martedì 27 novembre 2018

ANOMALE VICENDE NEI "COMUNICATI BR" N. 1 E N. 5 ............. (1)


(a cura di:  Andrea Guidi )


INTRODUZIONE

Se i dubbi, non pochi ancora oscuri,  sulla tragica vicenda del sequestro e dell'omicidio dell'On. Aldo Moro e della strage dei cinque uomini della scorta nascono già con riferimento alla dinamica dell'agguato di Via Fani e alla fuga degli assalitori, alcune altre vicende (messaggi falsi, covi scoperti per ragioni idrauliche, trattative vere o presunte, mancata individuazione dei rapitori e segnalazioni ricorrenti di fonti anonime sulla "prigione del popolo" o su altre piste, alcune delle quali degne della massima attenzione quale quella riguardante  Teodoro Spadaccini ed Enrico Triaca che condusse, con ritardo probabilmente evitabile, alla scoperta della tipografia delle BR) contribuiscono parallelamente a creare un alone di opacità su quel tragico gioco delle parti andato in scena nei successivi 55 giorni .

In questo documento prendiamo in esame due di queste vicende, forse non sufficientemente analizzate, e precisamente i contorni  delle consegne dei "comunicati BR" n.1 e n. 5.

Iniziamo sia per ordine di importanza che per ordine cronologico, dalla consegna del comunicato n.1,  al quale era acclusa la foto divenuta tragicamente storica di Aldo Moro,  al quotidiano "Il Messaggero". Questa vicenda potrebbe costituire, a nostro avviso, un chiaro primo indizio del fatto che "il minuetto" di scambi e messaggi incrociati tra le parti in causa iniziò subito, fin dalle prime ore successive al sequestro.


I) IL POSTINO…CHIAMA  SEMPRE DUE VOLTE.

ANALISI DELLA CONSEGNA DEL PRIMO COMUNICATO BR AL QUOTIDIANO "IL MESSAGGERO" DI ROMA.

Come ormai noto, la consegna ufficiale del primo comunicato brigatista con la foto di Aldo Moro prigioniero,  avvenne preannunciata da cinque telefonate effettuate a Roma il 18 marzo, due giorni dopo il sequestro, rispettivamente all'emittente dell'area dell'autonomia operaia "Radio Onda Rossa" di Via dei Volsci (ore 9.30), al quotidiano romano "Il Messaggero" (ore 12.00), alla redazione del TG1 (ore 12.45),  al quotidiano "Vita" (ore 13.00) e all'agenzia "ADN Kronos" (ore 13.30). I luoghi di consegna, collocati tra gli estremi topografici di Piazzale Tiburtino e Piazzale Clodio, con perno nel centro storico, coprirono in sostanza tutto il quadrante da Nord-Ovest a Est della Capitale.
Di queste cinque telefonate, che consentirono  il rinvenimento nei luoghi indicati dall'anonimo telefonista (o forse più correttamente, dagli anonimi telefonisti) di varie copie del comunicato brigatista, la più importante è quella effettuata al quotidiano romano "Il Messaggero", sia perché fu in occasione di questa consegna che venne allegata anche la foto del prigioniero, ma soprattutto perché questa consegna fu  caratterizzata da un antefatto che ancora oggi sembra dover richiedere spiegazioni maggiormente soddisfacenti rispetto a quella con la quale l'episodio parrebbe proprio essere stato frettolosamente archiviato anche in sede storiografica.

Questi i fatti.

Il 18 marzo 1978 era avvenuta, come ufficialmente passato alla storia, la consegna ufficiale del comunicato n.1. Ma in realtà già il 17 marzo, con una telefonata effettuata attorno alle ore 16.00, un anonimo telefonista aveva comunicato a nome delle BR ai cronisti del quotidiano romano di recarsi nel sottopassaggio di Largo Argentina, dicendo che nei pressi di una macchina per foto avrebbero trovato un messaggio delle BR.
Ma i redattori, recatisi sul posto, non trovarono nulla. Pertanto, allorchè il giorno successivo, a seguito di una nuova telefonata che confermava che la busta con il comunicato n. 1 e la foto di Aldo Moro si trovava  proprio sul tetto della macchina per le copie come preannunciato invano già il giorno 17, il redattore Maurizio Salticchioli aveva questa volta effettivamente recuperato la busta, nell'edizione del quotidiano del 19 marzo che ripercorreva gli eventi pubblicando il comunicato delle BR e la foto di Moro fu avanzata l'ipotesi che la telefonata del 17 fosse stata solo una sorta di "prova generale" da parte delle BR, evidentemente per testare l'efficacia del metodo comunicativo che avevano deciso di adottare (e che in effetti adottarono di lì in avanti). In sostanza, il 17 non sarebbe stato lasciato alcun comunicato.
Questo il titolo dell'articolo a pagina 2 dell'edizione del 19 marzo:




 Questa ipotesi è di fatto quella che ancora oggi è posta a fondamento della mancata consegna del comunicato nella giornata del 17 marzo, nonostante non sia affatto convincente, come vedremo, sul piano logico, e abbia trovato espressa smentita nei protagonisti (almeno in via ufficiale) della vicenda, Valerio Morucci su tutti.


Tuttavia, analizzando gli elementi disponibili, si rimane alla fine con la netta sensazione che la vicenda di quella mancata consegna, pur preannunciata con dovizia di dettagli, nella giornata del 17 marzo, costituisca il più classico grumo di polvere da nascondere frettolosamente sotto il tappeto, e ciò da parte di tutti gli attori in causa.
A parte, infatti, l'ipotesi avanzata dalla redazione del "Messaggero", condizionata probabilmente dalla considerazione che sostenere la mera simulazione della prima consegna ben avrebbe potuto costituire per i cronisti la giustificazione più semplice e immediata del mancato ritrovamento da parte loro,  c'è che anche in altri due documenti, di diversa natura, se da un lato l'avvenuta consegna effettiva del comunicato già nella data del 17 viene data per certa, così privando di validità la tesi formulata dal quotidiano romano,  per altro verso la vicenda viene liquidata sommariamente in poche righe.
Iniziamo da uno dei principali protagonisti attivi della vicenda, ovvero Valerio Morucci, sulla cui figura e ruolo avuti nella vicenda non ci dilunghiamo, dandoli per noti al lettore;  scrive in proposito il dissociato (tratto da “Patto di omertà- Il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro: i silenzi e le menzogne della versione brigatista”, Sergio Flamigni, Kaos ed., 2015, pagg. 137-138; eventuali sottolineature sono nostre):
“Venendo ai singoli comunicati emessi durante il sequestro, ricordo che il 17 marzo, di pomeriggio, ricevemmo da (Moretti) il comunicato n.1 che deponemmo poco tempo dopo sulla macchina fotocopiatrice che si trovava nel sottopassaggio di largo Argentina. Subito dopo telefonammo alla redazione del “Messaggero” per indicare il punto in cui era collocata la busta, comunicando altresì che la busta conteneva una foto di Aldo Moro. Senonchè, contrariamente a quanto ci aspettavamo, la mattina del 18 marzo non leggemmo sul “Messaggero” il testo del comunicato. Telefonammo nuovamente alla redazione ...alla quale chiedemmo come mai non fosse stato pubblicato il comunicato n. 1. Ricordo che io chiesi espressamente se per caso non fosse stato imposto ai giornali il black-out sulle notizie. Mi fu risposto che non si trattava di questo ma di altro. Infatti il pomeriggio del 17 i giornalisti erano arrivati nel sottopassaggio di largo Argentina ma non avevano trovato il comunicato. Ripetei che il comunicato n. 1 si trovava sopra la macchina fotocopiatrice di detto sottopassaggio. E quella volta la busta fu trovata..”

Pur tenendo conto che, come è stato variamente notato, “la verità” del memoriale di Morucci è scritta sul presupposto di ciò che già risultava acquisito agli atti, ci pare emerga con chiarezza che non solo la tesi della “prova generale” simulata può essere definitivamente rigettata, ma anche, per converso,  che le cause del mancato rinvenimento del comunicato da parte dei giornalisti nel pomeriggio del 17  non vengono minimamente affrontate.
Sullo stesso piano si pone il volume “Brigate Rosse- Dalle fabbriche alla “campagna di primavera”” , ed. Derive Approdi, 2017, pag. 269, ad opera di Marco Clementi, Paolo Persichetti e Elisa Santelena, autori  - per usare un notevole eufemismo  - di certo non inclini alla “dietrologia”: anche qui la questione della mancata consegna nella giornata del 17 marzo viene liquidata in poche righe, nelle quali si dà per scontato il fatto che comunque il comunicato (con la foto) venne  effettivamente lasciato già il 17 marzo nel sottopassaggio della piazza,aggiungendo, molto sinteticamente, che  “il giornalista de “il Messaggero” non lo trovò”  (nel testo è peraltro presente un errore palese, in quanto la busta con i documenti non fu, come vi si legge lasciata “in una intercapedine laterale” della macchina per le foto, bensì, come confermato anche da Morucci,  sul tetto della macchina stessa, circostanza che come si vedrà non costituisce un mero dettaglio in quanto coinvolgente il livello di accuratezza dichiarata dai redattori del "Messaggero" nel corso dei loro vani controlli del 17 marzo).
D'altronde, oltre che in virtù di questi dati testuali, la tesi della "prova generale", cioè di una consegna simulata, nella giornata del 17, non convince neppure sotto il profilo logico.
In primo luogo, essa  non spiega perchè nella seconda telefonata, quella del 18, colui che chiamava avrebbe dovuto avere remore ad ammettere che molto semplicemente il giorno precedente si era voluto sperimentare la bontà del metodo (cosa tra l'altro che gli stessi redattori del quotidiano adottarono appunto intuitivamente come possibile spiegazione dell'accaduto), anziché, come si vedrà, affermare cose ben diverse e rilevantissime come il possibile prelevamento del messaggio da parte delle forze di “polizia” (anticipiamo che l'intercettazione della telefonata, nella fattispecie, vi fu, e fu ad opera dei Carabinieri).
In secondo luogo, occorre anche considerare il rischio che avrebbe comportato per i detentori dell'ostaggio ripetere la consegna "vera" nello stesso posto già indicato simulatamente per telefono il giorno precedente, a maggior ragione se i sequestratori potevano anche facilmente immaginare- se non addirittura conoscere?- che i telefoni del quotidiano erano intercettati.

 Ci pare quindi evidente che il mancato rinvenimento del comunicato nella giornata del 17 costituisca un evento tutt'altro che da liquidare in poche righe o con ipotesi, per quanto ammissibili in linea teorica, del tutto superficiali.
E' il momento quindi di ripercorrere i fatti ed analizzare i documenti disponibili. Questo è quanto scriveva in merito agli eventi succedutisi il 17 e il 18 marzo il menzionato  articolo "Prima del volantino hanno fatto una prova generale",  apparso a pagina 2 dell'edizione del 19 marzo del "Messaggero":



A nostro avviso, è alla luce della successiva telefonata, quella del 18 marzo, che occorre tentare di interpretare quanto accaduto il 17. In questa direzione, con tutta evidenza lo spunto saliente è nelle parole del telefonista "BR" il quale, come si legge nell'articolo, ipotizzava prima di tutto che "la polizia" fosse arrivata prima dei cronisti in quanto il quotidiano potrebbe avere avuto le linee telefoniche sotto controllo.  E in effetti le cose stavano proprio così.
Le linee telefoniche del "Messaggero" erano state poste sotto intercettazione - c'è da dire con una mira particolarmente precisa, per non dire preveggenza, degli inquirenti - fin dalle ore 1.30 antimeridiane del 17 marzo, in forza del decreto emesso dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, Dr. Infelisi già il 16 marzo stesso.
Agli atti consta infatti (Vol. 112, pagg. 179-180, CM-1) il rapporto della "legione Carabinieri di Roma- Nucleo di Polizia Giudiziari" datato 18 marzo, relativo al servizio di intercettazione espletato – "per sub-delega della Questura di Roma"- dalle ore 1.30 alle ore 23.15 del 17 marzo, rapporto dal quale risulta per l'appunto l'avvenuta intercettazione da parte dei Carabinieri della telefonata di quel giorno al “Messaggero”, di cui si riferiva come segue:


Alla luce della sinteticità del processo verbale appena riprodotto, sarebbe fondamentale poter esaminare la bobina della registrazione, per verificare le esatte parole usate dal telefonista, quel pomeriggio, con il  redattore del "Messaggero", in quanto è sulla corrispondenza tra le indicazioni fornite il 17 e quelle che sarebbero state ripetute nella telefonata del 18, e quindi sulla precisione delle indicazioni fornite nella prima chiamata in ordine al  luogo dove si trovava la busta, che si gioca una buona parte della ricostruzione della vicenda.
Infatti, nel dare il proprio parere in merito al mancato ritrovamento del messaggio il giorno precedente, il redattore del quotidiano Maurizio Salticchioli, ascoltato dalla Digos il 18 marzo a seguito del ritrovamento effettivo, da parte sua, del comunicato delle BR e della foto di Moro il giorno stesso poco dopo le ore 12, dichiarava, tra l'altro, a verbale (Vol. 112, pag. 188, CM-1):


Salticchioli dunque addebita il mancato ritrovamento, il giorno precedente, del comunicato e della foto di Moro, al mancato controllo da parte dei suoi colleghi del tetto della macchina per le foto, dove invece egli li aveva ritrovati sotto delle cartacce poco prima di mettere a verbale davanti alla Digos le sue dichiarazioni quello stesso 18 marzo.  Ma stando a quanto emerge anche dall'articolo del quotidiano poc'anzi riprodotto, Salticchioli non era presente in quel primo tentativo; inoltre, stando alle dichiarazioni dei redattori intervenuti sul luogo il giorno precedente contenute nell'articolo stesso, le cose parrebbero essere andate diversamente, e in un'ultima analisi resta solo la possibilità, veramente sfortunata vien da dire (visto che non parrebbe proprio un compito improbo distinguere con chiarezza anche solo un lembo di una busta commerciale giallo/arancione rispetto a un grumo di “cartacce appallottolate”), che l'unica omissione dei  colleghi di Salticchioli, il 17 marzo,  sia stata quella di non cercare unicamente sotto le cartacce che si trovavano sul tetto.


E d'altra parte- ed è questa una considerazione veramente centrale, come si è accennato, destinata purtroppo a rimanere senza una conferma definitiva qualora non fossero disponibili le bobine dell'intercettazione del 17 marzo- lo stesso Salticchioli il 18 marzo davanti alla Digos afferma, come verificabile nell'estratto del verbale poco sopra riportata, che le "Brigate Rosse" nel corso telefonata del 17  marzo avevano rese proprio "le stesse dichiarazioni"  poi nuovamente rese quel 18 marzo. Se nell'articolo del "Messaggero"  del 19 marzo, come si è visto, i redattori Cubeddu e Pandolfo descrivono l'effettuazione da parte loro, nel pomeriggio del 17 marzo, di un controllo capillare, tetto incluso, della macchina per le foto –eppure senza risultato alcuno - occorre verificare allora cosa venne detto al redattore del "Messaggero" Ezio Pasero – che ricevette la seconda telefonata -  alle ore 12.00 circa del 18, allorchè cioè la ricerca del comunicato BR andò a buon fine. Partiamo ancora una volta dalle dichiarazioni di  Salticchioli, il quale nel sintetizzare tanto la telefonata ricevuta il 18, che lo svolgimento delle sue più fortunate ricerche, dichiara chiaramente che l'informazione ricevuta indicava espressamente il tetto della macchina per le foto: ergo se anche il 17 colui che aveva chiamato aveva fornito "le stesse dichiarazioni  poi ripetute il 18, si deve di necessità supporre che  i suoi colleghi, il giorno precedente, non fossero  di certo andati "alla cieca" e che quindi quanto da essi riportato nell'articolo del quotidiano il 19 marzo in ordine alla completezza delle loro ricerche, fosse chiaramente verosimile. Quello che segue è il verbale integrale della deposizione di Salticchioli alla Digos, già sopra accennato:


In sostanza, pare proprio che la busta con la foto e il comunicato avrebbero dovuto essere in entrambe le occasioni “sul tetto della cabina delle fotocopie”, cioè lì dove la busta venne poi in effetti ritrovata il 18 marzo. Alla luce di quanto sopra, in definitiva ci appare  fortemente limitativo della portata della vicenda ridurre il mancato rinvenimento nel pomeriggio del 17 ad un'ipotetica e sfortunata svista da parte dei redattori accorsi sul posto.
Certo, in linea teorica non ci sfugge – come abbiamo già rilevato- che la tesi espressa sin dal titolo dell'articolo del quotidiano, cioè che si fosse tratto di una simulazione, di una "prova generale", possa essere stata funzionale a togliere i cronisti del "Messaggero" dall'imbarazzo di dover ammettere pubblicamente di avere, il 17 marzo,  controllato la cabina delle foto in modo approssimativo. Tuttavia essi avrebbero ben potuto giustificarsi, pubblicamente, anche sostenendo più banalmente che il mancato ritrovamento da parte loro fosse dipeso dalla (presunta) laconicità e genericità delle indicazioni loro fornite  nella telefonata del 17 marzo;  giustificazione, questa,  che di certo non sarebbe stato possibile per nessuno mettere in dubbio in mancanza di qualsiasi riscontro ufficiale, ancora oggi, su testo esatto di quella conversazione telefonica  (per inciso, il verbale delle intercettazioni del 17 ad opera del Maresciallo dei Carabinieri Mancinelli, almeno nella versione per noi disponibile nelle fonti sopra citate,  non reca alcun timbro di arrivo alla Procura o ad altri organi giurisdizionali: per cui è verosimile ancor oggi che di quella intercettazione la Magistratura non abbia mai conosciuto).
Una volta privata di validità l'ipotesi che il 17 venne esperita – per dirla con il "Messaggero" - una  "prova generale" di consegna, smentita anche da Valerio Morucci, se non ci si vuole arrestare alle altre due ipotesi del controllo accurato ma "sfortunato", oppure  del controllo proprio del tutto approssimativo e sommario, occorre valutare i fatti nel loro insieme e in particolare modo tentare di formulare altre ipotesi su quanto accaduto il 17 proprio alla luce della seconda telefonata, e tenendo sempre in debito conto che la chiamata del giorno precedente era stata intercettata, come si è visto, da parte dei Carabinieri.
Su quanto accaduto il 18, va precisato che se il tenore effettivo della telefonata del 17 marzo, come detto, resta ad oggi sconosciuto, la telefonata del 18, per quanto desumibile dagli atti disponibili, non risulta proprio neppure intercettata, non  è chiaro  se, per ipotesi, in virtù di un limite temporale fissato alla mezzanotte del 17 marzo contenuto nel primo decreto di autorizzazione del Dr. Infelisi emanato il 16 marzo.
Sta di fatto che, intercettata la telefonata il giorno 17, non è neppure dato sapere se e come si mossero i Carabinieri, tanto il 17 che il 18 marzo  (aspetto che ovviamente assume una valenza generale e prescinde dall'eventuale indolenza o meno dei cronisti del "Messaggero" nel ricercare la busta).
Analizziamo pertanto cosa successe il 18 marzo.
Ripercorrendo sia il verbale – si veda sopra- delle dichiarazioni rese il 18 marzo alla Digos da Salticchioli poco dopo avere ritrovato la busta, che l'articolo del "messaggero" del 19 marzo (anche questo sopra riprodotto), alcuni aspetti spiccano particolarmente.
In primo luogo,  il telefonista delle BR sembrerebbe avere lasciato chiaramente intendere, in quella seconda telefonata, che la pubblicazione del comunicato e della foto era attesa e data per scontata da chi deteneva l'ostaggio già nell'edizione del 18 (data evidentemente l'importanza di quanto si voleva far pervenire). Che sia stato per intuito o per altre ragioni, il telefonista delle BR attribuì quindi immediatamente a un intervento delle forze dell'ordine il mancato ritrovamento e la mancata pubblicazione sul quotidiano. Questa precisa convinzione in ordine a un intervento della "polizia"  viene di fatto ribadito dal "telefonista" delle "BR" poco dopo, come emerge chiaramente dal resoconto della telefonata fatto dal cronista Ezio Pasero che l'aveva ricevuta. Infatti alla replica di Pasero che se la "polizia" aveva intercettato prima la busta si poteva procedere con una nuova consegna di identico contenuto,  l'anonimo telefonista ribatteva a sua volta che la busta era ancora al suo posto e che la "polizia" non l'aveva trovata.
E' cioè evidente che le parole del "telefonista"  presupponevano la propria convinzione che in ogni caso la "polizia" – che avesse trovato o meno la busta- dovesse essere accorsa sul luogo. Non solo: le parole del telefonista presupponevano in entrambi i casi l'effettiva deposizione della busta nel luogo indicato già il 17 marzo, e non di certo una mera  "prova generale".
Sicuramente è un peccato che non esista traccia di una trascrizione completa della telefonata del 17, e che non esista traccia neppure dell'avvenuta intercettazione di quella del 18; quanto a quest'ultima, infatti, sarebbe stato di grande aiuto ascoltare anche i toni di chi telefonava, poiché stando alla versione riportata dal redattore Pasero  nell'articolo del 19 marzo, l'insieme delle espressioni usate dal "telefonista" e appena esaminate non lascia molte alternative, se partiamo dall'assunto che la busta fosse stata effettivamente depositata già il 17 pomeriggio: o colui che telefonò, chiunque fosse,  conosceva perfettamente che il giorno 17 la busta era stata intercettata prima che arrivassero i cronisti del quotidiano e che i telefoni erano sotto controllo; e allora tutta la telefonata del 18 sembrerebbe costituire una "rappresentazione" di portata più vasta e con finalità eterogenee, rispetto alle quali consentire  l'effettivo recupero della busta il 18 avrebbe potuto costituire il mezzo, e non il fine. Oppure  che il "telefonista"  rimase realmente sorpreso in occasione di questa telefonata, allorchè Pasero riferì di non aver ricevuto alcun comunicato il giorno prima,  e si sia reso conto proprio in questo frangente che qualcosa di poco chiaro doveva essere accaduto, il giorno precedente,  preferendo a quel punto, per tagliar corto, concludere che molto semplicemente la "polizia" non aveva trovato il comunicato e la foto di Moro, che dunque erano ancora lì dal giorno prima.
In secondo luogo, altro aspetto rilevante,  Salticchioli riferisce di un uomo (la cui descrizione, per inciso, non pare proprio affatto corrispondere alla fisionomia di Valerio Morucci, a partire dall'età dimostrata) intento a controllare con tutta evidenza l'effettivo recupero  della busta; nulla del genere viene invece descritto da Cubeddu e Pandolfo nel corso dei loro vani tentativi del giorno prima. Naturalmente, su questa presenza nemmeno troppo discreta potrebbero farsi le più varie ipotesi, nonostante la spiegazione fornita a suo tempo da Valerio Morucci, secondo il quale, come riporta il così detto "memoriale",  lui e Adriana Faranda rimasero defilati a verificare l'effettivo ritiro del plico.
E' quindi evidente, a questo punto, che a dispetto delle scarne narrazioni, variamente limitative della portata di questa vicenda, viceversa a nostro parere assai rilevante, occorre invece tentare di formulare altre  ipotesi su cosa potrebbe essere accaduto tra il 17 e il 18 marzo 1978 in occasione della consegna del primo comunicato delle BR e della “prima” foto di Aldo Moro prigioniero, che partano comunque dall'assunto che quella del 17 non fu una "prova generale" bensì una prima consegna effettiva. In quest'ottica, già illustrate le possibilità – e le correlate argomentazioni di segno opposto- che il mancato ritrovamento in quella prima occasione possa essere dipeso o da una sfortunata coincidenza oppure da un controllo eccessivamente sommario da parte dei primi cronisti del "Messaggero" intervenuti, resterebbero inevitabilmente alcune ipotesi alternative, tutte più o meno inquietanti.
 Si deve necessariamente tenere in considerazione in ogni caso un dato oggettivo difficilmente eludibile: delle cinque telefonate del giorno 18, di cui si è detto, la consegna al "Messaggero" è l'unica che reca anche  l'unico originale della foto di Aldo Moro prigioniero che era possibile concretamente ottenere con il tipo di macchina fotografica utilizzata  (una Polaroid istantanea in uso in quegli anni e senza rilascio di negativi riproducibili): ergo, qualora il messaggio fosse stato anticipatamente recuperato dalla "polizia" (per dirla con l'anonimo telefonista)  il giorno 17, delle due l'una: o il 18 marzo venne riconsegnata da chi l'aveva presa la stessa identica busta con identico contenuto,  oppure venne consegnata da chi deteneva il prigioniero  una nuova busta con una nuova e diversa foto scattata in fretta e furia all'Onorevole Moro.  Cosa, quest'ultima,  che se verificatasi implicherebbe ovviamente l'esistenza di un'altra foto del prigioniero, ad oggi ignota. Tuttavia, per quanto diremo tra poco quest'ultima ci pare un'ipotesi poco probabile.
Occorre altresì tenere conto del fatto che solo il 18 marzo, ma non anche il 17, almeno da quanto risulta, furono avvertiti telefonicamente non più il solo "Messaggero" ma anche gli altri quattro mezzi di informazione che abbiamo ricordato all'inizio, ai quali furono fatte pervenire copie del comunicato n.1 (ovviamente non della foto, riproducibile come abbiamo detto in un unico originale, consegnato quello stesso 18 marzo al "Messaggero").  Questa circostanza sembra chiaramente far deporre nel senso che chi deteneva il prigioniero, resosi conto (probabilmente già nella stessa serata del 17  per la mancata diffusione di una qualsiasi notizia di un fatto tanto importante)  che qualcosa era andato storto in quella prima consegna,  dovette evidentemente avere preso in seria considerazione la possibilità che il giorno prima un qualche "blocco" della "polizia" doveva esserci stato, e per il giorno successivo operò in modo tale da rendere praticamente certa la consegna del comunicato agli organi di informazione. Un indizio di ciò ci sembra si possa ravvisare nel fatto che la prima delle telefonate del 18 marzo, con largo anticipo sulle altre (ore 9.30) , fu fatta questa volta a "Radio Onda Rossa" , quasi cioè a voler manifestare concretamente l'idea, di chi deteneva il prigioniero, che il canale rappresentato dal "Messaggero" fosse ormai ritenuto fortemente a rischio.
Ed è proprio la "primogenitura" della chiamata a "Radio Onda Rossa" in questo nuovo tentativo di consegna del comunicato, che ci convince definitivamente del fatto – data l'importanza che aveva per i detentori dell'ostaggio che contestualmente avvenisse anche la  consegna della foto di Aldo Moro- che il 18 marzo chi chiamò di nuovo non aveva più, molto probabilmente, la disponibilità di quell'unica fotografia, poiché altrimenti verosimilmente l'avrebbe lasciata ai redattori di "Radio Onda Rossa", e non al "Messaggero": ergo, il 17 marzo il deposito della busta con la foto di Moro era effettivamente avvenuta e non si era trattato di una simulazione. Ma se le cose stanno così- e a nostro parere stanno così- gli interrogativi si spostano su altro elemento difficilmente comprensibile: perché, infatti, il 18 marzo Salticchioli rinviene nella busta non una ma cinque copie del comunicato n. 1?  E' mai stato chiesto conto a qualche ex protagonista, o presunto tale, del confezionamento di quella busta, se in essa furono inserite fin dall'inizio proprio cinque copie del comunicato?  Se si, perché, a quale scopo fornire cinque copie identiche al medesimo destinatario? Ma se invece così non fosse accaduto, cosa si dovrebbe supporre? 
In questo secondo caso  la risposta sarebbe, con tutta evidenza, che se per ipotesi la busta depositata il 17 aveva in origine un contenuto diverso da quella ritrovata il 18, quella variazione, e i suoi sottintesi - chiunque ne fosse stato l'autore e quali ne fossero le finalità -  avrebbero potuto essere "recepiti"  solo da chi aveva confezionato quella originale.
Tiriamo quindi le fila, e,  sul presupposto che chi chiamò il 18 marzo fosse effettivamente in stretto contatto con chi deteneva l'ostaggio (tralasciamo quindi altre ipotesi ancora più inquietanti che presupporrebbero una chiamata proveniente, invece, da “altri”, cosa che non abbiamo alcun elemento per poter supporre), ci pare che le altre ipotesi possibili in alternativa alla sfortuna o al lassismo dei redattori del "Messaggero", siano, in linea teorica :
- A) che nel pomeriggio del 17 la busta con il comunicato e la foto siano state effettivamente recuperate da "altri" prima che giungessero i redattori del "Messaggero", e che poi chi la recuperò, forse dopo accurato esame preventivo, rimise nello stesso posto quella stessa busta, con quegli stessi fogli e quella stessa foto originale. In tal caso, la telefonata fatta il 18 potrebbe lasciar trasparire che colui che telefonò, resosi conto che i giornalisti potessero effettivamente non aver trovato la busta in quanto già prelevata da "altri",  e che poi – previa intuitiva verifica sul luogo antecedente alla telefonata, non scevra da rischi - proprio la stessa busta era stata rimessa nello stesso posto, abbia come si suol dire "mangiato la foglia" e avesse optato per l'unica via di uscita possibile, ossia di tagliare corto affermando in conclusione della telefonata, come abbiamo già ipotizzato,   che molto semplicemente la busta  non era stata trovata dalle forze dell'ordine ed era ancora lì dal giorno 17;
- B) oppure che nel pomeriggio del 17 la busta con il comunicato e la foto siano state effettivamente recuperate da "altri" prima che giungessero i redattori del "Messaggero", ma che, diversamente dall'ipotesi precedente, chi deteneva l'ostaggio, accortosi del fatto, provvide, pur con i rischi del caso, a ricollocare nello stesso luogo altre copie del messaggio e una nuova diversa foto di Aldo Moro: come si è detto, ciò implicherebbe di necessità l'esistenza di un'altra foto del prigioniero, ad oggi ignota.
Ci chiediamo nuovamente, tuttavia, con riferimento ad entrambe le ipotesi: dato che chi deteneva l'ostaggio dovette  quanto meno verificare sul luogo che la busta fosse ancora al suo posto, o, in alternativa, a maggior ragione recarvisi per metterne un'altra, una volta intercettata dai Carabinieri la chiamata del 17, quel luogo fu presidiato oppure no dalle forze dell'ordine? Vi fu un coordinamento tra Carabinieri e Questura? Purtroppo nulla del genere consta negli atti per noi disponibili.
Segnaliamo infine per completezza, come se di stranezze non ce ne fossero già abbastanza, con riferimento alla citata consegna effettuata a "Radio Onda Rossa" a seguito della prima ricordata telefonata delle ore 9.30, che il redattore della radio Mirco Tosi, recatosi nel luogo indicato (cestino dei rifiuti adiacente la fermata del bus linea 71, a Piazzale Tiburtino) , trovò effettivamente la busta con la copia del comunicato n.1, ma non trovò invece la copia del "Corriere della Sera" all'interno della quale l'anonimo telefonista, a dire del redattore Osvaldo Miniero che aveva consegnato il comunicato alla polizia (Vol. 112, pag. 189, CM-1),  aveva preannunciato che si sarebbe trovata la busta. Forse la colpa fu di un ignaro passante amante della lettura delle copie di scarto dei quotidiani?
Viste le ipotesi che si sono formulate o anche solo ventilate, viene veramente in qualche modo da augurarsi, quali cittadini della Repubblica fiduciosi nelle Istituzioni, che, come ipotizzato dall'articolo del "Messaggero",  la mancata consegna del giorno 17 sia stata unicamente dovuta al fatto che i sequestratori simularono ciò che avrebbero posto realmente in essere l'indomani per effettuare un test di prova del loro metodo, oppure che il mancato ritrovamento dipese da un controllo fin troppo sommario dei primi redattori del "Messaggero" accorsi.

(segue)

1 commento:

  1. il fulcro per me sta in questa frase"na volta intercettata dai Carabinieri la chiamata del 17, quel luogo fu presidiato oppure no dalle forze dell'ordine? Vi fu un coordinamento tra Carabinieri e Questura? Purtroppo nulla del genere consta negli atti per noi disponibili." Pare evidente che se il luogo fosse stato attentamente presidiato si sarebbero ottenuti subito risultati molto importanti.Sempre che lo si volesse..

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