analisi linguistica ai contenuti del libro di Laura Braghetti "Il Prigioniero" , anche confrontando il suo racconto con gli analoghi racconti degli altri partecipanti al sequestro e preventivamente utilizzando le poche indicazioni che possono venire dagli scritti di Moro per spiegare il metodo con degli esempi sulle sue lettere.
Ne è venuta fuori un'analisi assai interessante che mette in luce non poche contraddizioni della "narrazione" dei BR fin qui non rilevate. Vi sono qui e là delle tecnicalità che possono anche risultare talvolta ostiche, ma che vi invitiamo spassionatamente a superare, percorrendo i ragionamenti e arrivando passo dopo passo alle conclusioni. Buona lettura!
SEDICidiMARZO
***
Decostruire la narrazione:
l’apporto delle teorie linguistiche alle tecniche di indagine storica.
Parte
uno: « Il prigioniero » di Laura Braghetti.
di: Benedetta Piola
Caselli
Intro.
In questo scritto
suggerisco elementi nuovi su :
1) uno dei luoghi della detenzione ;
2) i rapitori
;
3) la prima
notte ;
4) il numero
dei carcerieri ;
5) il giorno
dell’omicidio.
Ma non è importante: questo è uno scritto sul metodo.
Infatti, non mi
interessa tanto discutere su cosa si trova, ma su come si trova,
e condividere un metodo di analisi che mi sembra utile, e che poi ciascuno valuterà o
migliorerà come vuole.
Questo è anche un
esercizio di elasticità e contaminazione culturale.
Noi avvocati, per
forma mentis, tendiamo a classificare, ordinare, verificare tramite
riscontri e, soprattutto, diffidare delle narrazioni; questo ordine concettuale
- che è utile - però non lascia spazio all’ intuizione, a meno che non sia
riconducibile ad un metodo formalizzato e quindi ad uno schema.
Il nostro modo di
procedere è, ad un tempo, garanzia di solidità del ragionamento e fonte di
incomprensione dei fenomeni sociali, perché non riesce a coglierne le
sfumature.
Ad esempio,
tendiamo ad interpretare le azioni umane secondo modelli di diligenza, prevedibilità e ricorrenza, quando in realtà
normalmente non sono né lineari, né razionali, ma per lo più impulsive e
scoordinate. Lo studio dei movimenti di lotta e del terrorismo ce lo dimostra :
non corrisponde a razionalità l’azione di chi agisce per idealismo, perché
l’idealità è la perfetta nemica del calcolo ; su questa base, già incerta, si
ineriscono ancora tutte le variabili dell’esperienza umana.
Ad esempio, le
Brigate rosse (come tutti, e forse un po’ più di tutti) fanno scelte anche
controproduttive, ed errori, e disattenzioni, e pastrocchi ; invece di
prenderne atto, si cerca per forza di ricondurre le azioni ad una qualche
strategia, che esiste solo nell’occhio dell’interprete. Da questo errore di
prospettiva nascono molti fraintendimenti e svariati complottismi , che hanno
più a che fare con i fantasmi dei commentatori che con i fatti per come si sono
realmente svolti. Detto questo, è giusto mettere in evidenza gli elementi
dissonanti della loro narrazione (così come è giusto mettere in evidenza quelli
della narrazione di Moro, cosa che farò in un altro scritto), ma come fare?
Se il problema è
formalizzare l’intuizione, occorre un metodo che riesca a far emergere i
particolari meno apparenti , le sfumature semantiche, i dettagli. A me pare
di aver trovato un aiuto dai linguisti e, in particolare nella « teoria degli atti linguistici »
di Austin e Searle, e in quella psicolinguistica del « communication
grounding » di Clark e Brennan.
In questo e nei
prossimi scritti spiegherò cosa e come applicare quegli studi su : a) il corpus
delle lettere di Moro ; b) il memoriale; c) il fumetto Metropolis ; d) le
memorie dei brigatisti. Gli
esperti del settore non se ne abbiano a male se rielaboro ed estraggo solo gli elementi utili al mio sforzo
esegetico; d’altronde, opero sulle sabbie mobili
delle aree di confine.
Il primo
esercizio sarà sui ricordi contenuti ne « Il prigioniero » di Laura
Braghetti per la stima personale che le porto.
Qui però le
faccio le pulci.
1) Spiegazione
del metodo.
La teoria degli atti linguistici di J.L. Austin e J. Searle , nella parte
che interessa a me, considera l’espressione linguistica sotto quattro
differenti punti di vista: come motivo, cioè la ragione psicologica
della comunicazione; come atto locutorio, cioè l’azione di
pronunciare determinate parole o frasi ; come intenzione illocutoria,
cioè il fine che si vuole raggiungere con la comunicazione ; e come effetto
perlocutorio, cioè l’effetto che le parole producono sull'ascoltatore o sul contesto.
Per esempio, se
io dico : « vi spiegherò come decostruisco il testo di Laura
Braghetti » ho un motivo (magari voglio piacervi) , compio un atto
(dico la frase in un certo modo) , ho un’intenzione (voglio spiegarvi questa
cosa), ed ho un effetto (se la capite, se vi annoiate, eccetera).
Perché queste
cose sono utili?
Per evitare un
errore frequente, che è quello di confondere i motivi con le
intenzioni illocutorie, cosa che avviene (spesso) a causa di quello
che Searle chiama la forza dell’atto locutorio, cioè la connotazione con
cui viene espresso il concetto, sia ch’essa passi attraverso le parole, sia
ch’essa passi attraverso il richiamo psicologico dell’intera frase.
Se si analizzano
tutte le fasi del discorso, il vero messaggio viene fuori.
Ad esempio,
quando Moro scrive alla moglie : « Se a Torrita non venite, comincia a
tenermi a Roma o nella Chiesa di Torrita » (L. 67, 25/4/78), è
automatico pensare che stia disponendo del luogo della sua sepoltura.
Questa
convinzione ci viene perché la connotazione della frase - la sua
« forza » - stimola il nostro bias conoscitivo, agendo sulla
precompressione originata fatto di conoscere già la fine della storia. Infatti,
le neuroscienze ci spiegano che il cervello elabora le informazioni attraverso
il filtro dell’ultima che gli è arrivata : sapendo che Moro morirà, noi pensiamo
che stia parlando della sua tomba perché riteniamo normale (in un modello di
razionalità causale) che, chi sa di dover morire, organizzi il luogo delle sue
spoglie.
Ma si tratta di
un anacronismo, perché stiamo giudicando un fatto di allora con gli occhi di
oggi, e sulla base di presunzioni. In effetti, noi non sappiamo con certezza
quale fosse lo stato d’animo di Moro, perché non abbiamo altri riscontri
oltre le sue parole. In questa situazione, gli storici direbbero che il
prigioniero si trova nel caso dell’unus testis descritto da Carlo
Ginsburg, con la conseguenza che le sue affermazioni, per poter essere
considerate valide, devono essere vagliate molto attentamente.
Questo ci porta a
dire che abbiamo alcuni elementi su cui ci possiamo pronunciare ed altri su cui
dobbiamo sospendere il giudizio.
Per esempio, in
questo esempio, non ci possiamo pronunciare sul motivo della frase, per
quanto detto prima; possiamo però esaminare l’atto locutorio, cioè come
è strutturata la frase e quali sono le parole usate, per cercare di capire
quale è l’intenzione illocutoria, cioè il fine di quella frase ed,
eventualmente, il suo effetto perlocutorio.
Ma quale sarebbe
il fine di Moro nel dire: « Se a
Torrita non venite, comincia a tenermi a Roma o nella Chiesa di Torrita »?
Sospeso il
giudizio sul motivo, l’analisi dell’atto locutorio mostra: a)
un’insistenza sul termine Torrita; b) un errore logico: infatti, se i parenti
non possono visitarlo a Torrita, non potranno visitarlo neanche nella Chiesa
di Torrita; c) una particolarità
lessicale : Moro dice venire, anziché andare, così presupponendo che lui si
trovi lì.
Dal punto a) sappiamo che il problema è
Torrita; dal punto b) che non sta parlando della sua tomba; dal punto c) che
l’errore non è causale, dal momento che l’eloquio di Moro è preciso al limite
dell’ossessivo, come dimostrano le sue lezioni di diritto penale.
E’ ragionevole
ritenere che Moro stia indicando che si trova dalle parti di Torrita, e che
quindi l’intenzione illocutoria è di dare un’indicazione geografica.
Quanto all’effetto perlocutorio, in questo caso è nullo perché
l’informazione, se è vera, non è stata colta.
Ovviamente si
tratta di un’ipotesi, non di una certezza e, in quanto ipotesi, ha bisogno di
elementi di validazione. La storia delle indagini ce ne fornisce diversi.
Per esempio, nel 1979 venne scoperta una base delle UCC a Vescovio,
che dista da Torrita solo 17 chilometri. Questa base si era cercata, senza
successo, nella terza settimana dell’aprile 1978, quindi proprio nel momento
in cui viene scritta la lettera, che Miguel Gotor data intorno al 25
aprile.
Si noti anche che
il Lago della Duchessa, dove Moro avrebbe dovuto essere trovato morto il
18/4/78, è nella stessa area : questo potrebbe aprire altre ipotesi sul
« falso comunicato », per esempio che qualcuno lo fece apparire
proprio per orientare le indagini in quell’area.
Ma c’è di più.
Nel settembre del 2020, a Poggio Catino, viene ritrovato un nascondiglio con
armi, volantini e vario materiale delle Brigate rosse. Questo nascondiglio
dista 15
chilometri da Vescovio e 13 da Torrita Tiberina. Quando e quanto
è stato attivo?
Al momento non lo
sappiamo, però possiamo notare che, fra gli oggetti ritrovati, c’erano delle
divise da postino, e le Brigate Rosse utilizzarono le divise da postino nel
dicembre del 1980 per l’omicidio Galvaligi.
Se questo è vero,
nella zona intorno a Torrita c’erano almeno due basi: una è quella di Vescovio
saltata nel 1979, e l’altra è quella mai
scoperta e rimasta in attività dopo l’omicidio Moro. A questo si può aggiungere
che doveva essere una base importante se il nascondiglio di prossimità
conservava oggetti usati per un’azione di « grossa taglia », come un
omicidio.
Insomma, ci sono
vari elementi che portano a immaginare che, nella terza settimana di aprile,
Moro stesse nella zona di Poggio Catino.
Per riassumere,
il metodo si applica cosi: 1) si esaminano i motivi, se ci sono elementi di
riscontro; 2) si fa l’analisi dell’atto locutorio, cioè della frase,
individuandone la « forza » , le ricorrenze, la coerenza, ect. ; 3)
si individua il fine della comunicazione, cioè l’intenzione illocutoria ; 3) si
individuano e valutano gli effetti, cioè l’effetto perlocutorio.
Questo metodo di
lavoro è tanto più utile quanto lo si utilizza per valutare i « particolari
di realtà ».
A cosa mi
riferisco?
Alla teoria
psicolinguistica del « communication grounding » che si concentra sul modo in cui le
persone si riferiscono agli oggetti e agli eventi nel loro ambiente. In questo
quadro,
i « particolari di realtà » solo
quelli che circostanziano in modo preciso il discorso, rendendolo
infraintendibile; delle indicazione precise, che si
riconoscono perché sono spesso
sovrabbondanti
e, a volte, in contraddizione con sue
premesse del testo. Della sua rilevanza dei « particolari di realtà »
parla già lo storico Marc Bloch, pur
se al di fuori di un quadro teorico sistematico, per
sottolinearne la doppia natura : questo tipo di particolare può segnalarci un
aspetto vero dell’evento, e dunque contribuire alla validazione del
racconto, ma anche un aspetto totalmente falso, e quindi la sua
alterazione. In un modo o nell’altro, il « particolare di realtà »
è un clin d’oeil al lettore, il segnale di porre la massima attenzione
al testo. In questo senso la sua analisi risulta molto utile.
Sempre per
utilizzare le lettere di Moro, un esempio di « particolare di realtà »
è nella lettera alla moglie del 27/3/78 (L.4) « il cibo è abbondante e
sano (mangio ora un po’ più di farinacei) » .
La domanda da
porsi è quale è il particolare sovrabbondante, iperpreciso, rispetto all’informazione?
In questo caso è
che ora mangia un po’ più di farinacei.
Anche al
« particolare si realtà » si applica lo schema della teoria degli
atti linguistici.
In primo luogo si
cerca se ci sono riscontri al motivo dell’inserimento del particolare
nella comunicazione: quale situazione psicologica spinge Moro a
darci questa informazione ? (Ad esempio : è contento perché mangia meglio, è
irritato perché ha un’intolleranza ai farinacei…) ; in secondo si analizza
l’atto locutorio, per vedere se il termine o la formulazione della frase
comporta specificità (nel caso di specie, la specificità è nell’uso della
collocazione temporale ORA, ma potrebbe anche essere nel dire
« farinacei » invece di pane, pasta…) ; in terzo si analizza l’intenzione
illocutiva ( a quel fine Moro vuole farci sapere che ora mangia più
farinacei? Per dirci che prima non ne mangiava e che l’alimentazione è cambiata
? Che è cambiato il suo stato di salute?) , infine si valuta l’effetto
perlocutorio, se ce n’è uno.
Queste domande
aprono la porta ad altre considerazioni.
Ad esempio,
sapere che Moro ha cambiato alimentazione può essere rilevante come indizio di
lettere che non sono mai arrivate e in cui si lamentava del vitto; oppure può
essere un’indicazione che è cambiato « il cuoco » della sua
prigionia, cosa che implica un turnover di carcerieri; o ancora un problema di
salute ormai superato (es : l’immobilità forzata per la frattura alle costole
che risulta dalla perizia, mai chiarita).
Sono questioni
interessanti, se messe in contesto, piccole
tessere di un puzzle più ampio.
Per riassumere,
l’esame del « particolare di realtà » si può fare cosi: a) si
identifica il dettaglio chiedendosi quale elemento nel testo è sovrabbondante e
iper-preciso rispetto alla comunicazione ; b) si applica lo schema di
valutazione degli « atti linguistici » come sopra spiegato.
2) Applicazione
del metodo : il caso de « Il prigioniero »
«Il Prigioniero » di Laura Braghetti, scritto attraverso la penna di Paola Tavella, è il libro più delizioso che abbiamo sul caso Moro, e forse sull’esperienza militante in generale. Ci si ritrova una delicatezza di stile, un’attenzione al dettaglio del tutto estranea ai racconti degli uomini per quanto, in genere, ben scritti ; ci si ritrova anche una quantità di sciocchezze del tutto rimarchevole, specialmente per la disinvoltura con cui sono raccontate - si pensi alla storia dello spruzzare i vestiti di Moro con acqua di mare o di dare gran manate di sabbia sotto la Renault 4 « per depistare » (!) , eccetera. Le incongruenze più macroscopiche sono già state notate e discusse, tanto in sede giudiziaria che storica ; qui mi interessa, come premesso, fare un’esercizio di metodo che sottolinei dei particolari poco apparenti. Do per scontato che il lettore conosca già i testi a cui mi riferisco (« Il Prigioniero » di Laura Braghetti, « Brigate Rosse » di Mario Moretti, « Un contadino nella metropoli » di Prospero Gallinari) e tutte le relative problematiche. Qui ne propongo quattro anche se, a rigore, si potrebbe superare la ventina.
a)
Il « particolare di realtà »
che dice troppo : il caso della
scelta dell’appartamento di via Montalcini.
Racconta Laura
Braghetti: « Mario mi informa dei requisiti essenziali: doveva trovarsi
in una zona residenziale compresa tra Magliana e Monteverde, in una strada poco
frequentata, senza vetrine davanti alle quali fermarsi, né panchine sulle quali
leggere il giornale, né capolinea o fermate di autobus. Al primo piano disse,
assolutamente senza portiere, meglio se con un ingresso discreto, il garage
deve essere chiuso ».
Il particolare di
realtà qui si individua confrontando il testo di Laura Braghetti con quello di
Mario Moretti che, in principio, il racconto della brigatista dovrebbe
validare.
Si tratta del
« requisito essenziale … fra Magliana e Monteverde »,
informazione precisa e sovrabbondante rispetto al narrato dal dirigente, che
non la include fra le sue:
« avevamo
cercato un appartamento con certe caratteristiche: poche, ma tassative. Primo,
doveva avere un garage interno, sotterraneo, dove ogni inquilino avesse un suo
box cn tanto di saracinesche dal quale potesse salire con poche scale. (…)
secondo, l’appartamento doveva essere abbastanza grande da poter creare
un’intercapedine che non ne alterasse vistosamente le proporzioni, il box dove
avremmo tenuto Moro ».
Il particolare di
realtà è riscontrato dal fatto che effettivamente le Brigate rosse ebbero una
base in via Montalcini, acquistata da Laura Braghetti.
Seguendo il
metodo di analisi linguistica, procediamo : 1) vaglio dei motivi :
apparentemente non ci sono condizioni psicologiche che spingano Laura Braghetti
a dare questa informazione ; 2) atto locutorio: la formulazione
linguistica insiste sull’essenzialità dell’area geografica e sulla zona
residenziale (non popolare, per esempio, e non industriale) ; 3) intenzione illocutoria : sembrerebbe che
il fine del particolare sia mostrare un adempimento diligente alle direttive,
senza che la militante si renda conto delle implicazioni della sua affermazione
; 4) effetto perlocutorio : la zona non è neutra, quindi il lettore
corre subito, con il pensiero, alla presenza della Banda della Magliana
nell’area.
E’ evidente che
il vaglio di questa informazione porta subito ad un’altra domanda : quali
sono le ragioni logistiche per cui Mario Moretti volle un appartamento proprio
lì?
La questione si è
posta fin da subito ma, fino ad ora, la risposta era stata che casualmente
si era trovato lì un appartamento che soddisfaceva i requisiti di sicurezza ed
agio voluti dall’organizzazione.
Ma perché
bisognerebbe credere a Laura Braghetti sul « requisito essenziale …
Magliana » e non a Mario Moretti, secondo cui la zona fu casuale?
In realtà proprio
per l’assenza di motivi e di una specifica intenzione illocutoria, nel senso
che Laura Braghetti non ha interesse ad aggiungere il particolare, mentre Mario
Moretti ha interesse ad ometterlo.
b) I
« particolari di realtà »
cumulativi : il caso della prima
notte del rapimento.
La prima notte
del rapimento è ricordata da Laura Braghetti con un tocco tutto femminile.
« Mentre mi lavavo i denti e mi infilavo il pigiama tremavo di paura, e prevedevo che il sonno avrebbe tardato a venire. Aprii la porta della mia camera e scoprii che Prospero, con il quale dividevo abitualmente il letto, era stato assegnato al primo turno di guardia, ed era già seduto in studio con il mitra. A Germano toccava il divano letto del soggiorno. Mario avrebbe dormito con me. Ci sdraiammo, rigidi, uno accanto all’altro, tesi e attenti a non sfiorarci. A dispetto delle mie previsioni, caddi in catalessi. A metà della notte mi svegliai (…) Mario, accanto a me, era immobile. Mi alzai e andai in salone. Prospero aveva finito il suo turno ed era abbandonato sul divano. Raggiunsi lo studio: anche Germano dormiva. (…) Sulla branda, nella prigione del popolo, anche Moro era immerso in un sonno profondo ».
In questo brano i « particolari di realtà » sono vari, e costituiscono il quadro per l’ « esame a contrario » di quello che manca, che è l’informazione rilevante.
Infatti, non solo
sappiamo che Laura Braghetti dormì nel letto con Mario Moretti, ma che si
sentivano entrambi a disagio (informazione iper-precisa e sovrabbondante);
non solo che Gallinari e Maccari dormivano, ma che uno era sul divano e
l’altro nello studio (nuovamente una informazione iper-precisa e
sovrabbondante).
Perché vengono
inseriti questi particolari?
Con riguardo all’analisi : 1) motivi : apparentemente, una piccola e giustificata vanità : la soddisfazione di un testo dal valore letterario, e non scarno e asciutto come quelli di Moretti e Gallinari ; 2) atto locutorio : insistenza sulla qualificazione dell’imbarazzo, che era reciproco e doveva essere intenso (rigidi, tesi, attenti a non sfiorarci) e sulla sistemazione « sacrificata » dei militanti, che dormono scomodi almeno quanto Aldo Moro ; 3) intenzione illocutoria : umanizzare i brigatisti e dunque suscitare l’empatia del lettore ; 4) effetto perlocutorio : il lettore è intenerito dalla storia.
Non ci sono
ragioni per mentire, e questi particolari sembrano tutti innocui anche se forse
un po’ manipolativi. Un’altra informazione serve però a completare il quadro
Sappiamo infatti che l’appartamento di via Montalcini, secondo la descrizione
che ne fa Moretti:
è sui cento metri quadri, una cucina, le camere da letto, un salone a forma di elle, lo studio.
Nella base ci sono quindi tre spazi separati per dormire: due camere da letto e lo studio, che si trova accanto al bugigattolo dove è tenuto Moro e dove monta la guardia l’incaricato di turno. Oltre a questo, il salone a forma di elle in cui è aperto il divano letto.
Con così tanto
spazio, perché dunque Mario Moretti va a dormire nel letto con Laura Braghetti,
pur se entrambi provano disagio? Perché la seconda camera era lasciata vuota?
Perché Moretti non dormiva lì, o non ci dormiva Maccari, invece di dormire sul
divano letto in salone?
Anche in questo
caso, la proposizione del problema impone delle ipotesi di risposta, che
possono essere a loro volta esaminate.
La più semplice,
sarebbe che la seconda camera fosse stata attribuita a Moro. E però questo contrasta
con l’affermazione, da tutti ripetuta, che il prigioniero è stato sempre e solo
nello sgabuzzino. Inoltre non si capisce perché i brigatisti non abbiano
ammesso il fatto, totalmente irrilevante nella dinamica del sequestro, e
spiegato semplicemente di aver spostato Moro nella stanza dopo essersi resi
conto che lo sgabuzzino era inadatto : questo accorgimento avrebbe reso molto
più credibile una storia traballante.
Una seconda
ipotesi è che la camera fosse occupata. Ci sarebbero stati allora altri
carcerieri coinvolti nel sequestro, oltre i tre ufficiali.
La terza ipotesi
è che Laura Braghetti stia correttamente descrivendo una scena che si è svolta,
fin nei particolari, alla sua presenza : Moretti nel suo letto, Gallinari sul
divano, « il quarto uomo » che russa con il mitra in mano.
Solo che la scena si è svolta in un altro scenario: quello di una base più
piccola, in cui lo spazio disponibile era limitato, e c’era una sola camera da
letto.
c ) I
« particolari di realtà » nei contrastanti di versione: il caso
dell’arrivo alla base.
Il gruppo
SedicIDImarzo ha già notato che le versioni sull’arrivo
in via Montalcini sono diverse, al punto che ce n’è una per ciascuno dei
carcerieri ; qui possiamo aggiungere una riflessione sui numeri e sulla credibilità.
Dice Laura
Braghetti:
« A un
tratto scorsi la mia automobile che risaliva con calma via Montalcini. Ora
avrei saputo (…) Ero rimasta con Germano, in uno stato di tensione tale che non
potevamo neanche parlare. A un’ora convenuta poi Germano era sceso ad aspettare
il ritorno dei nostri compagni, giù lungo la strada. Passeggiavo avanti e
indietro per un breve tratto di marciapiede. Quando l’auto si avvicinò, vidi Mario
alla guida, Germano seduto accanto a
lui. Prospero li seguiva a piedi (…) »
I
« particolari di realtà » qui sono diversi: Maccari che scende un
tratto di strada per aspettare i compagni,
lei che passeggia su e giù per
il marciapiede, Moretti alla guida della macchina.
Laura Braghetti
non dice che Moretti era sulla Ami 8, né che era solo con Germano : dice solo
che vede la sua macchina, e che vede Moretti alla guida : i collegamenti li
facciamo noi.
Che gli unici
soggetti coinvolti nella scena fossero i quattro carcerieri lo ricaviamo a
contrario, perché non è citato nessun altro e perché, in precedenza, si era
detto che solo la Ami 8 sarebbe arrivata in via Montalcini :
« La Ami
8 era un enorme cassone, esattamente il contrario della macchinetta da città
che una persona della mia età avrebbe dovuto scegliere. Mario però mi aveva
raccomandato di procurarmi un’automobile abbastanza spaziosa da contenere una
cassa, dal momento che quella e soltanto quella era l’auto che avrebbe
raggiunto via Montalcini il giorno del sequestro, trasportando l’ostaggio »
La versione di
Mario Moretti è diversa.
D. : E’ Laura Braghetti che guida fino alla
base »?
R: Si. I
compagni che ci avevano fatto da staffetta si defilano, Gallinari e io andiamo
alla base.
I fatti sono parzialmente
riscontrati da Gallinari, che non parla specificamente né di Laura
Braghetti né di Germano Maccari ma lo lascia intendere:
« Al
parcheggio sotto il supermercato c’è l’ultimo passaggio. Un luogo dove è
normale vedere le persone alle prese con buste e pacchi anche di grandi
dimensioni. Nessuno si meraviglia di una macchina nel cui baule alcuni giovani
stanno caricando una cassa. Il mio tragitto è concluso, l’ultimo tratto spetta
ai padroni di casa. Mi avvio da solo a piedi per rientrare a casa, è il primo
momento in cui riesco a osservare con distacco il mondo che mi sta attorno. La
mattina è bella, i rumori, i movimenti della gente sono quelli di sempre, anche
i profumi della primavera che sta arrivando. ». Il fatto che Gallinari
vada solo è riscontrato da Braghetti.
Chi ha ragione?
Da una parte ci
sono due testimonianze coincidenti e razionali : dà molto meno nell’occhio che
entri in garage la padrona di casa alla guida di una macchina conosciuta, che
non un estraneo; dall’altra una sola,
senza riscontri, ed estrinsecata in un comportamento irrazionale quale è il
passeggiare su e giù sul marciapiede con il pericolo di attirare la curiosità
dei vicini.
Sembrerebbe
allora che abbia ragione Mario Moretti, ma la scomposizione degli enunciati può
aiutare a problematizzare il quadro.
Per poter
comprendere meglio la cosa, dobbiamo però fare un ragionamento sui numeri.
Nella versione di
Moretti, all’apparenza così lineare, l’ Ami 8 parte con Laura Braghetti a bordo
(sola? Maccari non è citato), mentre lui va via con Gallinari.
Fino a quel momento, Moretti afferma di avere
guidato (da solo, per motivi di sicurezza) il furgone in cui è tenuta la cassa
di Moro , scortato da una Dyane con due compagni a bordo che, dopo la Stanza,
si defila. La cassa con Moro viene allora trasferita sulla Ami 8 per continuare
verso via Montalcini.
Ora, è
impensabile che Moretti raggiunga via Montalcini con il furgone, altrimenti
sarebbe stato inutile il trasferimento di Moro. Visto che, evidentemente, non
va a piedi (né lo afferma) , ecco che almeno una seconda macchina arriva
in via Montalcini.
Le macchine sono
già due. Non ci è dato di sapere cosa sia successo al furgone.
Ad ogni modo, se
la seconda macchina la guida Moretti con, a fianco, Maccari almeno da un certo
momenti in poi, chi guida la Ami 8?
E perché
Gallinari è andato a piedi, invece di salire su una delle due macchine?
Vista in questo
modo, la versione di Moretti, in apparenza lineare, si complica. Infatti, né
lui né Braghetti hanno un interesse a negare di essere stati alla guida della
Ami 8, perché la loro situazione processuale non cambierebbe ; al contrario, è
la verità sulla propria posizione che fa emergere un problema : il compagno
sconosciuto che è alla guida.
Con riguardo alla
posizione di Laura Braghetti quindi si può scomporre così:
Versione di Laura Braghetti :
1)
motivi : lasciamoli in
sospeso ; 2) atto locutorio : forte insistenza sull’ansia ; 3) intenzione
illocutoria : può essere di due tipi : a) affermare che si trovava in via
Montalcini per negare di trovarsi alla Standa, cosa di cui non è chiaro il
vantaggio visto che, da un punto di vista processuale non ce n’è nessuno e b)
affermare che si trovava in strada per sottolineare il suo stato di agitazione,
sempre nell’obiettivo di creare empatia nel lettore, conformemente agli
altri passaggi del libro ; 4) effetto perlocutorio : a) secondo un modello di interpretazione
razionale, non le si crede perché l’atto di passeggiare su e giù sul
marciapiede non è congruente con le regole di sicurezza ; b) con
un’interpretazione più elastica, il lettore empatizza con la ragazzina agitata.
Versione di Mario
Moretti :
1) motivi
: lasciamoli in sospeso ; 2) atto locutorio : risposta fredda ed
asciutta ; 3) intenzione illocutoria : anche qui può essere di due tipi;
e cioè a) mostrare che il piano è andato bene ; b) coprire dei compagni mai
risultati a processo ; c) effetto perlocutorio : il lettore crede alla
sua versione.
C’è quindi uno
scontro a livello di effetti perlocutori e di intenzioni illocutorie che però,
così scomposte, cambiano abbastanza il quadro. Infatti, Braghetti non ha
interesse a mentire, e magari sta solo manipolando un po’ il lettore; Moretti
invece ha interesse a mentire, nel nome dell’organizzazione e per nascondere il
compagno; d’altronde, è la stessa cosa che Braghetti fa dicendo che alla guida c’era
Moretti.
Dunque, potrebbe
esserci stato (almeno) un altro
brigatista rimasto fuori dalla narrazione.
Un’altra ipotesi
si presenta però con più urgenza, ed è una soluzione assai meno complicata :
tutta la storia è inventata. C’era stato un piano, è vero, che prevedeva
esattamente il copione raccontato da Moretti e però, per qualche ragione, è
saltato. Moro non è mai arrivato in via Montalcini passando per la Standa di
via dei Colli Portuensi o, almeno, non ci è arrivato il 16 di marzo ; ed è per
questo che nessuno si ricorda esattamente come sono andate le cose, e chi
doveva fare cosa, salvo una persona : lui, il capo, Mario Moretti.
d) Il « particolare di realtà » e lo
sfasamento temporale : il caso del materiale distrutto.
Le borse di Moro
hanno costituito a lungo oggetto di dibattito. Moro ne scrive nelle sue
lettere, chiedendo alla famiglia di recuperarle, cosa che ha sempre fatto
pensare che il contenuto fosse di qualche rilevanza: se, nelle mani dei
sequestratori e in pericolo di vita, il pensiero corre alle borse, quel che c’è
dentro non può essere anodino.
La questione
sembrava però risolta con il ritrovamento di una terza valigia nel bagagliaio
di una delle auto, e la riconsegna di tre delle cinque valigie alla famiglia ;
siccome le altre due erano nelle mani delle Brigate rosse, il numero tornava.
Riguardo a questa
questione, analizzando le memorie di Laura Braghetti scopriamo che le borse non
arrivano in via Montalcini insieme all’ostaggio, ma vengono controllate
in separata sede:
« Poi
qualcuno posò sul tavolo le borse di Moro. Erano già state perquisite per
assicurarsi che non contenessero una microspia o qualunque altro aggeggio che
conducesse la polizia fino a noi. Nella prima trovammo alcune tesi di laurea, due
paia di occhiali di ricambio, francobolli, articoli di cancelleria, poche medicine.
Nella seconda
pratiche ministeriali, il testo della riforma della polizia, lettere di
raccomandazione e ringraziamento, e, particolare che mi colpì moltissimo, la
sceneggiatura di un film. Eravamo esterrefatti: possibile che fosse quello il
materiale di lavoro di uno degli uomini più potenti d’Italia? (…) »
Procedendo alla
scomposizione : 1) Motivi : in
sospeso ; 2) Atto locutorio : elencazione di oggetti, frasi di stupore ;
3) Intenzione illocutoria : sottolineare che le Brigate rosse non sono
mai entrate in possesso di materiale importante, ma solo di una serie di
piccole cose insignificanti ; 4) effetto perlocutorio : l’elencazione
tende ad essere convincente.
Ma cosa ci dicono
i riscontri?
Secondo le
dichiarazioni della vedova, le cinque borse di Moro, ordinato al limite
dell’ossessivo, avevano ciascuna un contenuto, a seconda della funzione. Fra
queste, una conteneva le medicine, lo sfigmomanometro e i vestiti da viaggio;
una l’amministrazione corrente; una le tesi di Laurea e le questioni
universitarie; una le questioni di governo; una le varie ed eventuali. Le
Brigate rosse dovrebbero aver preso la borsa degli effetti personali e quella
delle attività correnti, cioè quelle più utili alla gestione del prigioniero e
più rilevanti dal punto di vista politico.
Come avessero fatto a distinguerle dalle altre, non è dato sapere; le
affermazioni di Laura Braghetti sembrano però validate.
Ma c’è un
particolare. Nel racconto sembra che le borse arrivino quasi subito in via
Montalcini, anche se controllate da « altri » in cerca di
microspie (! Sic) . Non è così: infatti, a dieci giorni dal rapimento, Moro
non ha ancora ricevuto i suoi vestiti da viaggio, perché ne fa menzione
nella sua lettera del 27/3 (L. 4).
Inoltre, Laura
Braghetti racconta di aver dovuto comprare delle medicine quel pomeriggio
stesso, perché quelle che si trovavano nella borsa non erano quelle che voleva
Moro, argomentando con altri particolari di realtà quali la paura di non
riuscire ad acquistarle senza ricetta. Sappiamo che non è così : le Brigate rosse
avevano effettivamente preso la borsa delle medicine, perché gli effetti
personali furono fatti ritrovare nel contenitore dello sfigmomanometro,
secondo quello che riferisce la vedova.
E’ improbabile
che le medicine che voleva Moro non fossero nella borsa in cui dovevano essere
: è più probabile che non fossero a disposizione in quel momento, perché
qualcun altro le esamina in altra sede e a lungo.
Una seconda
questione è perché le borse tornino in via Montalcini se non
contengono niente di interessante e ci
tornino per essere distrutte (come vedremo) e perché invece, se lo
contengono, non sia piuttosto andato Mario Moretti a vederne il contenuto dove
erano.
La storia procede
complicandosi.
Laura Braghetti
infatti racconta di aver distrutto tutto il materiale bruciandolo:
« Anche gli
occhiali di riserva di Moro erano stati frantumati e bruciati (! Sic) in
un piccolo braciere casalingo che puzzava tremendamente. Con un trincetto
distruggemmo le borse di pelle, facendole a pezzettini. »
Anche la cassa
viene distrutta e le carte bruciate.
Il particolare
degli occhiali è piuttosto curioso, perciò analizziamolo:
1) Motivo : sospendiamo il giudizio ; 2) Atto
locutorio : contiene un’impossibilità fisica, perché non si può bruciare
il vetro ; 3) Intenzione illocutoria : dimostrare che le Brigate rosse non hanno
mai avuto documenti importanti da scambiare, e non avevano conservato
oggetti del prigioniero, avendo distrutto tutto ; 4) Effetto
perlocutorio : incredulità dovuta al punto 2 e al nonsenso logico di
disfarsi di oggetti di uso comune in quel momento ed in quel modo.
Il passaggio
quindi fa più male che bene alla credibilità della storia : perché distruggere
gli occhiali e non anche le sovra-lenti da sole o gli orologi? E che senso ha
« fare a pezzi » delle borse di pelle e bruciarle nel braciere
casalingo che puzzava terribilmente, con il rischio di attirare
l’attenzione dei vicini, quando potevano
(semmai) essere smaltite in altro modo?
Anche le carte, di cui si dice che non hanno nessun valore, vengono
bruciate senza una ragione apparente; né si capisce perché venga distrutta la
cassa: eppure, si trattava di un oggetto anonimo, facilmente utilizzabile in
casa (per esempio per contenere gli utensili da giardino), che poteva servire
più tardi nel corso del sequestro (magari per portare Moro fuori
dall’appartamento, invece di metterlo in un cesto di vimini per le scarpe -
sic!) e che, per di più, come ci viene detto, era anche stata pagata cara a un
falegname della suburra.
Ma alcuni «
particolari di realtà » gridano ancora che una verità ci può essere : per
esempio, quando Maccari raccomanda di non gettare le carte fumanti nello
scarico del gabinetto, che potrebbe creparsi, perché questo gli è già successo.
E’ una piccola notazione iper-veristica che non verrebbe mai in mente ad una
donna se non avesse fatto oggetto di discussione. Può darsi allora che, dietro
il racconto della distruzione, ci sia una mezza verità : questi oggetti sono stati eliminati, ma
dopo la morte di Moro e non durante il sequestro. Peraltro, il
pentito Antonio Savasta confermò che i documenti di Moro vennero distrutti da
Gallinari dopo l’omicidio ; essendo Gallinari il compagno di Braghetti, è
probabile che lei sia stata presente e lo abbia aiutato.
Ma c’è una
considerazione molto più importante a latere. Come si è visto, l’intenzione
illocutoria della Braghetti era probabilmente di liberare l’organizzazione
dal sospetto di avere trattenuto carte ed oggetti che sarebbero stati
« scambiati » e, affermando di averli immediatamente distrutti lei stessa,
ritiene di avere risolto il problema.
D’altronde né lei né nessuno dei rapitori fa mai riferimento al fatto
di avere restituito gli oggetti di Moro insieme al cadavere, facendoli
trovare nel bagagliaio della Renault Rossa.
Non li mette
Laura Braghetti, che infatti dice di averli distrutti.
Non li mettono né
Moretti né Maccari, che hanno le mani occupate a tenere la cesta di vimini,
utilizzata per tenere scarpe e giornali (!) in cui Moro viene trasferito in
garage; non li mette Gallinari che resta in casa.
Eppure gli
oggetti sono 24 , racchiusi nel borsello dello sfigmomanometro e quindi
preparati in anticipo.
Troviamo nel verbale di sequestro: 1) portatessere
in pelle ; 2) occhiali rayban ; 2) occhiali da vista ; 3) occhiali da vista; 4)
occhiali da vista; 5) sovra-lenti da sole; 6) una fiaschetta per liquori in
metallo; 7) un orologio; 8) un secondo orologio (!?) ; 9) una penna in metallo;
10) una seconda penna in metallo; 11) un rosario; 12) un portafoglio con
santini , ricordi e assegni; 13) la vera nunziale; 14) un accendino; 15) un
pettine; 16) una catenina; 17) un portachiavi con mazzo di chiavi ; 18) un
secondo portachiavi con le sue chiavi; 19) un mazzo di chiavi; 20) un altro
mazzo di chiavi; 21) un anello con una chiave ; 22) una chiave singola, 23)un
portachiavi ; 24) delle monetine (610 lire).
Chi preparò
questi oggetti, chi li mise nella Renault 4 e quando, se dal garage di via
Montalcini parte subito per via Caetani?
E come fa Laura
Braghetti a non sapere che questi oggetti furono restituiti, se fu fra le
ultime persone a vedere Moro quella mattina, e ad accompagnarlo fin quasi al
bagagliaio dove fu ucciso?
Viene da pensare
che o Laura Braghetti non era in via Montalcini il 9 di maggio, oppure non
c’era Aldo Moro.
Conclusioni
Si potrebbe andare avanti ancora molto, ma spero comunque che queste prime note siano state utili ad aprire una nuova prospettiva.
Come si è visto,
per ogni esempio si è ottenuto un suggerimento - da verificare, certo - ma
comunque interessante: 1) rispetto a Torrita, la possibilità che Moro fosse
tenuto in quell’area ; 2) rispetto ai farinacei, la possibilità che fosse
cambiato « il cuoco » del sequestro ; 3) rispetto alla « prima
notte » , la possibilità che Braghetti non si riferisse a via Montalcini ;
4) rispetto all’arrivo, la possibilità che ci fosse almeno un brigatista in più
; 5) rispetto alla distruzione del materiale, la possibilità che Laura
Braghetti e Aldo Moro non fossero nello stesso luogo il giorno del suo
omicidio, oltre ad altri particolari minori.
***
L’ho letto tutto d’un fiato. Fatta salva la necessità di rileggere per una migliore comprensione taluni passaggi. Interessantissimo contributo che reclama la necessità di fare maggiore chiarezza su in fatto che ha cambiato più di quanto non si pensi la storia della nostra Repubblica.
RispondiEliminaIl precedente commento è mio.
RispondiEliminaBuonasera e grazie per il lavoro che fate, alcune analisi che ho letto nel tempo sono davvero notevoli per profondità e precisione e hanno migliorato molto la mia conoscenza dei fatti, tali e presunti.
RispondiEliminaCon questo mio commento, volevo chiedere a tutti i frequentatori del sito un'opinione sul recente docufilm ,"non è un caso, moro". La mia impressione è che metta al loro posto molte delle cose che non tornavano.
Segue dal commento precedente.
RispondiEliminaSe l'inchiesta su cui si basa il docufilm riporta fatti veri, ecco che tutte le incongruenze del racconto della Braghetti sono spiegabili, così come tutte le contraddizioni nei racconti di lei, Gallinari e Moretti sul tragitto dalla Standa a via Montalcini: tutto completamente inventato.