mercoledì 7 giugno 2023

DECOSTRUIRE LA NARRAZIONE 1. LAURA BRAGHETTI, "IL PRIGIONIERO"

In questo scritto  l'autrice -Benedetta Piola Caselli- applica le teorie e le tecniche dell'
analisi linguistica ai contenuti del libro di Laura Braghetti "Il Prigioniero" , anche confrontando il suo racconto con gli analoghi racconti degli altri partecipanti al sequestro e preventivamente utilizzando le poche indicazioni che possono venire dagli scritti  di Moro per spiegare il metodo con degli esempi sulle sue lettere.

Ne è venuta fuori un'analisi assai interessante che mette in luce non poche  contraddizioni della "narrazione" dei BR fin qui non rilevate. Vi sono qui e là delle tecnicalità che possono anche risultare talvolta ostiche, ma che vi invitiamo spassionatamente a superare, percorrendo i ragionamenti e arrivando passo dopo passo alle conclusioni. Buona lettura!

SEDICidiMARZO

***

                                 

   Decostruire la narrazione: 

        l’apporto delle teorie linguistiche alle tecniche di indagine storica.

             Parte uno: « Il prigioniero » di Laura Braghetti.     

 

 

di: Benedetta Piola Caselli

 

Intro.

 

In questo scritto suggerisco elementi nuovi su :

 1) uno dei luoghi della detenzione ;

2) i rapitori ;

3) la prima notte ;

4) il numero dei carcerieri ;

5) il giorno dell’omicidio.

 Ma non è importante: questo è uno scritto sul metodo.

Infatti, non mi interessa tanto discutere su cosa si trova, ma su come si trova, e condividere un metodo di analisi che mi sembra utile, e che poi ciascuno  valuterà o  migliorerà come vuole.

Questo è anche un esercizio di elasticità e contaminazione culturale.


Noi avvocati, per forma mentis, tendiamo a classificare, ordinare, verificare tramite riscontri e, soprattutto, diffidare delle narrazioni; questo ordine concettuale - che è utile - però non lascia spazio all’ intuizione, a meno che non sia riconducibile ad un metodo formalizzato e quindi ad uno schema.

Il nostro modo di procedere è, ad un tempo, garanzia di solidità del ragionamento e fonte di incomprensione dei fenomeni sociali, perché non riesce a coglierne le sfumature.

Ad esempio, tendiamo ad interpretare le azioni umane secondo modelli di diligenza,  prevedibilità e ricorrenza, quando in realtà normalmente non sono né lineari, né razionali, ma per lo più impulsive e scoordinate. Lo studio dei movimenti di lotta e del terrorismo ce lo dimostra : non corrisponde a razionalità l’azione di chi agisce per idealismo, perché l’idealità è la perfetta nemica del calcolo ; su questa base, già incerta, si ineriscono ancora tutte le variabili dell’esperienza umana.

Ad esempio, le Brigate rosse (come tutti, e forse un po’ più di tutti) fanno scelte anche controproduttive, ed errori, e disattenzioni, e pastrocchi ; invece di prenderne atto, si cerca per forza di ricondurre le azioni ad una qualche strategia, che esiste solo nell’occhio dell’interprete. Da questo errore di prospettiva nascono molti fraintendimenti e svariati complottismi , che hanno più a che fare con i fantasmi dei commentatori che con i fatti per come si sono realmente svolti. Detto questo, è giusto mettere in evidenza gli elementi dissonanti della loro narrazione (così come è giusto mettere in evidenza quelli della narrazione di Moro, cosa che farò in un altro scritto), ma come fare?

Se il problema è formalizzare l’intuizione, occorre un metodo che riesca a far emergere i particolari meno apparenti , le sfumature semantiche, i dettagli. A me pare di aver trovato un aiuto dai linguisti e, in particolare  nella « teoria degli atti linguistici » di Austin e Searle, e in quella psicolinguistica del « communication grounding » di Clark e Brennan.

In questo e nei prossimi scritti spiegherò cosa e come applicare quegli studi su : a) il corpus delle lettere di Moro ; b) il memoriale; c) il fumetto Metropolis ; d) le memorie dei brigatisti. Gli esperti del settore non se ne abbiano a male se rielaboro ed estraggo solo gli elementi utili al mio sforzo esegetico; daltronde, opero sulle sabbie mobili delle aree di confine.

Il primo esercizio sarà sui ricordi contenuti ne « Il prigioniero » di Laura Braghetti per la stima personale che le porto.

Qui però le faccio le pulci.   

 

1) Spiegazione del metodo.

 

La teoria degli atti linguistici di J.L. Austin e J. Searle , nella parte che interessa a me, considera l’espressione linguistica sotto quattro differenti punti di vista: come motivo, cioè la ragione psicologica della comunicazione;  come atto locutorio, cioè l’azione di pronunciare determinate parole o frasi ; come intenzione illocutoria, cioè il fine che si vuole raggiungere con la comunicazione ; e come effetto perlocutorio, cioè l’effetto che le parole producono sull'ascoltatore o sul contesto.

Per esempio, se io dico : « vi spiegherò come decostruisco il testo di Laura Braghetti » ho un motivo (magari voglio piacervi) , compio un atto (dico la frase in un certo modo) , ho un’intenzione (voglio spiegarvi questa cosa), ed ho un effetto (se la capite, se vi annoiate, eccetera). 

Perché queste cose sono utili?

Per evitare un errore frequente, che è quello di confondere i motivi con le intenzioni illocutorie, cosa che avviene (spesso) a causa di quello che Searle chiama la forza dell’atto locutorio, cioè la connotazione con cui viene espresso il concetto, sia ch’essa passi attraverso le parole, sia ch’essa passi attraverso il richiamo psicologico dell’intera frase.

Se si analizzano tutte le fasi del discorso, il vero messaggio viene fuori.

 

Ad esempio, quando Moro scrive alla moglie : « Se a Torrita non venite, comincia a tenermi a Roma o nella Chiesa di Torrita » (L. 67, 25/4/78), è automatico pensare che stia disponendo del luogo della sua sepoltura.

Questa convinzione ci viene perché la connotazione della frase - la sua « forza » - stimola il nostro bias conoscitivo, agendo sulla precompressione originata fatto di conoscere già la fine della storia. Infatti, le neuroscienze ci spiegano che il cervello elabora le informazioni attraverso il filtro dell’ultima che gli è arrivata : sapendo che Moro morirà, noi pensiamo che stia parlando della sua tomba perché riteniamo normale (in un modello di razionalità causale) che, chi sa di dover morire, organizzi il luogo delle sue spoglie. 

Ma si tratta di un anacronismo, perché stiamo giudicando un fatto di allora con gli occhi di oggi, e sulla base di presunzioni. In effetti, noi non sappiamo con certezza quale fosse lo stato d’animo di Moro, perché non abbiamo altri riscontri oltre le sue parole. In questa situazione, gli storici direbbero che il prigioniero si trova nel caso dell’unus testis descritto da Carlo Ginsburg, con la conseguenza che le sue affermazioni, per poter essere considerate valide, devono essere vagliate molto attentamente.

Questo ci porta a dire che abbiamo alcuni elementi su cui ci possiamo pronunciare ed altri su cui dobbiamo sospendere il giudizio.

Per esempio, in questo esempio, non ci possiamo pronunciare sul motivo della frase, per quanto detto prima; possiamo però esaminare l’atto locutorio, cioè come è strutturata la frase e quali sono le parole usate, per cercare di capire quale è l’intenzione illocutoria, cioè il fine di quella frase ed, eventualmente, il suo effetto perlocutorio.

 

Ma quale sarebbe il fine di Moro nel dire:  « Se a Torrita non venite, comincia a tenermi a Roma o nella Chiesa di Torrita »?

Sospeso il giudizio sul motivo, l’analisi dell’atto locutorio mostra: a) un’insistenza sul termine Torrita; b) un errore logico: infatti, se i parenti non possono visitarlo a Torrita, non potranno visitarlo neanche nella Chiesa di Torrita; c)  una particolarità lessicale : Moro dice venire, anziché andare, così presupponendo che lui si trovi lì.

 Dal punto a) sappiamo che il problema è Torrita; dal punto b) che non sta parlando della sua tomba; dal punto c) che l’errore non è causale, dal momento che l’eloquio di Moro è preciso al limite dell’ossessivo, come dimostrano le sue lezioni di diritto penale.

E’ ragionevole ritenere che Moro stia indicando che si trova dalle parti di Torrita, e che quindi l’intenzione illocutoria è di dare un’indicazione geografica. Quanto all’effetto perlocutorio, in questo caso è nullo perché l’informazione, se è vera, non è stata colta.

 

Ovviamente si tratta di un’ipotesi, non di una certezza e, in quanto ipotesi, ha bisogno di elementi di validazione. La storia delle indagini ce ne fornisce diversi.

 Per esempio, nel 1979  venne scoperta una base delle UCC a Vescovio, che dista da Torrita solo 17 chilometri. Questa base si era cercata, senza successo, nella terza settimana dell’aprile 1978, quindi proprio nel momento in cui viene scritta la lettera, che Miguel Gotor data intorno al 25 aprile.

Si noti anche che il Lago della Duchessa, dove Moro avrebbe dovuto essere trovato morto il 18/4/78, è nella stessa area : questo potrebbe aprire altre ipotesi sul « falso comunicato », per esempio che qualcuno lo fece apparire proprio per orientare le indagini in quell’area.

Ma c’è di più. Nel settembre del 2020, a Poggio Catino, viene ritrovato un nascondiglio con armi, volantini e vario materiale delle Brigate rosse. Questo nascondiglio dista 15 chilometri da Vescovio e 13 da Torrita Tiberina. Quando e quanto è stato attivo?

Al momento non lo sappiamo, però possiamo notare che, fra gli oggetti ritrovati, c’erano delle divise da postino, e le Brigate Rosse utilizzarono le divise da postino nel dicembre del 1980 per l’omicidio Galvaligi.

Se questo è vero, nella zona intorno a Torrita c’erano almeno due basi: una è quella di Vescovio saltata nel 1979,  e l’altra è quella mai scoperta e rimasta in attività dopo l’omicidio Moro. A questo si può aggiungere che doveva essere una base importante se il nascondiglio di prossimità conservava oggetti usati per un’azione di « grossa taglia », come un omicidio.

Insomma, ci sono vari elementi che portano a immaginare che, nella terza settimana di aprile, Moro stesse nella zona di Poggio Catino.

 

Per riassumere, il metodo si applica cosi: 1) si esaminano i motivi, se ci sono elementi di riscontro; 2) si fa l’analisi dell’atto locutorio, cioè della frase, individuandone la « forza » , le ricorrenze, la coerenza, ect. ; 3) si individua il fine della comunicazione, cioè l’intenzione illocutoria ; 3) si individuano e valutano gli effetti, cioè l’effetto perlocutorio.

 

Questo metodo di lavoro è tanto più utile quanto lo si utilizza per valutare i « particolari di realtà ».

A cosa mi riferisco?

Alla teoria psicolinguistica del « communication grounding » che si concentra sul modo in cui le persone si riferiscono agli oggetti e agli eventi nel loro ambiente. In questo quadro, i « particolari di realtà » solo quelli che circostanziano in modo preciso il discorso, rendendolo infraintendibile;  delle indicazione precise, che si riconoscono perché sono spesso sovrabbondanti e, a volte, in contraddizione con  sue premesse del testo. Della sua rilevanza dei « particolari di realtà » parla già lo storico Marc Bloch, pur se al di fuori di un quadro teorico sistematico, per sottolinearne la doppia natura : questo tipo di particolare può segnalarci un aspetto vero dell’evento, e dunque contribuire alla validazione del racconto, ma anche un aspetto totalmente falso, e quindi la sua alterazione. In un modo o nell’altro, il « particolare di realtà » è un clin d’oeil al lettore, il segnale di porre la massima attenzione al testo. In questo senso la sua analisi risulta molto utile. 

    

Sempre per utilizzare le lettere di Moro, un esempio di « particolare di realtà » è nella lettera alla moglie del 27/3/78 (L.4) « il cibo è abbondante e sano (mangio ora un po’ più di farinacei) » .

La domanda da porsi è quale è il particolare sovrabbondante, iperpreciso, rispetto all’informazione?

In questo caso è che ora mangia un po’ più di farinacei.

Anche al « particolare si realtà » si applica lo schema della teoria degli atti linguistici.

 

In primo luogo si cerca se ci sono riscontri al motivo dell’inserimento del particolare nella comunicazione: quale situazione psicologica spinge Moro a darci questa informazione ? (Ad esempio : è contento perché mangia meglio, è irritato perché ha un’intolleranza ai farinacei…) ; in secondo si analizza l’atto locutorio, per vedere se il termine o la formulazione della frase comporta specificità (nel caso di specie, la specificità è nell’uso della collocazione temporale ORA, ma potrebbe anche essere nel dire « farinacei » invece di pane, pasta…) ; in terzo si analizza l’intenzione illocutiva ( a quel fine Moro vuole farci sapere che ora mangia più farinacei? Per dirci che prima non ne mangiava e che l’alimentazione è cambiata ? Che è cambiato il suo stato di salute?) , infine si valuta l’effetto perlocutorio, se ce n’è uno.

Queste domande aprono la porta ad altre considerazioni.

Ad esempio, sapere che Moro ha cambiato alimentazione può essere rilevante come indizio di lettere che non sono mai arrivate e in cui si lamentava del vitto; oppure può essere un’indicazione che è cambiato « il cuoco » della sua prigionia, cosa che implica un turnover di carcerieri; o ancora un problema di salute ormai superato (es : l’immobilità forzata per la frattura alle costole che risulta dalla perizia, mai chiarita).

Sono questioni interessanti, se messe in contesto,  piccole tessere di un puzzle più ampio.  

 

Per riassumere, l’esame del « particolare di realtà » si può fare cosi: a) si identifica il dettaglio chiedendosi quale elemento nel testo è sovrabbondante e iper-preciso rispetto alla comunicazione ; b) si applica lo schema di valutazione degli « atti linguistici » come sopra spiegato.

 

 

2) Applicazione del metodo : il caso de « Il prigioniero »

 

 «Il Prigioniero » di Laura Braghetti, scritto attraverso la penna di Paola Tavella, è il libro più delizioso che abbiamo sul caso Moro, e forse sull’esperienza militante in generale.  Ci si ritrova una delicatezza di stile, un’attenzione al dettaglio del tutto estranea ai racconti degli uomini per quanto, in genere, ben scritti ; ci si ritrova anche una quantità di sciocchezze del tutto rimarchevole, specialmente per la disinvoltura con cui sono raccontate - si pensi alla storia dello spruzzare i vestiti di Moro con acqua di mare o di dare gran manate di sabbia sotto la Renault 4 « per depistare » (!) , eccetera. Le incongruenze più macroscopiche sono già state notate e discusse, tanto in sede giudiziaria che storica ; qui mi interessa, come premesso, fare un’esercizio di metodo che sottolinei dei particolari poco apparenti.  Do per scontato che il lettore conosca già i testi a cui mi riferisco (« Il Prigioniero » di Laura Braghetti, « Brigate Rosse » di Mario Moretti, « Un contadino nella metropoli » di Prospero Gallinari) e tutte le relative problematiche. Qui ne propongo quattro anche se, a rigore, si potrebbe superare la ventina.

 

a)      Il « particolare di realtà » che dice troppo :  il caso della scelta dell’appartamento di via Montalcini.

 

Racconta Laura Braghetti: « Mario mi informa dei requisiti essenziali: doveva trovarsi in una zona residenziale compresa tra Magliana e Monteverde, in una strada poco frequentata, senza vetrine davanti alle quali fermarsi, né panchine sulle quali leggere il giornale, né capolinea o fermate di autobus. Al primo piano disse, assolutamente senza portiere, meglio se con un ingresso discreto, il garage deve essere chiuso ».

 

Il particolare di realtà qui si individua confrontando il testo di Laura Braghetti con quello di Mario Moretti che, in principio, il racconto della brigatista dovrebbe validare.

Si tratta del « requisito essenzialefra Magliana e Monteverde », informazione precisa e sovrabbondante rispetto al narrato dal dirigente, che non la include fra le sue:

 

« avevamo cercato un appartamento con certe caratteristiche: poche, ma tassative. Primo, doveva avere un garage interno, sotterraneo, dove ogni inquilino avesse un suo box cn tanto di saracinesche dal quale potesse salire con poche scale. (…) secondo, l’appartamento doveva essere abbastanza grande da poter creare un’intercapedine che non ne alterasse vistosamente le proporzioni, il box dove avremmo tenuto Moro ».

 

Il particolare di realtà è riscontrato dal fatto che effettivamente le Brigate rosse ebbero una base in via Montalcini, acquistata da Laura Braghetti.

Seguendo il metodo di analisi linguistica, procediamo : 1) vaglio dei motivi : apparentemente non ci sono condizioni psicologiche che spingano Laura Braghetti a dare questa informazione ; 2) atto locutorio: la formulazione linguistica insiste sull’essenzialità dell’area geografica e sulla zona residenziale (non popolare, per esempio, e non industriale) ; 3)  intenzione illocutoria : sembrerebbe che il fine del particolare sia mostrare un adempimento diligente alle direttive, senza che la militante si renda conto delle implicazioni della sua affermazione ; 4) effetto perlocutorio : la zona non è neutra, quindi il lettore corre subito, con il pensiero, alla presenza della Banda della Magliana nell’area.

E’ evidente che il vaglio di questa informazione porta subito ad un’altra domanda : quali sono le ragioni logistiche per cui Mario Moretti volle un appartamento proprio lì?

La questione si è posta fin da subito ma, fino ad ora, la risposta era stata che casualmente si era trovato lì un appartamento che soddisfaceva i requisiti di sicurezza ed agio voluti dall’organizzazione.

 

Ma perché bisognerebbe credere a Laura Braghetti sul « requisito essenziale … Magliana  » e non a Mario Moretti, secondo cui la zona fu casuale?

In realtà proprio per l’assenza di motivi e di una specifica intenzione illocutoria, nel senso che Laura Braghetti non ha interesse ad aggiungere il particolare, mentre Mario Moretti ha interesse ad ometterlo.

 

 

b) I « particolari di realtà  »  cumulativi : il caso della  prima notte del rapimento.

 

La prima notte del rapimento è ricordata da Laura Braghetti con un tocco  tutto femminile.

 « Mentre mi lavavo i denti e mi infilavo il pigiama tremavo di paura, e prevedevo che il sonno avrebbe tardato a venire. Aprii la porta della mia camera e scoprii che Prospero, con il quale dividevo abitualmente il letto, era stato assegnato al primo turno di guardia, ed era già seduto in studio con il mitra. A Germano toccava il divano letto del soggiorno. Mario avrebbe dormito con me. Ci sdraiammo, rigidi, uno accanto all’altro, tesi e attenti a non sfiorarci. A dispetto delle mie previsioni, caddi in catalessi. A metà della notte mi svegliai (…) Mario, accanto a me, era immobile. Mi alzai e andai in salone. Prospero aveva finito il suo turno ed era abbandonato sul divano. Raggiunsi lo studio: anche Germano dormiva. (…) Sulla branda, nella prigione del popolo, anche Moro era immerso in un sonno profondo ».

 In questo brano i « particolari di realtà » sono vari, e costituiscono il quadro per l’ « esame a contrario » di quello che manca, che è l’informazione rilevante.

Infatti, non solo sappiamo che Laura Braghetti dormì nel letto con Mario Moretti, ma che si sentivano entrambi a disagio (informazione iper-precisa e sovrabbondante); non solo che Gallinari e Maccari dormivano, ma che uno era sul divano e l’altro nello studio (nuovamente una informazione iper-precisa e sovrabbondante).

Perché vengono inseriti questi particolari?

 Con riguardo all’analisi : 1) motivi : apparentemente, una piccola e giustificata vanità : la soddisfazione di un testo dal valore letterario, e non scarno e asciutto come quelli di Moretti e Gallinari ;  2) atto locutorio : insistenza sulla qualificazione dell’imbarazzo, che era reciproco e doveva essere intenso (rigidi, tesi, attenti a non sfiorarci) e sulla sistemazione « sacrificata » dei militanti, che dormono scomodi almeno quanto Aldo Moro ; 3) intenzione illocutoria : umanizzare i brigatisti e dunque suscitare l’empatia del lettore ; 4) effetto perlocutorio : il lettore è intenerito dalla storia.

 

Non ci sono ragioni per mentire, e questi particolari sembrano tutti innocui anche se forse un po’ manipolativi. Un’altra informazione serve però a completare il quadro Sappiamo infatti che l’appartamento di via Montalcini, secondo la descrizione che ne fa Moretti:

 è sui cento metri quadri, una cucina, le camere da letto, un salone a forma di elle, lo studio.

 Nella base ci sono quindi tre spazi separati per dormire: due camere da letto e lo studio, che si trova accanto al bugigattolo dove è tenuto Moro e dove monta la guardia l’incaricato di turno. Oltre a questo, il salone a forma di elle in cui è aperto il divano letto.

Con così tanto spazio, perché dunque Mario Moretti va a dormire nel letto con Laura Braghetti, pur se entrambi provano disagio? Perché la seconda camera era lasciata vuota? Perché Moretti non dormiva lì, o non ci dormiva Maccari, invece di dormire sul divano letto in salone?

Anche in questo caso, la proposizione del problema impone delle ipotesi di risposta, che possono essere a loro volta esaminate.

 

La più semplice, sarebbe che la seconda camera fosse stata attribuita a Moro. E però questo contrasta con l’affermazione, da tutti ripetuta, che il prigioniero è stato sempre e solo nello sgabuzzino. Inoltre non si capisce perché i brigatisti non abbiano ammesso il fatto, totalmente irrilevante nella dinamica del sequestro, e spiegato semplicemente di aver spostato Moro nella stanza dopo essersi resi conto che lo sgabuzzino era inadatto : questo accorgimento avrebbe reso molto più credibile una storia traballante.

Una seconda ipotesi è che la camera fosse occupata. Ci sarebbero stati allora altri carcerieri coinvolti nel sequestro, oltre i tre ufficiali.

La terza ipotesi è che Laura Braghetti stia correttamente descrivendo una scena che si è svolta, fin nei particolari, alla sua presenza : Moretti nel suo letto, Gallinari sul divano, « il quarto uomo » che russa con il mitra in mano. Solo che la scena si è svolta in un altro scenario: quello di una base più piccola, in cui lo spazio disponibile era limitato, e c’era una sola camera da letto.

 

 

c ) I « particolari di realtà » nei contrastanti di versione: il caso dell’arrivo alla base.

 

Il gruppo SedicIDImarzo ha già notato che le versioni sull’arrivo in via Montalcini sono diverse, al punto che ce n’è una per ciascuno dei carcerieri ; qui possiamo aggiungere una riflessione sui numeri e sulla credibilità.

Dice Laura Braghetti:

 

« A un tratto scorsi la mia automobile che risaliva con calma via Montalcini. Ora avrei saputo (…) Ero rimasta con Germano, in uno stato di tensione tale che non potevamo neanche parlare. A un’ora convenuta poi Germano era sceso ad aspettare il ritorno dei nostri compagni, giù lungo la strada. Passeggiavo avanti e indietro per un breve tratto di marciapiede. Quando l’auto si avvicinò, vidi Mario alla guida, Germano seduto accanto  a lui.  Prospero li seguiva a piedi (…) »

 

I « particolari di realtà » qui sono diversi: Maccari che scende un tratto di strada per aspettare i compagni,  lei che  passeggia su e giù per il marciapiede, Moretti alla guida della macchina.

Laura Braghetti non dice che Moretti era sulla Ami 8, né che era solo con Germano : dice solo che vede la sua macchina, e che vede Moretti alla guida : i collegamenti li facciamo noi.

Che gli unici soggetti coinvolti nella scena fossero i quattro carcerieri lo ricaviamo a contrario, perché non è citato nessun altro e perché, in precedenza, si era detto che solo la Ami 8 sarebbe arrivata in via Montalcini :

 

« La Ami 8 era un enorme cassone, esattamente il contrario della macchinetta da città che una persona della mia età avrebbe dovuto scegliere. Mario però mi aveva raccomandato di procurarmi un’automobile abbastanza spaziosa da contenere una cassa, dal momento che quella e soltanto quella era l’auto che avrebbe raggiunto via Montalcini il giorno del sequestro, trasportando l’ostaggio »

 

La versione di Mario Moretti è diversa.

 

D. :  E’ Laura Braghetti che guida fino alla base »?

R: Si. I compagni che ci avevano fatto da staffetta si defilano, Gallinari e io andiamo alla base.

 

I fatti sono parzialmente riscontrati da Gallinari, che non parla specificamente né di Laura Braghetti né di Germano Maccari ma lo lascia intendere:

 

« Al parcheggio sotto il supermercato c’è l’ultimo passaggio. Un luogo dove è normale vedere le persone alle prese con buste e pacchi anche di grandi dimensioni. Nessuno si meraviglia di una macchina nel cui baule alcuni giovani stanno caricando una cassa. Il mio tragitto è concluso, l’ultimo tratto spetta ai padroni di casa. Mi avvio da solo a piedi per rientrare a casa, è il primo momento in cui riesco a osservare con distacco il mondo che mi sta attorno. La mattina è bella, i rumori, i movimenti della gente sono quelli di sempre, anche i profumi della primavera che sta arrivando. ». Il fatto che Gallinari vada solo è riscontrato da Braghetti.

 

Chi ha ragione?

Da una parte ci sono due testimonianze coincidenti e razionali : dà molto meno nell’occhio che entri in garage la padrona di casa alla guida di una macchina conosciuta, che non un estraneo;  dall’altra una sola, senza riscontri, ed estrinsecata in un comportamento irrazionale quale è il passeggiare su e giù sul marciapiede con il pericolo di attirare la curiosità dei vicini.

Sembrerebbe allora che abbia ragione Mario Moretti, ma la scomposizione degli enunciati può aiutare a problematizzare il quadro.

 

Per poter comprendere meglio la cosa, dobbiamo però fare un ragionamento sui numeri.

Nella versione di Moretti, all’apparenza così lineare, l’ Ami 8 parte con Laura Braghetti a bordo (sola? Maccari non è citato), mentre lui va via con Gallinari.

 Fino a quel momento, Moretti afferma di avere guidato (da solo, per motivi di sicurezza) il furgone in cui è tenuta la cassa di Moro , scortato da una Dyane con due compagni a bordo che, dopo la Stanza, si defila. La cassa con Moro viene allora trasferita sulla Ami 8 per continuare verso via Montalcini.

Ora, è impensabile che Moretti raggiunga via Montalcini con il furgone, altrimenti sarebbe stato inutile il trasferimento di Moro. Visto che, evidentemente, non va a piedi (né lo afferma) , ecco che almeno una seconda macchina arriva in via Montalcini.

Le macchine sono già due. Non ci è dato di sapere cosa sia successo al furgone.

Ad ogni modo, se la seconda macchina la guida Moretti con, a fianco, Maccari almeno da un certo momenti in poi, chi guida la Ami 8?

E perché Gallinari è andato a piedi, invece di salire su una delle due macchine?

Vista in questo modo, la versione di Moretti, in apparenza lineare, si complica. Infatti, né lui né Braghetti hanno un interesse a negare di essere stati alla guida della Ami 8, perché la loro situazione processuale non cambierebbe ; al contrario, è la verità sulla propria posizione che fa emergere un problema : il compagno sconosciuto che è alla guida. 

Con riguardo alla posizione di Laura Braghetti quindi si può scomporre così:

 

 Versione di Laura Braghetti :

 

1)      motivi : lasciamoli in sospeso ; 2) atto locutorio : forte insistenza sull’ansia ; 3) intenzione illocutoria : può essere di due tipi : a) affermare che si trovava in via Montalcini per negare di trovarsi alla Standa, cosa di cui non è chiaro il vantaggio visto che, da un punto di vista processuale non ce n’è nessuno e b) affermare che si trovava in strada per sottolineare il suo stato di agitazione, sempre nell’obiettivo di creare empatia nel lettore, conformemente agli altri passaggi del libro ; 4) effetto perlocutorio :  a) secondo un modello di interpretazione razionale, non le si crede perché l’atto di passeggiare su e giù sul marciapiede non è congruente con le regole di sicurezza ; b) con un’interpretazione più elastica, il lettore empatizza con la ragazzina agitata.

 

Versione di Mario Moretti :

 

1) motivi : lasciamoli in sospeso ; 2) atto locutorio : risposta fredda ed asciutta ; 3) intenzione illocutoria : anche qui può essere di due tipi; e cioè a) mostrare che il piano è andato bene ; b) coprire dei compagni mai risultati a processo ; c) effetto perlocutorio : il lettore crede alla sua versione.

 

C’è quindi uno scontro a livello di effetti perlocutori e di intenzioni illocutorie che però, così scomposte, cambiano abbastanza il quadro. Infatti, Braghetti non ha interesse a mentire, e magari sta solo manipolando un po’ il lettore; Moretti invece ha interesse a mentire, nel nome dell’organizzazione e per nascondere il compagno; d’altronde, è la stessa cosa che Braghetti fa dicendo che alla guida c’era Moretti.

Dunque, potrebbe esserci stato  (almeno) un altro brigatista rimasto fuori dalla narrazione.

 

Un’altra ipotesi si presenta però con più urgenza, ed è una soluzione assai meno complicata : tutta la storia è inventata. C’era stato un piano, è vero, che prevedeva esattamente il copione raccontato da Moretti e però, per qualche ragione, è saltato. Moro non è mai arrivato in via Montalcini passando per la Standa di via dei Colli Portuensi o, almeno, non ci è arrivato il 16 di marzo ; ed è per questo che nessuno si ricorda esattamente come sono andate le cose, e chi doveva fare cosa, salvo una persona : lui, il capo, Mario Moretti. 

 

 

d)  Il « particolare di realtà » e lo sfasamento temporale : il caso del materiale distrutto.

 

Le borse di Moro hanno costituito a lungo oggetto di dibattito. Moro ne scrive nelle sue lettere, chiedendo alla famiglia di recuperarle, cosa che ha sempre fatto pensare che il contenuto fosse di qualche rilevanza: se, nelle mani dei sequestratori e in pericolo di vita, il pensiero corre alle borse, quel che c’è dentro non può essere anodino.

La questione sembrava però risolta con il ritrovamento di una terza valigia nel bagagliaio di una delle auto, e la riconsegna di tre delle cinque valigie alla famiglia ; siccome le altre due erano nelle mani delle Brigate rosse, il numero tornava.

Riguardo a questa questione, analizzando le memorie di Laura Braghetti scopriamo che le borse non arrivano in via Montalcini insieme all’ostaggio, ma vengono controllate in separata sede:    

 

« Poi qualcuno posò sul tavolo le borse di Moro. Erano già state perquisite per assicurarsi che non contenessero una microspia o qualunque altro aggeggio che conducesse la polizia fino a noi. Nella prima trovammo alcune tesi di laurea, due paia di occhiali di ricambio, francobolli, articoli di cancelleria, poche medicine.

Nella seconda pratiche ministeriali, il testo della riforma della polizia, lettere di raccomandazione e ringraziamento, e, particolare che mi colpì moltissimo, la sceneggiatura di un film. Eravamo esterrefatti: possibile che fosse quello il materiale di lavoro di uno degli uomini più potenti d’Italia? (…) »

 

Procedendo alla scomposizione :  1) Motivi : in sospeso ; 2) Atto locutorio : elencazione di oggetti, frasi di stupore ; 3) Intenzione illocutoria : sottolineare che le Brigate rosse non sono mai entrate in possesso di materiale importante, ma solo di una serie di piccole cose insignificanti ; 4) effetto perlocutorio : l’elencazione tende ad essere convincente.

 

Ma cosa ci dicono i riscontri? 

Secondo le dichiarazioni della vedova, le cinque borse di Moro, ordinato al limite dell’ossessivo, avevano ciascuna un contenuto, a seconda della funzione. Fra queste, una conteneva le medicine, lo sfigmomanometro e i vestiti da viaggio; una l’amministrazione corrente; una le tesi di Laurea e le questioni universitarie; una le questioni di governo; una le varie ed eventuali. Le Brigate rosse dovrebbero aver preso la borsa degli effetti personali e quella delle attività correnti, cioè quelle più utili alla gestione del prigioniero e più rilevanti dal punto di vista politico.  Come avessero fatto a distinguerle dalle altre, non è dato sapere; le affermazioni di Laura Braghetti sembrano però validate.

 

Ma c’è un particolare. Nel racconto sembra che le borse arrivino quasi subito in via Montalcini, anche se controllate da « altri » in cerca di microspie (! Sic) . Non è così: infatti, a dieci giorni dal rapimento, Moro non ha ancora ricevuto i suoi vestiti da viaggio, perché ne fa menzione nella sua lettera del 27/3 (L. 4).

Inoltre, Laura Braghetti racconta di aver dovuto comprare delle medicine quel pomeriggio stesso, perché quelle che si trovavano nella borsa non erano quelle che voleva Moro, argomentando con altri particolari di realtà quali la paura di non riuscire ad acquistarle senza ricetta.  Sappiamo che non è così : le Brigate rosse avevano effettivamente preso la borsa delle medicine, perché gli effetti personali furono fatti ritrovare nel contenitore dello sfigmomanometro, secondo quello che riferisce la vedova.

E’ improbabile che le medicine che voleva Moro non fossero nella borsa in cui dovevano essere : è più probabile che non fossero a disposizione in quel momento, perché qualcun altro le esamina in altra sede e a lungo.

Una seconda questione è perché le borse tornino in via Montalcini se non contengono niente di interessante  e ci tornino per essere distrutte (come vedremo) e perché invece, se lo contengono, non sia piuttosto andato Mario Moretti a vederne il contenuto dove erano.

La storia procede complicandosi.

Laura Braghetti infatti racconta di aver distrutto tutto il materiale bruciandolo:

 

« Anche gli occhiali di riserva di Moro erano stati frantumati e bruciati (! Sic) in un piccolo braciere casalingo che puzzava tremendamente. Con un trincetto distruggemmo le borse di pelle, facendole a pezzettini. »

Anche la cassa viene distrutta e le carte bruciate.

 

Il particolare degli occhiali è piuttosto curioso, perciò analizziamolo:

 

1)  Motivo : sospendiamo il giudizio ; 2) Atto locutorio : contiene un’impossibilità fisica, perché non si può bruciare il vetro ; 3) Intenzione illocutoria :  dimostrare che le Brigate rosse non hanno mai avuto documenti importanti da scambiare, e non avevano conservato oggetti del prigioniero, avendo distrutto tutto ; 4) Effetto perlocutorio : incredulità dovuta al punto 2 e al nonsenso logico di disfarsi di oggetti di uso comune in quel momento ed in quel modo.

 

Il passaggio quindi fa più male che bene alla credibilità della storia : perché distruggere gli occhiali e non anche le sovra-lenti da sole o gli orologi? E che senso ha « fare a pezzi » delle borse di pelle e bruciarle nel braciere casalingo che puzzava terribilmente, con il rischio di attirare l’attenzione dei vicini, quando potevano  (semmai) essere smaltite in altro modo?  Anche le carte, di cui si dice che non hanno nessun valore, vengono bruciate senza una ragione apparente; né si capisce perché venga distrutta la cassa: eppure, si trattava di un oggetto anonimo, facilmente utilizzabile in casa (per esempio per contenere gli utensili da giardino), che poteva servire più tardi nel corso del sequestro (magari per portare Moro fuori dall’appartamento, invece di metterlo in un cesto di vimini per le scarpe - sic!) e che, per di più, come ci viene detto, era anche stata pagata cara a un falegname della suburra.

Ma alcuni «  particolari di realtà » gridano ancora che una verità ci può essere : per esempio, quando Maccari raccomanda di non gettare le carte fumanti nello scarico del gabinetto, che potrebbe creparsi, perché questo gli è già successo. E’ una piccola notazione iper-veristica che non verrebbe mai in mente ad una donna se non avesse fatto oggetto di discussione. Può darsi allora che, dietro il racconto della distruzione, ci sia una mezza verità :  questi oggetti sono stati eliminati, ma dopo la morte di Moro e non durante il sequestro. Peraltro, il pentito Antonio Savasta confermò che i documenti di Moro vennero distrutti da Gallinari dopo l’omicidio ; essendo Gallinari il compagno di Braghetti, è probabile che lei sia stata presente e lo abbia aiutato.

 

Ma c’è una considerazione molto più importante a latere. Come si è visto, l’intenzione illocutoria della Braghetti era probabilmente di liberare l’organizzazione dal sospetto di avere trattenuto carte ed oggetti che sarebbero stati « scambiati » e, affermando di averli immediatamente distrutti lei stessa, ritiene di avere risolto il problema.  D’altronde né lei né nessuno dei rapitori fa mai riferimento al fatto di avere restituito gli oggetti di Moro insieme al cadavere, facendoli trovare nel bagagliaio della Renault Rossa.

Non li mette Laura Braghetti, che infatti dice di averli distrutti.

Non li mettono né Moretti né Maccari, che hanno le mani occupate a tenere la cesta di vimini, utilizzata per tenere scarpe e giornali (!) in cui Moro viene trasferito in garage; non li mette Gallinari che resta in casa.

Eppure gli oggetti sono 24 , racchiusi nel borsello dello sfigmomanometro e quindi preparati in anticipo.

Troviamo  nel verbale di sequestro: 1) portatessere in pelle ; 2) occhiali rayban ; 2) occhiali da vista ; 3) occhiali da vista; 4) occhiali da vista; 5) sovra-lenti da sole; 6) una fiaschetta per liquori in metallo; 7) un orologio; 8) un secondo orologio (!?) ; 9) una penna in metallo; 10) una seconda penna in metallo; 11) un rosario; 12) un portafoglio con santini , ricordi e assegni; 13) la vera nunziale; 14) un accendino; 15) un pettine; 16) una catenina; 17) un portachiavi con mazzo di chiavi ; 18) un secondo portachiavi con le sue chiavi; 19) un mazzo di chiavi; 20) un altro mazzo di chiavi; 21) un anello con una chiave ; 22) una chiave singola, 23)un portachiavi ; 24) delle monetine (610 lire).

 

Chi preparò questi oggetti, chi li mise nella Renault 4 e quando, se dal garage di via Montalcini parte subito per via Caetani?

E come fa Laura Braghetti a non sapere che questi oggetti furono restituiti, se fu fra le ultime persone a vedere Moro quella mattina, e ad accompagnarlo fin quasi al bagagliaio dove fu ucciso?

Viene da pensare che o Laura Braghetti non era in via Montalcini il 9 di maggio, oppure non c’era Aldo Moro.

 

Conclusioni


Si potrebbe andare avanti ancora molto, ma spero comunque che queste prime note siano state utili ad aprire una nuova prospettiva.

Come si è visto, per ogni esempio si è ottenuto un suggerimento - da verificare, certo - ma comunque interessante: 1) rispetto a Torrita, la possibilità che Moro fosse tenuto in quell’area ; 2) rispetto ai farinacei, la possibilità che fosse cambiato « il cuoco » del sequestro ; 3) rispetto alla « prima notte » , la possibilità che Braghetti non si riferisse a via Montalcini ; 4) rispetto all’arrivo, la possibilità che ci fosse almeno un brigatista in più ; 5) rispetto alla distruzione del materiale, la possibilità che Laura Braghetti e Aldo Moro non fossero nello stesso luogo il giorno del suo omicidio, oltre ad altri particolari minori.

***

 


4 commenti:

  1. L’ho letto tutto d’un fiato. Fatta salva la necessità di rileggere per una migliore comprensione taluni passaggi. Interessantissimo contributo che reclama la necessità di fare maggiore chiarezza su in fatto che ha cambiato più di quanto non si pensi la storia della nostra Repubblica.

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  2. Il precedente commento è mio.

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  3. Buonasera e grazie per il lavoro che fate, alcune analisi che ho letto nel tempo sono davvero notevoli per profondità e precisione e hanno migliorato molto la mia conoscenza dei fatti, tali e presunti.
    Con questo mio commento, volevo chiedere a tutti i frequentatori del sito un'opinione sul recente docufilm ,"non è un caso, moro". La mia impressione è che metta al loro posto molte delle cose che non tornavano.

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  4. Segue dal commento precedente.
    Se l'inchiesta su cui si basa il docufilm riporta fatti veri, ecco che tutte le incongruenze del racconto della Braghetti sono spiegabili, così come tutte le contraddizioni nei racconti di lei, Gallinari e Moretti sul tragitto dalla Standa a via Montalcini: tutto completamente inventato.

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