corso della quale egli manifesterà espressamente (come si è già visto nella prima parte) per quanto lo riguardava per la prima volta lo stesso concetto: la “Renault rossa”, per la polizia e per il Ministro,  era “l'oggetto principale” della segnalazione.
Prescindiamo per ora, comunque, da questi aspetti su cui per l'appunto torneremo in quanto in sostanza costituenti l'oggetto specifico del nostro studio, per affrontare in sintesi preliminarmente in questa sede l'eventualità – variamente ventilata nella pubblicistica e sulla stampa nel corso degli scorsi decenni-  che appostamenti e controlli, in una parola le indagini, su Via Montalcini, possano in realtà essersi svolte già durante il sequestro, e non solo a partire dall'estate 1978 cioè dopo la sua tragica conclusione avvenuta il 9 maggio.
In quest'ottica, è chiaro – è un dato desumibile con la pura logica- che, ragionando in linea puramente teorica, l'affermazione e la successiva consacrazione anche sul piano giudiziale del fatto che “oggetto principale” della segnalazione fosse proprio una “Renault rossa” avrebbe potuto costituire (anche) un elemento perfettamente funzionale, dal punto di vista delle autorità, a stroncare  alla radice qualunque illazione su presunte indagini, per definizione segrete, risalenti a data anteriore al 9 maggio 1978.
Prima di questa data, infatti, sarebbe stato semplicemente impossibile che un qualsiasi comune cittadino segnalasse come elemento di sospetto una “Renault rossa” in sé e per sé, e che quindi una qualche indagine potesse attivarsi su questa base; questo per l'evidente ragione che fino al tragico epilogo e al risalto anche “mediatico” del ritrovamento del corpo dell'On. Moro in quell'auto (avvenuti come noto il 9 maggio), per un qualsiasi cittadino quell'auto sarebbe stata di per sé sola    perfettamente insignificante ed irrilevante; in altre parole, un'auto come milioni di altre circolanti per Roma.
Se la segnalazione – in tesi - proveniente da due comuni cittadini aveva avuto come oggetto principale la “Renault rossa”, dunque, le uniche indagini svolte non potevano che avere avuto luogo solo dopo la conclusione del sequestro, e non durante.
Tuttavia va pur detto che, nonostante la nostra opinione che quell'auto- comunque si siano svolti i fatti e che cosa, e da chi, abbia appreso Martignetti -  non costituì affatto un elemento centrale dell'originaria segnalazione, e sempre ammesso che di segnalazioni vi sia stata solo quella ufficialmente nota dei coniugi Piazza, e nonostante dunque che cadendo, per ipotesi, la centralità di quell'auto nell'impulso alle indagini si aprirebbe in linea teorica la possibilità dello svolgimento di indagini in epoca ben anteriore a quelle accertate ufficialmente, bisogna pur dire che, allo stato delle conoscenze di dati  oggettivi, diretti o desumibili con la logica da quelli noti, non risultano al momento particolari e decisivi elementi che possano spingerci in modo sufficientemente provato ad affermare che altre indagini ed appostamenti su Via Montalcini fossero in realtà avvenuti già in pieno sequestro.
Per mera completezza espositiva, diamo però conto di alcuni fatti, in ogni caso per l'appunto non sufficientemente probanti nella direzione che qui si sta ipotizzando, ma che magari potrebbero contenere spunti meritevoli di ulteriori approfondimenti.
In primo luogo, una “Renault bordeaux” era ricercata sin dal giorno dell'agguato di Via Fani, 16 marzo, come risulta dai brogliacci delle comunicazioni dei Carabinieri (CM-1, Vol. 110, pag. 20), nei quali si legge che già il pomeriggio del 16 marzo, alle 17.15,  il colonnello Varisco comunicava di ricercare riservatamente quest'auto (targa Roma-T 75812; la targa è tuttavia un dettaglio, essendo nota e conclamata la costante mutazione di targhe false da parte dei brigatisti sulle auto in loro possesso). A prescindere dall'esito delle ricerche, che non ci consta, evidentemente un'auto di quel modello e di colore analogo era già stata oggetto di specifica attenzione sin dalle prime ore del 16 marzo successive all'agguato.
La circostanza è confermata da un altro rapporto del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma (CM-1,Vol. 35, pag. 594) a firma del Ten. Col. Cornacchia, del giorno 8 febbraio 1979 e indirizzato al giudice Priore, nel quale si dà conto del fatto che “fonte attendibile” aveva riferito “tempo fa”che un testimone, tale Vasco Bertini, sarebbe stato in grado di fornire elementi utili alla ricostruzione dell'agguato, e che immediatamente dopo si era messo all'inseguimento, o conoscerebbe chi si era messo all'inseguimento, di “una Renault 4 di colore rosso”che era immediatamente partita al seguito delle auto del commando in fuga.
A prescindere dalle perplessità suscitate dal fatto che avendo appreso queste notizie dalla fonte “tempo fa” il Reparto Operativo, in persona del suo comandante, si sia risolto a informare il giudice Priore solo l'8 febbraio 1979, dalle due segnalazioni appena viste deve necessariamente farsi scaturire che se, come abbiamo detto, prima del 9 maggio per un qualsiasi cittadino romano la “Renault rossa” costituiva un'auto tra milioni, forse per “fonti attendibili” o per le stesse forze dell'ordine allertate nei termini di cui sopra, una “Renault rossa” non era più un'auto qualsiasi. In altre parole, non si può escludere almeno in linea teorica la possibilità che eventuali segnalazioni “qualificate” concernenti quell'auto (almeno come tipo e colore) siano avvenute già  prima del 9 maggio 1978 (pur non risultando agli atti elementi che indichino che, ad esempio, quell'auto fosse stata per avventura rintracciata e pedinata anche fino ad eventuali soste in Via Montalcini).
La qual cosa parrebbe confermata anche dalla recente audizione innanzi alla Commissione parlamentare attualmente in carica dell'ex agente di polizia del Commissariato Monte Mario, Adelmo Saba (artefice con un suo collega del ritrovamento della Fiat 128 bianca dei rapitori in Via Licinio Calvo nella notte tra il 16 e il 17 marzo), nel corso della quale l'ex agente di polizia ha espressamente – anche con toni di una certa durezza- confermato che si ricercava una “Renault rossa” ben prima del 9 maggio.
Oltre a queste circostanze, segnaliamo anche quanto segue.
Ascoltato dalla Commissione parlamentare di inchiesta attualmente in carica il 22 settembre 2015, il Prof. Achille Lucio Gaspari, figlio dell'ex ministro e uomo politico DC, richiesto espressamente di fornire, tra l'altro, un suo ricordo o comunque quanto di sua conoscenza sulla vicenda delle indagini del 1978 su Via Montalcini, ha narrato appunto dell'incontro avuto dal padre con l'avv. Martignetti (cfr. in particolare il resoconto stenografico della seduta, pag. 5).
Ebbene, nella descrizione fatta dal figlio delle circostanze che avrebbero spinto Martignetti ad attivare suo padre, non viene minimamente menzionato alcun riferimento ad un'auto rossa, nè tanto meno ad una “Renault”.
Martignetti, secondo il figlio dell'ex uomo politico DC, avrebbe soltanto fatto riferimento all'osservazione da parte di suo cognato (Piazza), definito come un tipo curioso,  di movimenti sospetti: per la precisione, a detta del Prof. Achille Lucio Gaspari - che si è detto certo di ricordare bene- Martignetti avrebbe detto a Remo Gaspari, parlando di suo cognato (Piazza): "..il quale è un tipo curioso, osserva, guarda dalla finestra e ha notato dei movimenti e ha visto delle cose che gli hanno dato la sensazione che quello potrebbe essere il covo dove Moro è detenuto. A questo punto Martignetti ha fornito a mio padre l’indirizzo, che io non ricordo. ».
Il predicato "è detenuto" si collega strettamente con la circostanza riferita dal Prof. Gaspari (parliamo sempre del figlio dell'ex uomo politico) a parere del quale Martignetti avrebbe detto a suo padre: "« Credo di sapere dove è detenuto Moro ».  Non disse « Dove era detenuto », ma «Dove è detenuto ». Secondo quanto io ricordo, l’episodio si è verificato prima del ritrovamento del cadavere di Moro, credo diversi giorni prima, non nell’imminenza del fatto."
A prescindere ovviamente dalla certezza o meno dei ricordi del prof. Gaspari sulla tempistica su riferita (sulla quale qualche elemento di dubbio può rinvenirsi nella incerta indicazione da parte sua quale ministro dell'Interno, al quale il padre subito riferì, ora in Rognoni, ora in Cossiga, con tutte le evidenti e diverse implicazioni cronologiche nell'uno ovvero nell'altro caso, essendo Rognoni subentrato solo nel giugno 1978), ci è sembrato quanto meno opportuno evidenziare questo aspetto della recente audizione del Prof. Gaspari.
Sempre per completezza dell'esposizione, si deve poi parimenti rilevare che nel comunicato stampa del 16 maggio 1988, più volte menzionato ed esaminato nella prima parte già pubblicata di questo documento, l'allora Ministro Gaspari riferendo per l'appunto in ordine al colloquio avuto con Martignetti in un comunque imprecisato giorno del 1978, scrisse testualmente: "(Martignetti) Mi fece presente che aveva avuto elementi in base ai quali riteneva che la prigione di Moro potesse trovarsi in una certa zona di Roma".
Per quanto poi lo stesso Gaspari (padre) nel prosieguo del comunicato stampa del 1988 confermi di essersi recato da Rognoni (e non da Cossiga), tuttavia volendo estrapolare il mero dato testuale e comparandolo con la terminologia utilizzata dal figlio nell'audizione del 2015, si rileva che dire "potesse trovarsi" è cosa diversa, ad esempio, da “potrebbe essersi trovata”(o equivalenti coniugazioni più idonee a meglio collocare "la prigione" in un passato definitivamente compiutosi, anziché, come potrebbe apparire dalle parole usate, idonee piuttosto ad individuare un fatto o un'azione ancora in essere). Insomma, la sintassi di Gaspari (padre) del 1988 sembra sicuramente più idonea a riferire un fatto raccontatogli mentre il sequestro era in corso, cioè un fatto collocato dall'interlocutore nel tempo presente al momento del colloquio, e non già terminato e dunque collocabile nel passato, sia pure recente, rispetto al colloquio stesso tra i due.
Piuttosto, come unici dati oggettivi, se così li si può definire, circa l'eventualità dello svolgimento di indagini a sequestro ancora in corso, ci sono poi gli articoli e le indiscrezioni di stampa, ed alcuni elementi processuali emersi nel corso dell'istruttoria del processo per la vicenda "Argo 16" e rilevati a suo tempo dal giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni.
Quanto alle notizia di cronaca, c'è infatti – tra l'altro- un articolo del quotidiano romano “Il Messaggero” del 2 giugno 1980 (faldone On. Grassi 318_002, pag. 49) secondo il quale già a marzo del 1978, cioè appena avvenuto il sequestro, sarebbe già esistito un rapporto di polizia sulla coppia  (Braghetti e Altobelli) e sull'appartamento (via Montalcini).
Quanto invece all'inchiesta sulla vicenda "Argo 16", stando a Sergio Flamigni (già ne "La tela del ragno", cit., pagg. 232-233, testo e note in calce, e poi ne "Il covo di Stato…" cit), che riporta stralci della sentenza-ordinanza del giudice Mastelloni, il maresciallo Mango (passato all'Ucigos dopo vari incarichi tra i quali circa venti anni all'Ufficio Affari Riservati e poi all'antiterrorismo con Santillo) ha dichiarato (cfr. stralcio della sentenza-ordinanza suddetta come riportato ne "La tela del ragno", quinta edizione, 2003, Ed. Kaos,  pag. 233 e note 29 e 30): " Durante il sequestro Moro ho saputo dal dottor Schiavone  e dall'assistente di polizia Paola Carraresi che furono fatti accertamenti a seguito di segnalazioni fiduciarie pervenute alla Squadra anche nella zona dove era ubicata Via Montalcini a seguito, in particolare, di indicazioni avute sulla Braghetti". Nel corso di altri due interrogatori, sempre stando ai passaggi riportati da Flamigni, egli ha poi ulteriormente dichiarato:" ..che fu proprio durante il sequestro, e non dopo, che fu pedinata Anna Laura Braghetti da parte di un elemento della squadra, e cioè dalla Carraresi Paola".
Tuttavia, nel quarto interrogatorio, il maresciallo Mango dichiarò (cfr. S. Flamigni, op. cit.): " Non intendo confermare, visto il tempo trascorso, la circostanza da me più volte riferita, secondo cui fu durante il sequestro che la Carraresi mi parlò di Via Montalcini in relazione a indicazioni o segnalazioni fiduciarie pervenute alla squadra sulla Braghetti".
Risulta sempre dall'Autore citato, in merito a quanto appena illustrato, che il giudice Mastelloni trasmise gli atti alla procura di Roma. Non ci risulta null'altro, sul punto. Mancando ulteriori elementi, non possiamo che astenerci sul prendere una posizione di merito circa le affermazioni del maresciallo Mango. Di sicuro, però, solo una di esse è vera: o egli era certo- come ribadito in tre interrogatori-  della tempistica ben anteriore delle indagini rispetto a quella ufficialmente emersa, o al contrario questa certezza egli non l'aveva, come dichiarò alla fine. Sarebbe interessante poter approfondire nuovamente questo aspetto, ove possibile.
Nella stessa sentenza-ordinanza del giudice Mastelloni, si riscontra inoltre (sempre Flamigni, “Il covo di Stato..” cit., pag. 359-360) un ulteriore contrasto tra il maresciallo Attilio Di Maio e la Carraresi. Di Maio aveva infatti dichiarato nel corso di quel procedimento:”Durante i pedinamenti avvenuti, lo ribadisco, nella fase immediatamente successiva al rapimento di Moro, la Paoletta (nda: Carraresi) mi riferì di avere individuato il brigatista Seghetti come soggetto che spesso si accompagnava alla Braghetti. Io Suggerii di riferire ai funzionari che era anche possibile bloccarli e arrestarli, ma la cosa non ebbe seguito. Prendo atto che il Giuseppe Mango ha riferito che si pervenne a via Montalcini e alla Braghetti sulla base di “segnalazioni fiduciarie pervenute alla squadra”. Escludo di essere stato io a ricevere tale segnalazione: probabilmente le segnalazioni pervennero in precedenza <ad altri colleghi>. All'esito adduco che non mi è mai andato giù il fatto che non si fosse proceduto subito all'arresto della Braghetti e del Seghetti”.
Di diverso avviso la Carraresi, che dichiarò invece di essersi attivata con i pedinamenti ai primi di settembre , affermando che in quelle occasioni non vide mai la Braghetti insieme a Seghetti.
Tuttavia, la Carraresi pare a sua volta smentita sul punto dallo stesso dott. Noce, il quale, nello stesso processo, dichiarò che la Carraresi gli aveva parlato di Seghetti, aggiungendo: “Comunque la Braghetti era nota come appartenente all'estrema sinistra”.
Siamo a questo punto, è bene rilevarlo, al 2 ottobre 1997 (Flamigni, op. cit. pag. 360, nota in calce n. 10) cioè oltre  nove anni dopo le dichiarazioni di Noce rese al giudice istruttore nel 1988, esaminate nella prima parte che abbiamo già pubblicato.
A quanto pare, va osservato incidentalmente, a distanza di nove anni, e a distanza di sette dalla sentenza-ordinanza del giudice Priore (1990), sono proprio alcuni componenti degli stessi organi di polizia a smentire se stessi sulla mancanza di sospetti asserita in precedenza in ordine alla Braghetti e a Via Montalcini ed avallata da quella sentenza-ordinanza di Priore.
Ritornando con la mente alla deposizione del dott. Noce del 1988 (alla quale si rinvia), non pochi dubbi sorgono sul mancato approfondimento – a quanto risulta dalle pubbliche fonti documentali a nostra disposizione più volte menzionate - di questa sua particolare contraddizione tra la mancanza di sospetti da lui affermata nella prima occasione, e le sue affermazioni del 1997, dalle quali si dovrebbe dedurre esattamente il contrario, perché se fosse vero che la Carraresi gli aveva parlato già nel 1978 di Seghetti (e ciò, evidentemente, come persona in contatto con la Braghetti, dato l'oggetto delle sue indagini) , non si vede come, essendo Seghetti persona già ampiamente sospetta, Noce avesse potuto concludere innanzi ai magistrati di Roma, nel maggio 1988, nei termini viceversa "tranquillizzanti"  riportati nella sua deposizione e analizzati nella prima parte di questo lavoro.
Tornando alle affermazioni della Carraresi nel processo “Argo 16” , è opportuno riportare anche le parole di un altro dei protagonisti della vicenda delle indagini del 1978, autore quanto meno degli  “appunti” preliminari redatti dall'Ucigos il 14 ottobre di quello stesso anno (e che esamineremo in dettaglio in un prossimo capitolo), cioè il dott. Pasquale Schiavone, il quale, nell'interrogatorio in pari data di quello della Carraresi (25 settembre 1997; Flamigni, op. cit., pag.360-361, nota in calce n. 11), dichiarò tra l'altro:”...Circa il Seghetti – che mi viene detto, secondo una deposizione raccolta, fu segnalato assieme alla Braghetti- io ricordo che fu il predetto  effettivamente segnalato come persona che si era incontrata una volta con la stessa”.
A parte le considerazioni di analogo contenuto a quelle poc'anzi svolte con riferimento al dott. Noce che le affermazioni di Schiavone suscitano con riferimento alle proprie conclusioni degli appunti a sua firma del 1978 attestanti – come si vedrà in apposita parte di prossima pubblicazione-  il presunto esito negativo delle indagini sulla Braghetti, ed a parte poi i riflessi di queste ultime dichiarazioni del 1997 sulla tempistica di effettuazione di indagini e pedinamenti, che oggettivamente non ne risulta chiarita, rimane il fatto che anche il dott. Schiavone, dunque, a distanza di anni, pare smentire radicalmente le conclusioni affermate dall'Ucigos negli appunti del 1978 e poi riaffermate come si è visto dalle altre autorità politiche, di polizia e della magistratura fino alla sentenza ordinanza del giudice Priore del 1990, in ordine ad una del tutto presunta mancanza di sufficienti sospetti per agire tempestivamente nei confronti della Braghetti e dell'appartamento di Via Montalcini.
Come anticipato, sospendiamo tuttavia al momento ogni valutazione di merito in ordine all'ipotesi che la Braghetti e Via Montalcini fossero stato oggetto di indagini già in pieno sequestro, e non già solo dopo il 9 maggio.

Certo che se non vi furono indagini o appostamenti anteriori al 9 maggio, resta a maggior ragione poco spiegabile quella perquisizione, apparentemente isolata e fine a sé stessa, eseguita in Via Benucci, ovvero sia dietro l'angolo di Via Montalcini, il 12 aprile 1978, cioè in pieno sequestro, sulla quale torneremo comunque più avanti, in un apposito capitolo dedicato ad analisi e commenti.

2 commenti:

  1. Molta parte del post è relativa alla Renault rossa, ovvero una R4.

    E' mia opinione, della quale ne sono abbastanza certo, che esistessero più R4 rosse coinvolte nell'operazione.

    A sostegno di questa tesi c'è la sostanziale differenza tra la descrizione fatta da Savasta circa la "sua" R4(ne ho curato la manutenzione e l'ho portata a lavare presso un lavaggio auto nei pressi di Piazzale delle Provincie quindi l'ho portata in Piazza Albania dove altri l'avrebbero ritirata. Citazione a memoria) e la R4 ritrovata in Via Caetani (sporca di cascami di tessuti, di sabbia, di cemento, di catrame).

    C'era una notizia ANSA relativa a due R4 rosse rubate in zona Prati, non so se è ancora disponibile in rete.

    Penso quindi che anche Via Montalcini sia stata pianificata come la R4 di Savasta, ovvero una base possibile ma non usata se non per coprirne una più segreta.

    E' la tecnica millefoglie dove ogni foglia oscura quella più interna

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  2. Gentile Giovanni,
    Grazie ancora una volta dell'attenzione. La possibilità che vi fossero più auto, in generale, dello stesso tipo è ovviamente concreta, basti pensare alle 128.
    Questa seconda parte del documento il lettore dovrebbe viverla come un intermezzo, una parentesi, rispetto all'oggetto specifico dello studio, che è e rimane la storia delle indagini "note" dellucigos nell'estate 1978 e del loro infruttuoso esito nell'immediato.
    Ci sembrava giusto ed opportuno trattare dell'ipotesi che indagini furono svolte anche durante il sequestro.
    Nella terza parte, con i tempi che gli amministratori decideranno, torneremo su quell'oggetto specifico, per iniziare ad affrontare specificamente quel debole sillogismo che appare dal 1982 al fine di giustificare la mancanza di sviluppi immediati contro la braghetti e contro quellappartamento.
    Il sillogismo in questione, e che riteniamo di potere smantellare, è, sintetizzando le parole delle autorità di polizia e del ministro rognoni : ci era stato detto di cercare una Renault rossa, quella Renault non dette riscontri, ergo non ci fu motivo di agire.
    Ma è la premessa maggiore di questo sillogismo ad essere infondata, perché la Renault non fu al centro della segnalazione e soprattutto ben altri motivi di sospetto si presentarono, a saperli cogliere.
    Ci segua, gliene siamo grati, così come a tutti gli altri lettori.

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