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abbiamo ricevuto copia del verbale della Direzione Nazionale D.C. del 9 maggio 1978. Inutile dire che per noi che come voi seguiamo questi fatti, è stato emozionante leggerlo. Il manoscritto originale è custodito dall'Archivio Storico dell'Istituto Sturzo di Roma che lo ha fornito a Report e che successivamente, nella persona della dott.ssa Concetta Argiolas, ha autorizzato Mondani a passarne a noi copia, con la sola facoltà di riportarne alcuni brani di nostro interesse, escludendo però di riportare l’intero documento e, meno ancora, riproduzioni fotografiche dell’intero o in stralci. Peccato, perché ci sarebbe piaciuto mostrarvelo.
Come dicevamo la sua lettura è stata
emozionante e vi è più di uno spunto che merita riflessione. Intanto il nostro
Andrea Guidi ne ha subito colto uno, derivante dalle parole di Misasi
verbalizzate il 9 maggio e che ritroverete nell’articolo seguente. Buona
lettura.
SEDICidiMARZO
BREVI NOTE SULLA LETTERA A RICCARDO
MISASI DEL 30 APRILE 1978.
FU RECAPITATA?
(a cura di: Andrea Guidi)
.
“Nella sostanza, nel merito delle cose cioè sono le circostanze che debbono
indurre a valutare che cosa
sia conveniente fare nel rispetto
della vita, nel rapporto tra detenzione ed uccisione, nella tutela dei giusti
interessi dello Stato,
nel riconoscimento delle ragioni umanitarie”
(Aldo Moro, lettera a Riccardo Misasi del 30 aprile 1978.
Lettera n. 86 del testo “Aldo Moro-Lettere dalla prigionia”, a cura di
Miguel Gotor, ed. Einaudi-Saggi, 2018, pagg. 156 e segg.)
Una delle questioni più dibattute ed incerte che si agitano attorno alla
vicenda del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro, è quella della determinazione
del numero delle lettere che l’uomo politico scrisse dal suo luogo di
detenzione (o dai suoi luoghi di detenzione) e che sarebbero state recapitate
ai destinatari.
Il testo di riferimento, ormai ampiamente acquisito dai ricercatori a fondamento di questo specifico profilo di studio sul sequestro dell’esponente democristiano, è il volume di Miguel Gotor citato in epigrafe, edito in una prima edizione nel 2008 (per inciso, vincitore del Premio Letterario Viareggio per la sezione saggistica in quell’anno), da ultimo edito in una nuova versione nel 2018, alla quale farò richiamo in queste note.
In base alla ricostruzione dell’Autore del saggio menzionato, l’ostaggio
scrisse, tra lettere vere e proprie, alcune seconde o terze versioni,
biglietti, testamenti, un composito epistolario enumerabile in complessivi 97
testi (taccio per brevità il diverso conteggio di alcuni studiosi, ad esempio
Flamigni, secondo i quali almeno una
porzione documentale che Gotor considera un testo autonomo dovrebbe invece
considerarsi come parte conclusiva di un altro di questi stessi testi).
Accenno qui solo sommariamente – in quanto esula dall’oggetto di queste
note – alla circostanza che solo alcuni di questi testi sono a noi pervenuti in
originale perché notoriamente acquisiti, durante il sequestro della
personalità, in originale, dai destinatari e da essi consegnati alla
magistratura, o comunque da essi resi immediatamente pubblici.
La gran parte di questi testi, invece, ci è nota solo in fotocopia di
manoscritto e/o in dattiloscritto in virtù del duplice ritrovamento, a distanza
di 12 anni, nell’appartamento già covo delle BR in Via Montenevoso a Milano,
una prima volta nell’ottobre 1978 ad opera degli uomini del Generale Dalla
Chiesa, la seconda volta nell’ottobre 1990 a seguito della casuale scoperta di
una nicchia occultata in un’intercapedine, che era stata ricava dai BR
all’interno del muro di appoggio di un termosifone, scoperta dai muratori
durante i lavori di ristrutturazione di quell’appartamento ormai riconsegnato,
all’epoca, al legittimo proprietario.
Rileva, invece, ai fini di queste note, la discussione sul numero degli
scritti che sarebbero effettivamente pervenuti – e dunque che esisterebbero nel
loro originale manoscritto- ai destinatari.
Secondo il conteggio riepilogativo di Miguel Gotor, le lettere
effettivamente recapitate, incluse quelle di cui il recapito è a tutt’oggi
incerto ma per le quali, secondo l’Autore, esisterebbero vari indizi
dell’avvenuta ricezione, sarebbero 36 (op. cit. pag. 235).
Il mio personale conteggio- sempre basato sul testo del medesimo Autore, e sempre
inclusi i testi di cui è incerto il recapito – mi ha condotto a rettificare
il numero indicato da Gotor stesso, perché, fatte ovviamente salve mie
sviste (sempre possibili data la complessità della materia), assomma invece – in base alle sue stesse
indicazioni- a 37 testi: precisamente,
secondo la numerazione ordinale di Gotor, i testi numero: 1–2–3-6-8-15–17-19-21-36-38-40-41-42-43-44-49-50-51-52-54-55-56-57-58-59-60-62-63-64-66-68-69-82-86-96-97.
Secondo un altrettanto interessante studio di Stefano Twardzik (“Sulle
lettere di Aldo Moro pervenute nei giorni del suo sequestro”, Studi
Storici, 2013, sezione “Opinioni e Dibattiti”, pag. 105 e segg.), questo stesso
conteggio dovrebbe invece ridursi a 31 testi, dei quali 23 palesemente noti
all’autorità giudiziaria, e 8 “il cui recapito è certo o pressochè certo ma
che rimasero celate all’autorità giudiziaria”.
Ciò in quanto questo Autore, con vari argomenti, dubita dell’avvenuta
consegna di alcuni dei testi che invece Gotor ritiene preferibile ipotizzare
come recapitati.
In questa sede, per elezione da parte mia di rigorosi limiti di sintesi,
tralascio - fatti salvi i brevi cenni di cui in seguito riguardo la lettera n.
86 - le argomentazioni, cui ho fatto appena cenno, e per le quali rinvio ai due
testi citati, adottate rispettivamente dall’uno e dall’altro dei due Autori per
ritenere preferibile o meno l’inclusione di alcune lettere, il cui recapito è
tutt’oggi ignoto, nel novero, o meno, di quelle da ritenere consegnate ancorché
di ciò manchi la prova.
Vale solo la pena osservare, in estrema sintesi, e scusandomi con i due
Autori per la rozzezza del compendio dei loro argomenti che sto effettuando,
come al di là di alcuni elementi indiziari, quali riferimenti testimoniali
indiretti da parte di alcuni protagonisti dell’epoca (sostanzialmente uomini
politici e/o familiari), in alcuni casi destinatari essi stessi di alcune delle
missive note, o di riferimenti negli stessi scritti dell’ostaggio, manchino
sostanzialmente elementi testuali certi che consentano di propendere per l’una
o l’altra ipotesi.
Ritengo tuttavia di poter fare un’eccezione per la lettera n. 86
dell’ordine numerale adottato da Gotor (e come detto, ormai assunto a
riferimento dagli studiosi di questo aspetto della vicenda).
Si tratta della lettera scritta il 30 aprile da Aldo Moro ed indirizzata al
collega di partito Riccardo Misasi (presidente della commissione Giustizia
della camera dei Deputati), da lui eletto (per quanto inutilmente), nella
lettera alla DC recapitata – tramite Rana e Guerzoni- al giornalista del
“Messaggero” Fabio Isman nella tarda serata del 28 aprile e pubblicata il
giorno dopo da quel quotidiano, a suo delegato pro tempore alla presidenza del
Consiglio Nazionale della DC, che in quella stessa lettera al partito (n. 82 di
Gotor) Moro dichiarava di “convocare per data conveniente e urgente”.
Riccardo Misasi era già stato destinatario di un’altra lettera
dell’ostaggio (n. 49 di Gotor), recapitata il 29 aprile e prodotta agli atti della Corte D’Assise, ma secondo
Gotor scritta già il giorno 22.
E’ centrale, ai fini di questa disamina, rilevare che in questa lettera
Moro, richiamando l’amico e collega di partito all’inutilità, agli effetti del
buon esito del suo sequestro, degli “argomenti del rigore”, aveva
aggiunto, in esergo (la sottolineatura è mia):” Non illudetevi
d’invocazioni umanitarie” (cfr. Gotor, op. cit., pag. 87).
A sostegno dell’ipotesi che anche la lettera n. 86 scritta il 30 aprile
allo stesso destinatario sia stata effettivamente recapitata, Gotor indica
alcune dichiarazioni del 1990 dello stesso Misasi, secondo il quale egli
avrebbe in effetti avrebbe ricevuto due lettere (e non una sola) da Aldo Moro,
ma le avrebbe consegnate entrambe ad imprecisate autorità: cosa che sicuramente
non consta per quella in esame. Misasi escluse altresì che la seconda, ignota
lettera, fosse quella in questione, ritrovata solo in fotocopia di manoscritto,
poco tempo prima delle sue dichiarazioni, in quel 1990 nel secondo ritrovamento
di Via Montenevoso; ragion per cui, conclude l’Autore, se fossero veritiere
le dichiarazioni di Misasi alla magistratura nel 1990, dovrebbe perfino
dedursi che le lettere scritte da Moro a Misasi dovrebbero essere tre, delle
quali una del tutto ignota, in quanto neppure pervenutaci nel complesso
documentale sequestrato a Via Montenevoso nel secondo ritrovamento.
Inoltre, Gotor rileva come Moro stesso in una lettera a Guerzoni abbia
fatto riferimento ai “tre scritti” a Misasi (Gotor, op. cit. pag. 233).
L’Autore sottolinea assai opportunamente come purtroppo l’autorità
giudiziaria non rilevò l’incongruenza delle affermazioni di Misasi.
Gotor, in definitiva, include – oltre ad alcune altre – anche questa
missiva nel novero di quelle per le quali l’effettivo recapito possa essere
affermato con “sufficiente certezza” (Gotor. Op. cit. pag. 235).
Viceversa, come sopra ho accennato, Twardzik afferma che, anche quanto a questa
missiva (quelle in dubbio sono 5), “i riscontri non sono così risolutivi e
l’asserita certezza andrebbe più realisticamente ridimensionata nell’ordine di
una ragionevole probabilità”. (Twardzik, op. cit. pag. 121).
Posto che semanticamente tra “sufficiente certezza” e “ragionevole
probabilità” a mio parere non vi è uno scarto degno di nota, il punto
meritevole di esame è se esistano, almeno per la lettera in oggetto, elementi
esogeni di riscontro che convergano verso una possibile soluzione del rebus dell’avvenuto
recapito, o meno, di questa lettera, a Riccardo Misasi.
Ebbene, in termini di “riscontri” esterni, quanto a questa seconda lettera
indirizzata a Misasi, oggetto di queste note, un appiglio che, per quanto
sfumato nella sua formulazione letterale necessariamente sintetica, mi sembra
rilevante, si rinviene nei verbali della famosa e tragica, per le circostanze
di tempo in cui si verificò, riunione della Direzione Nazionale della DC del
fatale 9 maggio 1978 che abbiamo potuto leggere con le modalità esplicitate in
premessa.
Muovendo dal testo della lettera di Moro, l’ostaggio ricordava al
destinatario, nell’incipit, di averlo prescelto quale suo “portavoce, si
tratti poi del Consiglio Nazionale, o della Direzione del Partito..”, e
precisava di inviargli, ai fini del dibattito “alcune considerazioni
utili..le quali però, a differenza delle altre, hanno carattere confidenziale e
non sono destinate alla pubblicazione”.
Possiamo agevolmente convenire con Gotor (nota n. 2 in calce, op. ci. Pag.
159), sul fatto che con questa lettera, che Moro vuole espressamente che
resti riservata, il prigioniero imbastisce un vero e proprio “canovaccio”,
un discorso, in sostanza bello e pronto per colui che egli stesso aveva
designato quale proprio alter ego nella prevedibile, imminente discussione nelle sedi competenti del Partito.
Il contenuto della lettera, in estrema sintesi, procedeva per gradi lungo
un percorso lungo il quale Moro ricordava, prima di tutto, come fin dal suo
primo scritto (in sostanza, la prima lettera a Cossiga), la risposta
istituzionale e negli organi di informazione (che quella primigenia lettera
pubblicarono per scelta delle BR, le
quali tradirono la promessa fatta a Moro di tenerla riservata, come egli
avrebbe invece voluto conformemente alla sua iniziale strategia
“difensiva”) fu di ritenerlo non in sé,
non credibile e non autentico.
Moro stigmatizzava, poi, le reazioni di chiusura alle proposte di apertura
manifestate da Craxi per la trattativa (Moro citava ad esempio paradigmatico in
tal senso una reazione dell’On. Zucconi) e, premesso un inciso abbastanza
enigmatico sul fatto di non sapere “che cosa sia avvenuto…nei minuti tra il
mio rapimento e la presentazione del Governo alle Camere”, lamentando
l’immediata “enunciazione della c.d. linea rigida di difesa della Costituzione
(ma in che senso poi?)” (la
sottolineatura è mia), egli proseguiva
evidenziando – come già fatto nella prima lettera a Cossiga- di trovarsi nella
condizione di prigioniero anche, a suo dire, a causa delle carenze del servizio
di scorta, chiedendo, e chiedendosi, in sostanza, come fosse concepibile, data
la sua statura politica, il trattamento riservatogli a livello istituzionale
prima e dopo il suo sequestro.
Questa premessa gli serviva per agganciarsi alla posizione manifestata solo
il giorno prima – rispetto al momento di scrittura di questa lettera –
dall’esponente socialista Riccardo Lombardi, pubblicata dai quotidiani il 29
aprile, secondo il quale in sostanza non si comprendeva come, se in casi di
sequestro collettivo, ad esempio di agenti di custodia nelle prigioni, nessuno
avrebbe escluso una trattativa, per quale motivo ciò si sarebbe dovuto ora
ritenere inammissibile per la situazione in cui versava Aldo Moro.
Per l’esattezza, Lombardi aveva dichiarato che se i 5 uomini della
scorta, anziché essere assassinati, fossero stati sequestrati, era lecito
supporre che nessuno avrebbe condannato od ostacolato una trattativa per la
loro liberazione, come appunto era già avvenuto in caso di sequestri di
agenti di custodia (cfr. Gotor, op. cit., nota in calce n. 13, pag. 158).
Moro, nella lettera, andava abilmente in scia all’esponente socialista,
ribadendo che se in caso di sequestro collettivo “lo Stato tutelerebbe
meglio i propri interessi (a parte i problemi umanitari) accedendo allo
scambio”, anziché negandolo, come argomentato il giorno prima dal politico
socialista, chiosava: “Che cosa cambia in linea di principio se il
prigioniero è uno?”
Moro incitava pertanto il suo interlocutore e destinatario, pur parlando in
prima persone, ad indurre a far valutare cosa fosse “conveniente fare nel
rispetto della vita, nel rapporto tra detenzione ed uccisione, nella tutela
dei giusti interessi dello Stato, nel riconoscimento delle ragioni
umanitarie” (la sottolineatura è mia).
Ricordato anche l’esempio dei “casi dei palestinesi”, e sottolineata
la peculiarità assunta in generale dai fenomeni di “guerriglia”, Moro
evidenziava infine, nuovamente, che per i problemi generati da questo tipo di
situazione, la soluzione non poteva lasciare “estraneo il Comitato per la
Croce Rossa ed il così detto diritto umanitario che è in elaborazione”.
(La sottolineatura è mia).
In conclusione, Moro esortava espressamente la Direzione D.C. – con ciò esortando
quindi Misasi a rappresentare in quella sede la sua posizione – ad abbandonare
la linea della fermezza, dicendo “basta prima che il danno diventi ancor più
grave ed irreparabile”.
Tenendo presente quanto da lui scritto nell’esergo, poc’anzi evidenziato,
nella precedente lettera a Misasi (” Non illudetevi d’invocazioni
umanitarie”), il cambio di prospettiva è radicale: in questa seconda
lettera Moro richiama espressamente per due volte il ricorso a ragioni, ed al
diritto, umanitari.
Altrettanto rilevante ai fini di queste note, come si vedrà, è a mio parere
il richiamo e l’invito incidentale all’interpretazione dubitativa del
dettato costituzionale.
Occorre analizzare a questo punto cosa disse Misasi nel corso della
riunione della Direzione D.C. del 9 maggio; ovviamente, nei limiti e per come e
quanto verbalizzato e giunto fino a noi.
Ritengo che per comprendere appieno le parole di Misasi riportate dal
verbalizzante, sia imprescindibile tenere presente:
a) La forma del documento. In quanto
appunto “verbale”, necessariamente una rappresentazione sintetica e finanche
fredda delle opinioni manifestate realmente in quella sede;
b) L’ovvia, intuitiva difficoltà di
Misasi stesso di muoversi in un precario equilibrismo tra l’osservanza alla
linea del Partito e dello Stato, da un lato, e la rappresentazione del pensiero
dell’amico e raffinato politico ostaggio dei sequestratori, in lotta per la sua
stessa sopravvivenza, dall’altro.
Preliminarmente, va evidenziato che il segretario Zaccagnini aveva
ricordato che si doveva, in quella sede, approvare prima di tutto un documento
sul quadro politico e sul sequestro dell’On. Moro. Il segretario aveva
ricordato, nella prolusione iniziale, che erano state esplorate tutte le
ipotesi prospettate, inclusa quella socialista, concludendo che:
“Per la vita di Aldo Moro faremo tutto quanto è possibile nell’ambito della
Costituzione e delle leggi dello Stato per favorirne il ritorno alla libertà”.
Zaccagnini dichiarava quindi maturi i tempi per la convocazione del
Consiglio Nazionale, rinviando a data prossima e successiva alla tornata
elettorale del 14 maggio, e dando quindi lettura della bozza di documento
proposto.
Alcuni esponenti DC – in particolare Gonella - intervenuti prima di Misasi
avevano manifestato l’opinione di esprimere con maggior chiarezza la tesi della
fermezza, ribadendo il giudizio sulla “non autenticità” del pensiero
manifestato da Moro nei suoi scritti.
Riccardo Misasi, giunto il suo momento, diede prima di tutto una sua
lettura delle parole complessive di Gonella, sintetizzandole (almeno per quanto
verbalizzato) con la formula:
“Il rischio di perdere tutto senza salvare Moro. E’ questo in
sintesi il dramma che ci ha ricordato l’on. Gonella”.
Il verbale delle dichiarazioni di Misasi prosegue, poi (le sottolineature
sono mie): “Esamina gli aspetti umani legati alla vicenda Moro. Non
riesce a convincersi che per rispettare i 5 morti di Via Fani, bisogna
aggiungerne un altro….Suggerisce alcune correzioni al documento (“liberare”,
anziché “salvare”, l’On. Moro)”.
E ancora (sottolineature mie): “Le BR esistono purtroppo…Bisogna
fare un discorso realistico, che prevenga qualsiasi divisione, che
darebbe un alibi ai criminali assassini…Se lo Stato con i suoi mezzi normali
non riesce a garantire la piena libertà ad un suo cittadino, è
necessario riflettere se non sia il caso di usare mezzi straordinari.
Rischi probabili e cose certe. La fermezza
presenta anche un grande valore morale, però non è sufficiente a salvare
Aldo Moro…Costruire le premesse per una seconda Repubblica,
agevolando la solidarietà tra le forze democratiche. Forza quindi ad
un’iniziativa politica che dia spazio ad una attuazione dei diritti
Costituzionali…Convocare il C.N. dopo le elezioni del 14/5”.
CONCLUSIONI.
Riccardo Misasi, nella riunione della Direzione D.C. del 9 maggio, espresse
con ogni evidenza, pur nelle forme e nei limiti di quel consesso e nell’angusto
perimetro dettatogli dalla notoria posizione del Partito e del Governo (nonché
del principale alleato di Governo della D.C., cioè il PCI) concetti del tutto
analoghi a quelli manifestatigli da Moro nella lettera n. 86 che ho esaminato.
Non emerge l’opportunità né la necessità di stabilire un ordine di
importanza di questi concetti, fatta eccezione per quello che a mio parere deve
ritenersi come il perimetro di riferimento tracciato dallo stesso Misasi ed entro
il quale egli dimostra di volersi muovere in quella sede, perimetro che può
essere identificato nella sua palese affermazione secondo la quale:
“La fermezza presenta anche un grande valore morale, però non
è sufficiente a salvare Aldo Moro”.
Con questa delimitazione essenziale, i concetti espressi dall’On. Misasi
che rinviano alla lettera a lui scritta da Aldo Moro - ma di cui è ancora oggi
ignoto il recapito o meno - possono essere agevolmente individuati come segue:
a) Il richiamo agli aspetti umanitari,
che anche nella lettera di Moro, come si è visto, costituiva un elemento di
novità radicale rispetto alla espressa indicazione dell’ostaggio contenuta
nella sua lettera di pochi giorni prima, recapitata con certezza a Misasi;
b) Il richiamo all’impossibilità di
capacitarsi di come, per onorare i 5 morti di Via Fani, se ne dovesse
sacrificare un sesto. Questo aspetto, se letto con sottigliezza, costituisce
l’esatto riflesso speculare della posizione espressa da Lombardi prima, e
ribadita da Moro poi: una volta assassinati i 5 uomini di Via Fani, e non
ponendosi quindi, in concreto, il problema di una trattativa per la loro
liberazione nell’ipotesi di un loro eventuale sequestro, a Misasi restava
unicamente di manifestare la conclusione espressa da Lombardi, e cioè (se si
sarebbe verosimilmente trattato per 5 uomini), perché far morire (anche) Moro?
c) La constatazione dell’esistenza del
fenomeno terrorista, associato alla necessità di adottare “mezzi straordinari”.
Dato il richiamo di poche parole dopo, da parte di Misasi, alla “attuazione dei
diritti costituzionali”, il suggerimento di adottare mezzi straordinari non può
evidentemente essere inteso come riferito a mezzi straordinari di repressione e
limitazione delle libertà costituzionali. Il contesto delineato da Misasi, con
la premessa dell’esistenza del fenomeno brigatista, pare proprio, al contrario,
richiamare il periodo della lettera di Moro in cui il prigioniero affermava che
davanti a situazioni di guerriglia doveva ammettersi il ricorso allo scambio di
prigionieri anche in base al diritto umanitario, cioè anche in base a norme di
prassi e non codificate.
d) Il richiamo di Misasi, appunto, all’attuazione
dei diritti Costituzionali, associato alla sua di poco precedente
evidenziazione degli “aspetti umani” della vicenda, mi pare da intendere
chiaramente collegabile al passaggio della lettera di Moro in cui egli,
ricordando l’immediata rigidezza dei partiti e delle istituzioni a difesa della
Costituzione, segnava, sia pure incidentalmente, il punto della necessità di
doversi intendere, a suo parere, sul significato di quella difesa (“ ..ma in
che senso, poi?”, si era ed aveva infatti chiesto il prigioniero).
e) Il ripetuto richiamo di Misasi alla “libertà”
(piuttosto che alla “salvezza”) del
prigioniero, si iscrive a mio parere nuovamente nel concetto moroteo dello
scambio in situazioni eccezionali, ed è quindi un necessario corollario di
quanto detto poc’anzi al punto c).
Non è dato sapere se le
dichiarazioni di Misasi alla magistratura nel 1990 in merito alle lettere di
Moro da lui ricevute fossero veritiere, e dunque se si debba ipotizzare perfino
l’esistenza di una terza lettera, oppure se esse furono dettate – come ipotizza
Gotor – dal notevole imbarazzo, rispetto al 1978, per la scoperta della
fotocopia del manoscritto di quella in oggetto, che evidentemente egli – se la ricevette
– non aveva mai reso nota a nessuno, tanto meno alle autorità (come d’altronde
Moro stesso aveva richiesto nell’incipit).
Ritengo francamente più verosimile
la seconda ipotesi.
Pertanto, a mio parere, si può
concludere che le dichiarazioni di Misasi nel corso della Direzione D.C. del 9
maggio costituiscano un forte indizio della ricezione da parte sua della
lettera n. 86 dell’ordine dell’epistolario moroteo fissato da Miguel Gotor.
Quando si sa di via Montalcinoi.. la RAI intervista un inquilino che dice:ricordo della renault 5 xche il nostro fruttivendolo voleva comprarsela..domanda:se ricorda dopo anni questo particolare..come fanno a non riconoscerla il 9 maggio? Assurdo che nessuno se ne sia accorto
RispondiEliminaQuanta fatica sprecata...
RispondiEliminaLa lettera fu consegnata a Misasi da Nicola Rana, particolare riportato a pag. 335 del libro "Eseguendo la sentenza" di Giovanni Bianconi, pubblicato da Einaudi nel lontano 2008.
Egregio Anonimo, come sempre la saccenza è pessima consigliera. Lei sbaglia due volte: a leggere il mio articolo, e a leggere Bianconi. Per sua sfortuna ho quel libro, che non desta peraltro particolari entusiasmi. Vedo che induce invece a gravi errori metodoligici. premesso che dalle pagine 325 e seguenti, con una certa prosopopea elegiaca e romanzesca sulla febbrile attesa dei due noti "postini" BR nel consegnare il complesso delle lettere recapitate il 29 aprile (dieci), dando conto di un'attesa protrattasi -nel tentativo di rinvenire a casa il collaboratore di Moro, Fortuna - fino a sera inoltrata, rilevo per sua conoscenza che quel fare un fascio compendioso è già erroneo da parte dell'autore, il quale dà consegnata nel mucchio serale, ad esempio, anche la lettera a Flaminio Piccoli, al quale invece era giunta già alle 11. 30 del mattino (Gotor, op. citata). Ciò premesso, senza tergiversare oltre, proprio il tenore della lettera a Misasi citata da Bianconi a fine pagina 335, rende acclarato che egli si stia riferendo per l'appunto alla lettera senza dubbio recapitata al politico democristiano il 29 aprile, precisamente la n. 49 del testo di Gotor, come da me ampiamente ricordato. Io mi sono riferito, mi spiace per lei, alla lettera n. 86, scritta invece sicuramente il 30 aprile, il cui recapito ancora oggi, ribadisco per suo scorno, possiamo dare solo per presumibile. Ottima, dunque, la mia fatica; inutile e sprecata, invece, la sua saccenza. Le consiglio di necessità le approfondite letture dei saggi che ho citato nel mio scritto.
EliminaRibadisco: fatica sprecata.
RispondiEliminaLe sue saccenti, elegiache analisi non riscriveranno la storia.
Un modesto consiglio: si rilassi.
Mi perdoni, ma a me pare che debba rilassarsi lei, il giudizio del tutto uterino, e in realtà nel merito pure sbagliato, l'ha dato lei. Detto questo, nessuno pretende di riscrivere la storia, però a quanto vedo qualcosa per migliorare la metodologia nell'analizzarla, forse forse, si può fare.
EliminaChiedo scusa, ma come può una lettera essere scritta il 30 aprile ed essere recapitata il 28?
RispondiEliminaImmagino, gentile "MissGorgoglio", che lei si riferisca a questo passaggio del mio scritto: "Si tratta della lettera scritta il 30 aprile da Aldo Moro ed indirizzata al collega di partito Riccardo Misasi (presidente della commissione Giustizia della camera dei Deputati), da lui eletto (per quanto inutilmente), nella lettera alla DC recapitata – tramite Rana e Guerzoni- al giornalista del “Messaggero” Fabio Isman nella tarda serata del 28 aprile ".
EliminaDunque nessun contrasto: mi riferivo alla "delega" conferita da Moro a Misasi contenuta nella lettera alla DC, recapitata - quella - il 28 aprile nella tarda serata. Della lettera a Misasi, oggetto del mio scritto, non consta ovviamente- per definizione - il recapito.