(a cura di: Andrea Guidi )
INTRODUZIONE
Se i dubbi, non pochi ancora oscuri, sulla tragica vicenda del sequestro e dell'omicidio dell'On. Aldo Moro e della strage dei cinque uomini della scorta nascono già con riferimento alla dinamica dell'agguato di Via Fani e alla fuga degli assalitori, alcune altre vicende (messaggi falsi, covi scoperti per ragioni idrauliche, trattative vere o presunte, mancata individuazione dei rapitori e segnalazioni ricorrenti di fonti anonime sulla "prigione del popolo" o su altre piste, alcune delle quali degne della massima attenzione quale quella riguardante Teodoro Spadaccini ed Enrico Triaca che condusse, con ritardo probabilmente evitabile, alla scoperta della tipografia delle BR) contribuiscono parallelamente a creare un alone di opacità su quel tragico gioco delle parti andato in scena nei successivi 55 giorni .
In questo documento prendiamo in
esame due di queste vicende, forse non sufficientemente analizzate, e
precisamente i contorni delle consegne
dei "comunicati BR" n.1 e n. 5.
Iniziamo sia per ordine di
importanza che per ordine cronologico, dalla consegna del comunicato n.1, al quale era acclusa la foto divenuta
tragicamente storica di Aldo Moro, al
quotidiano "Il Messaggero". Questa vicenda potrebbe costituire, a
nostro avviso, un chiaro primo indizio del fatto che "il minuetto" di
scambi e messaggi incrociati tra le parti in causa iniziò subito, fin dalle
prime ore successive al sequestro.
I) IL POSTINO…CHIAMA SEMPRE DUE VOLTE.
ANALISI DELLA CONSEGNA DEL PRIMO COMUNICATO BR AL QUOTIDIANO "IL
MESSAGGERO" DI ROMA.
Come ormai noto, la consegna
ufficiale del primo comunicato brigatista con la foto di Aldo Moro
prigioniero, avvenne preannunciata da cinque
telefonate effettuate a Roma il 18 marzo,
due giorni dopo il sequestro, rispettivamente all'emittente dell'area
dell'autonomia operaia "Radio Onda Rossa" di Via dei Volsci (ore
9.30), al quotidiano romano "Il Messaggero" (ore 12.00), alla
redazione del TG1 (ore 12.45), al
quotidiano "Vita" (ore 13.00) e all'agenzia "ADN Kronos"
(ore 13.30). I luoghi di consegna, collocati tra gli estremi topografici di
Piazzale Tiburtino e Piazzale Clodio, con perno nel centro storico, coprirono
in sostanza tutto il quadrante da Nord-Ovest a Est della Capitale.
Di queste cinque telefonate, che
consentirono il rinvenimento nei luoghi
indicati dall'anonimo telefonista (o forse più correttamente, dagli anonimi
telefonisti) di varie copie del comunicato brigatista, la più importante è
quella effettuata al quotidiano romano "Il Messaggero", sia perché fu
in occasione di questa consegna che venne allegata anche la foto del
prigioniero, ma soprattutto perché questa consegna fu caratterizzata da un antefatto che ancora
oggi sembra dover richiedere spiegazioni maggiormente soddisfacenti rispetto a
quella con la quale l'episodio parrebbe proprio essere stato frettolosamente
archiviato anche in sede storiografica.
Questi i fatti.
Il 18 marzo 1978 era avvenuta,
come ufficialmente passato alla storia, la consegna ufficiale del comunicato
n.1. Ma in realtà già il 17 marzo, con una telefonata effettuata
attorno alle ore 16.00, un anonimo telefonista aveva comunicato a nome delle BR
ai cronisti del quotidiano romano di recarsi nel sottopassaggio di Largo
Argentina, dicendo che nei pressi di una macchina per foto avrebbero trovato un
messaggio delle BR.
Ma i redattori, recatisi sul
posto, non trovarono nulla. Pertanto,
allorchè il giorno successivo, a seguito di una nuova telefonata che confermava
che la busta con il comunicato n. 1 e la foto di Aldo Moro si trovava proprio sul tetto della macchina per le copie
come preannunciato invano già il giorno 17, il redattore Maurizio Salticchioli
aveva questa volta effettivamente recuperato la busta, nell'edizione del
quotidiano del 19 marzo che ripercorreva gli eventi pubblicando il comunicato
delle BR e la foto di Moro fu avanzata l'ipotesi che la telefonata del 17 fosse
stata solo una sorta di "prova generale" da parte delle BR,
evidentemente per testare l'efficacia del metodo comunicativo che avevano
deciso di adottare (e che in effetti adottarono di lì in avanti). In sostanza,
il 17 non sarebbe stato lasciato alcun comunicato.
Questo il titolo dell'articolo a pagina 2 dell'edizione del 19 marzo:
Tuttavia, analizzando gli
elementi disponibili, si rimane alla fine con la netta sensazione che la vicenda di quella mancata consegna, pur
preannunciata con dovizia di dettagli, nella giornata del 17 marzo, costituisca
il più classico grumo di polvere da nascondere frettolosamente sotto il tappeto, e ciò da parte di tutti gli attori in causa.
A parte, infatti, l'ipotesi
avanzata dalla redazione del "Messaggero", condizionata probabilmente
dalla considerazione che sostenere la mera simulazione della prima consegna ben
avrebbe potuto costituire per i cronisti la giustificazione più semplice e
immediata del mancato ritrovamento da parte loro, c'è che anche in altri due documenti, di
diversa natura, se da un lato l'avvenuta consegna effettiva del comunicato già
nella data del 17 viene data per certa, così privando di validità la tesi
formulata dal quotidiano romano, per
altro verso la vicenda viene liquidata sommariamente in poche righe.
Iniziamo da uno dei principali
protagonisti attivi della vicenda, ovvero Valerio Morucci, sulla cui figura e
ruolo avuti nella vicenda non ci dilunghiamo, dandoli per noti al lettore; scrive in proposito il dissociato (tratto da
“Patto di omertà- Il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro: i silenzi e le
menzogne della versione brigatista”, Sergio Flamigni, Kaos ed., 2015, pagg.
137-138; eventuali sottolineature sono nostre):
“Venendo ai singoli comunicati
emessi durante il sequestro, ricordo che il 17 marzo, di pomeriggio,
ricevemmo da (Moretti) il comunicato n.1 che deponemmo poco tempo
dopo sulla macchina fotocopiatrice che si trovava nel sottopassaggio di largo
Argentina. Subito dopo telefonammo alla redazione del “Messaggero” per indicare
il punto in cui era collocata la busta, comunicando altresì
che la busta conteneva una foto di Aldo Moro. Senonchè, contrariamente
a quanto ci aspettavamo, la mattina del 18 marzo non leggemmo sul
“Messaggero” il testo del comunicato. Telefonammo nuovamente alla redazione
...alla quale chiedemmo come mai non fosse stato pubblicato il comunicato n. 1.
Ricordo che io chiesi espressamente se per caso non fosse stato imposto ai
giornali il black-out sulle notizie. Mi fu risposto che non si trattava
di questo ma di altro. Infatti il pomeriggio del 17 i
giornalisti erano arrivati nel sottopassaggio di largo Argentina ma non
avevano trovato il comunicato. Ripetei che il comunicato
n. 1 si trovava sopra la macchina fotocopiatrice di detto
sottopassaggio. E quella volta la busta fu trovata..”
Pur tenendo conto che, come è
stato variamente notato, “la verità” del memoriale di Morucci è scritta sul
presupposto di ciò che già risultava acquisito agli atti, ci pare emerga con
chiarezza che non solo la tesi della “prova generale” simulata può essere
definitivamente rigettata, ma anche, per converso, che le
cause del mancato rinvenimento del comunicato da parte dei giornalisti nel
pomeriggio del 17 non vengono minimamente affrontate.
Sullo stesso piano si pone il volume “Brigate Rosse- Dalle fabbriche
alla “campagna di primavera”” , ed. Derive Approdi, 2017, pag. 269, ad
opera di Marco Clementi, Paolo Persichetti e Elisa Santelena, autori - per usare un notevole eufemismo - di certo non inclini alla “dietrologia”:
anche qui la questione della mancata consegna nella giornata del 17 marzo
viene liquidata in poche righe, nelle quali si dà per scontato il fatto
che comunque il comunicato (con la foto) venne
effettivamente lasciato già il 17 marzo nel sottopassaggio
della piazza,aggiungendo, molto sinteticamente, che “il giornalista de “il Messaggero” non lo
trovò” (nel testo è peraltro presente un errore palese,
in quanto la busta con i documenti non fu, come vi si legge lasciata “in
una intercapedine laterale” della macchina per le foto, bensì, come
confermato anche da Morucci, sul
tetto della macchina stessa, circostanza che come si vedrà non
costituisce un mero dettaglio in quanto coinvolgente il livello di accuratezza
dichiarata dai redattori del "Messaggero" nel corso dei loro vani
controlli del 17 marzo).
D'altronde, oltre che in virtù di
questi dati testuali, la tesi della "prova generale", cioè di una
consegna simulata, nella giornata del 17, non convince neppure sotto il profilo
logico.
In primo luogo, essa non spiega perchè nella seconda telefonata,
quella del 18, colui che chiamava avrebbe dovuto avere remore ad ammettere che
molto semplicemente il giorno precedente si era voluto sperimentare la bontà
del metodo (cosa tra l'altro che gli stessi redattori del quotidiano adottarono
appunto intuitivamente come possibile spiegazione dell'accaduto), anziché, come
si vedrà, affermare cose ben diverse e rilevantissime come il possibile
prelevamento del messaggio da parte delle forze di “polizia” (anticipiamo che
l'intercettazione della telefonata, nella fattispecie, vi fu, e fu ad opera dei
Carabinieri).
In secondo luogo, occorre anche
considerare il rischio che avrebbe comportato per i detentori dell'ostaggio
ripetere la consegna "vera" nello stesso posto già indicato
simulatamente per telefono il giorno precedente, a maggior ragione se i
sequestratori potevano anche facilmente immaginare- se non addirittura
conoscere?- che i telefoni del quotidiano erano intercettati.
Ci pare quindi evidente che il mancato
rinvenimento del comunicato nella giornata del 17 costituisca un evento
tutt'altro che da liquidare in poche righe o con ipotesi, per quanto
ammissibili in linea teorica, del tutto superficiali.
E' il momento quindi di
ripercorrere i fatti ed analizzare i documenti disponibili. Questo è quanto
scriveva in merito agli eventi succedutisi il 17 e il 18 marzo il
menzionato articolo "Prima del volantino hanno fatto una prova generale", apparso a pagina 2 dell'edizione del 19 marzo
del "Messaggero":
A nostro avviso, è alla luce
della successiva telefonata, quella del 18 marzo, che occorre tentare di
interpretare quanto accaduto il 17. In questa direzione, con tutta evidenza lo
spunto saliente è nelle parole del telefonista "BR" il quale, come si
legge nell'articolo, ipotizzava prima di tutto che "la polizia" fosse
arrivata prima dei cronisti in quanto il quotidiano potrebbe avere avuto le
linee telefoniche sotto controllo. E in
effetti le cose stavano proprio così.
Le linee telefoniche del
"Messaggero" erano state poste sotto intercettazione - c'è da dire
con una mira particolarmente precisa, per non dire preveggenza, degli
inquirenti - fin dalle ore 1.30 antimeridiane del 17 marzo, in forza del
decreto emesso dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, Dr. Infelisi
già il 16 marzo stesso.
Agli atti consta infatti (Vol.
112, pagg. 179-180, CM-1) il rapporto della "legione Carabinieri di
Roma- Nucleo di Polizia Giudiziari" datato 18 marzo, relativo al
servizio di intercettazione espletato – "per
sub-delega della Questura di Roma"- dalle ore 1.30 alle ore 23.15 del
17 marzo, rapporto dal quale risulta per l'appunto l'avvenuta
intercettazione da parte dei Carabinieri della telefonata di quel
giorno al “Messaggero”, di cui si riferiva come segue:
Alla luce della sinteticità del
processo verbale appena riprodotto, sarebbe fondamentale poter esaminare la
bobina della registrazione, per verificare le esatte parole usate dal
telefonista, quel pomeriggio, con il
redattore del "Messaggero", in quanto è sulla corrispondenza
tra le indicazioni fornite il 17 e quelle che sarebbero state ripetute nella
telefonata del 18, e quindi sulla precisione delle indicazioni fornite nella
prima chiamata in ordine al luogo dove
si trovava la busta, che si gioca una buona parte della ricostruzione della
vicenda.
Infatti, nel dare il proprio
parere in merito al mancato ritrovamento del messaggio il giorno precedente, il
redattore del quotidiano Maurizio Salticchioli, ascoltato dalla Digos il 18
marzo a seguito del ritrovamento effettivo, da parte sua, del comunicato delle
BR e della foto di Moro il giorno stesso poco dopo le ore 12, dichiarava, tra
l'altro, a verbale (Vol. 112, pag. 188, CM-1):
Salticchioli dunque addebita il
mancato ritrovamento, il giorno precedente, del comunicato e della foto di
Moro, al mancato controllo da parte dei suoi colleghi del tetto della macchina
per le foto, dove invece egli li aveva ritrovati sotto delle cartacce poco
prima di mettere a verbale davanti alla Digos le sue dichiarazioni quello
stesso 18 marzo. Ma stando a quanto
emerge anche dall'articolo del quotidiano poc'anzi riprodotto, Salticchioli non
era presente in quel primo tentativo; inoltre, stando alle dichiarazioni dei
redattori intervenuti sul luogo il giorno precedente contenute nell'articolo
stesso, le cose parrebbero essere andate diversamente, e in un'ultima analisi resta solo la possibilità, veramente
sfortunata vien da dire (visto che non parrebbe proprio un compito improbo
distinguere con chiarezza anche solo un lembo di una busta commerciale
giallo/arancione rispetto a un grumo di “cartacce appallottolate”), che l'unica omissione dei colleghi di Salticchioli, il 17 marzo, sia stata quella di non cercare unicamente
sotto le cartacce che si trovavano sul tetto.
E d'altra parte- ed è questa una
considerazione veramente centrale, come si è accennato, destinata purtroppo a
rimanere senza una conferma definitiva qualora non fossero disponibili le
bobine dell'intercettazione del 17 marzo- lo stesso Salticchioli il 18 marzo
davanti alla Digos afferma, come verificabile nell'estratto del verbale poco
sopra riportata, che le "Brigate Rosse" nel corso telefonata del
17 marzo avevano rese proprio "le
stesse dichiarazioni"
poi nuovamente rese quel 18 marzo. Se nell'articolo del
"Messaggero" del 19 marzo,
come si è visto, i redattori Cubeddu e
Pandolfo descrivono l'effettuazione da parte loro, nel pomeriggio del 17 marzo,
di un controllo capillare, tetto incluso, della macchina per le foto
–eppure senza risultato alcuno - occorre verificare allora cosa venne detto
al redattore del "Messaggero" Ezio Pasero – che ricevette la seconda
telefonata - alle ore 12.00 circa del
18, allorchè cioè la ricerca del comunicato BR andò a buon fine. Partiamo
ancora una volta dalle dichiarazioni di
Salticchioli, il quale nel sintetizzare tanto la telefonata ricevuta il
18, che lo svolgimento delle sue più fortunate ricerche, dichiara chiaramente
che l'informazione ricevuta indicava espressamente il tetto della macchina per le foto: ergo se anche il 17
colui che aveva chiamato aveva fornito "le stesse dichiarazioni poi ripetute il 18, si deve di necessità supporre che
i suoi colleghi, il giorno precedente, non fossero di certo andati "alla cieca" e
che quindi quanto da essi riportato nell'articolo del quotidiano il 19 marzo in
ordine alla completezza delle loro ricerche, fosse chiaramente verosimile.
Quello che segue è il verbale integrale della deposizione di Salticchioli alla
Digos, già sopra accennato:
In sostanza, pare proprio che la
busta con la foto e il comunicato avrebbero dovuto essere in entrambe le
occasioni “sul tetto della cabina delle fotocopie”, cioè lì
dove la busta venne poi in effetti ritrovata il 18 marzo. Alla luce di quanto
sopra, in definitiva ci appare
fortemente limitativo della portata della vicenda ridurre il mancato
rinvenimento nel pomeriggio del 17 ad un'ipotetica e sfortunata svista da parte
dei redattori accorsi sul posto.
Certo, in linea teorica non ci
sfugge – come abbiamo già rilevato- che la tesi espressa sin dal titolo
dell'articolo del quotidiano, cioè che si fosse tratto di una simulazione, di
una "prova generale", possa essere stata funzionale a togliere i
cronisti del "Messaggero" dall'imbarazzo di dover ammettere
pubblicamente di avere, il 17 marzo,
controllato la cabina delle foto in modo approssimativo. Tuttavia essi
avrebbero ben potuto giustificarsi, pubblicamente, anche sostenendo più
banalmente che il mancato ritrovamento da parte loro fosse dipeso dalla
(presunta) laconicità e genericità delle indicazioni loro fornite nella telefonata del 17 marzo; giustificazione, questa, che di certo non sarebbe stato possibile per
nessuno mettere in dubbio in mancanza di qualsiasi riscontro ufficiale, ancora oggi, su testo esatto di quella
conversazione telefonica (per inciso, il
verbale delle intercettazioni del 17 ad opera del Maresciallo dei Carabinieri
Mancinelli, almeno nella versione per noi disponibile nelle fonti sopra
citate, non reca alcun timbro di arrivo
alla Procura o ad altri organi giurisdizionali: per cui è verosimile ancor oggi
che di quella intercettazione la Magistratura non abbia mai conosciuto).
Una volta privata di validità
l'ipotesi che il 17 venne esperita – per dirla con il "Messaggero" -
una "prova generale" di
consegna, smentita anche da Valerio Morucci, se non ci si vuole arrestare alle
altre due ipotesi del controllo accurato ma "sfortunato", oppure del controllo proprio del tutto
approssimativo e sommario, occorre valutare i fatti nel loro insieme e in
particolare modo tentare di formulare
altre ipotesi su quanto accaduto il 17 proprio alla luce della seconda
telefonata, e tenendo sempre in debito conto che la chiamata del giorno
precedente era stata intercettata, come si è visto, da parte dei
Carabinieri.
Su quanto accaduto il 18, va
precisato che se il tenore effettivo della telefonata del 17 marzo, come detto,
resta ad oggi sconosciuto, la telefonata del 18, per quanto desumibile dagli
atti disponibili, non risulta proprio neppure intercettata, non è chiaro
se, per ipotesi, in virtù di un limite temporale fissato alla mezzanotte
del 17 marzo contenuto nel primo decreto di autorizzazione del Dr. Infelisi
emanato il 16 marzo.
Sta di fatto che, intercettata la
telefonata il giorno 17, non è neppure dato sapere se e come si mossero i
Carabinieri, tanto il 17 che il 18 marzo
(aspetto che ovviamente assume una valenza generale e prescinde
dall'eventuale indolenza o meno dei cronisti del "Messaggero" nel
ricercare la busta).
Analizziamo pertanto cosa
successe il 18 marzo.
Ripercorrendo sia il verbale – si
veda sopra- delle dichiarazioni rese il 18 marzo alla Digos da Salticchioli
poco dopo avere ritrovato la busta, che l'articolo del "messaggero"
del 19 marzo (anche questo sopra riprodotto), alcuni aspetti spiccano
particolarmente.
In primo luogo, il telefonista delle BR sembrerebbe avere
lasciato chiaramente intendere, in quella seconda telefonata, che la
pubblicazione del comunicato e della foto era attesa e data per scontata da chi
deteneva l'ostaggio già nell'edizione del 18 (data evidentemente l'importanza
di quanto si voleva far pervenire). Che sia stato per intuito o per altre
ragioni, il telefonista delle BR
attribuì quindi immediatamente a un
intervento delle forze dell'ordine il mancato ritrovamento e la mancata
pubblicazione sul quotidiano. Questa precisa convinzione in ordine a un
intervento della "polizia"
viene di fatto ribadito dal "telefonista" delle "BR"
poco dopo, come emerge chiaramente dal resoconto della telefonata fatto dal
cronista Ezio Pasero che l'aveva ricevuta. Infatti alla replica di Pasero che
se la "polizia" aveva intercettato prima la busta si poteva procedere
con una nuova consegna di identico contenuto,
l'anonimo telefonista ribatteva a sua volta che la busta era ancora al
suo posto e che la "polizia"
non l'aveva trovata.
E' cioè evidente che le parole
del "telefonista" presupponevano la propria convinzione che in ogni caso la "polizia"
– che avesse trovato o meno la busta- dovesse
essere accorsa sul luogo. Non solo: le parole del telefonista presupponevano in entrambi i casi
l'effettiva deposizione della busta nel luogo indicato già il 17 marzo, e non
di certo una mera "prova
generale".
Sicuramente è un peccato che non
esista traccia di una trascrizione completa della telefonata del 17, e che non
esista traccia neppure dell'avvenuta intercettazione di quella del 18; quanto a
quest'ultima, infatti, sarebbe stato di
grande aiuto ascoltare anche i toni di chi telefonava, poiché stando alla
versione riportata dal redattore Pasero
nell'articolo del 19 marzo, l'insieme delle espressioni usate dal
"telefonista" e appena esaminate non lascia molte alternative, se partiamo dall'assunto che la busta fosse
stata effettivamente depositata già il 17 pomeriggio: o colui che telefonò,
chiunque fosse, conosceva perfettamente che
il giorno 17 la busta era stata intercettata prima che arrivassero i
cronisti del quotidiano e che i telefoni
erano sotto controllo; e allora tutta la telefonata del 18 sembrerebbe
costituire una "rappresentazione" di portata più vasta e con finalità
eterogenee, rispetto alle quali consentire
l'effettivo recupero della busta il 18 avrebbe potuto costituire il mezzo, e non il fine. Oppure che il
"telefonista" rimase realmente
sorpreso in occasione di questa telefonata, allorchè Pasero riferì di non
aver ricevuto alcun comunicato il giorno prima,
e si sia reso conto proprio in questo frangente che qualcosa di poco
chiaro doveva essere accaduto, il giorno precedente, preferendo a quel punto, per tagliar corto,
concludere che molto semplicemente la "polizia" non aveva trovato il
comunicato e la foto di Moro, che dunque erano ancora lì dal giorno prima.
In secondo luogo, altro aspetto
rilevante, Salticchioli riferisce di un
uomo (la cui descrizione, per inciso, non pare proprio affatto corrispondere
alla fisionomia di Valerio Morucci, a partire dall'età dimostrata) intento
a controllare con tutta evidenza l'effettivo recupero della busta; nulla del genere viene invece
descritto da Cubeddu e Pandolfo nel corso dei loro vani tentativi del giorno
prima. Naturalmente, su questa presenza nemmeno troppo discreta potrebbero
farsi le più varie ipotesi, nonostante la spiegazione fornita a suo tempo da
Valerio Morucci, secondo il quale, come riporta il così detto
"memoriale", lui e Adriana
Faranda rimasero defilati a verificare l'effettivo ritiro del plico.
E' quindi evidente, a questo
punto, che a dispetto delle scarne narrazioni, variamente limitative della
portata di questa vicenda, viceversa a nostro parere assai rilevante, occorre
invece tentare di formulare altre
ipotesi su cosa potrebbe essere accaduto tra il 17 e il 18 marzo 1978
in occasione della consegna del primo comunicato delle BR e della “prima” foto
di Aldo Moro prigioniero, che partano comunque dall'assunto che quella del 17
non fu una "prova generale" bensì una prima consegna effettiva. In
quest'ottica, già illustrate le possibilità – e le correlate argomentazioni di
segno opposto- che il mancato ritrovamento in quella prima occasione possa
essere dipeso o da una sfortunata coincidenza oppure da un controllo
eccessivamente sommario da parte dei primi cronisti del "Messaggero"
intervenuti, resterebbero inevitabilmente
alcune ipotesi alternative, tutte più o meno inquietanti.
Si deve necessariamente tenere in
considerazione in ogni caso un dato
oggettivo difficilmente eludibile: delle cinque telefonate del giorno 18,
di cui si è detto, la consegna al
"Messaggero" è l'unica che reca anche l'unico
originale della foto
di Aldo Moro prigioniero che era possibile concretamente ottenere con il
tipo di macchina fotografica utilizzata
(una Polaroid istantanea in uso in quegli anni e senza rilascio di
negativi riproducibili): ergo, qualora il messaggio fosse stato anticipatamente
recuperato dalla "polizia" (per dirla con l'anonimo telefonista) il giorno 17, delle due l'una: o il 18 marzo venne
riconsegnata da chi l'aveva presa la stessa identica busta con identico
contenuto, oppure venne
consegnata da chi deteneva il
prigioniero una nuova busta con una nuova e
diversa foto scattata in fretta e furia all'Onorevole Moro. Cosa, quest'ultima, che se verificatasi implicherebbe ovviamente l'esistenza di un'altra foto del
prigioniero, ad oggi ignota. Tuttavia,
per quanto diremo tra poco quest'ultima ci pare un'ipotesi poco probabile.
Occorre altresì tenere conto del
fatto che solo il 18 marzo, ma non anche
il 17, almeno da quanto risulta, furono
avvertiti telefonicamente non più il solo "Messaggero" ma anche gli altri quattro mezzi di
informazione che abbiamo ricordato all'inizio, ai quali furono fatte
pervenire copie del comunicato n.1 (ovviamente non della foto, riproducibile
come abbiamo detto in un unico originale, consegnato quello stesso 18 marzo al
"Messaggero"). Questa
circostanza sembra chiaramente far deporre nel senso che chi deteneva il prigioniero,
resosi conto (probabilmente già nella stessa serata del 17 per la mancata diffusione di una qualsiasi
notizia di un fatto tanto importante)
che qualcosa era andato storto in quella prima consegna, dovette evidentemente avere preso in seria
considerazione la possibilità che il giorno prima un qualche "blocco"
della "polizia" doveva esserci stato, e per il giorno successivo
operò in modo tale da rendere praticamente certa la consegna del comunicato
agli organi di informazione. Un indizio
di ciò ci sembra si possa ravvisare nel fatto che la prima delle telefonate del
18 marzo, con largo anticipo sulle altre (ore 9.30) , fu fatta questa volta a
"Radio Onda Rossa" , quasi cioè a voler manifestare concretamente
l'idea, di chi deteneva il prigioniero, che il canale rappresentato dal
"Messaggero" fosse ormai ritenuto fortemente a rischio.
Ed è proprio la "primogenitura" della chiamata a
"Radio Onda Rossa" in questo nuovo tentativo di consegna del
comunicato, che ci convince definitivamente del fatto – data l'importanza che aveva per i detentori dell'ostaggio che
contestualmente avvenisse anche la
consegna della foto di Aldo Moro- che il 18 marzo chi chiamò di nuovo
non aveva più, molto probabilmente, la disponibilità di quell'unica fotografia,
poiché altrimenti verosimilmente l'avrebbe lasciata ai redattori di "Radio
Onda Rossa", e non al "Messaggero": ergo, il 17 marzo il deposito della busta con la foto di Moro era
effettivamente avvenuta e non si era trattato di una simulazione. Ma se le
cose stanno così- e a nostro parere stanno così- gli interrogativi si spostano
su altro elemento difficilmente comprensibile: perché, infatti, il 18 marzo Salticchioli rinviene nella busta non una
ma cinque copie del
comunicato n. 1? E' mai stato chiesto conto a qualche ex protagonista, o presunto tale, del
confezionamento di quella busta, se in
essa furono inserite fin dall'inizio proprio cinque copie del
comunicato? Se si, perché, a quale scopo fornire cinque copie
identiche al medesimo destinatario? Ma se
invece così non fosse accaduto, cosa si dovrebbe supporre?
In questo secondo caso la risposta sarebbe, con tutta evidenza, che se per ipotesi la busta depositata il 17
aveva in origine un contenuto diverso da quella ritrovata il 18, quella
variazione, e i suoi sottintesi - chiunque ne fosse stato l'autore e quali ne
fossero le finalità - avrebbero potuto
essere "recepiti" solo da chi
aveva confezionato quella originale.
Tiriamo quindi le fila, e, sul presupposto che chi chiamò il 18 marzo
fosse effettivamente in stretto contatto con chi deteneva l'ostaggio
(tralasciamo quindi altre ipotesi ancora più inquietanti che presupporrebbero
una chiamata proveniente, invece, da “altri”, cosa che non abbiamo alcun elemento per poter supporre), ci
pare che le altre ipotesi possibili in alternativa alla sfortuna o al lassismo
dei redattori del "Messaggero", siano, in linea teorica :
- A) che nel pomeriggio del 17 la
busta con il comunicato e la foto siano state effettivamente recuperate da
"altri" prima che giungessero i redattori del "Messaggero",
e che poi chi la recuperò, forse dopo accurato esame preventivo, rimise nello
stesso posto quella stessa busta, con quegli stessi fogli e quella stessa foto
originale. In tal caso, la telefonata fatta il 18 potrebbe lasciar trasparire
che colui che telefonò, resosi conto che i giornalisti potessero
effettivamente non aver trovato la busta in quanto già prelevata da
"altri", e che poi –
previa intuitiva verifica sul luogo antecedente alla telefonata, non scevra da
rischi - proprio la stessa busta era stata rimessa nello stesso
posto, abbia come si suol dire "mangiato la foglia" e avesse
optato per l'unica via di uscita possibile, ossia di tagliare corto affermando
in conclusione della telefonata, come abbiamo già ipotizzato, che molto semplicemente la busta non era stata trovata dalle forze dell'ordine
ed era ancora lì dal giorno 17;
- B) oppure che nel pomeriggio
del 17 la busta con il comunicato e la foto siano state effettivamente
recuperate da "altri" prima che giungessero i redattori del
"Messaggero", ma che, diversamente dall'ipotesi precedente, chi
deteneva l'ostaggio, accortosi del fatto, provvide, pur con i rischi del caso,
a ricollocare nello stesso luogo altre copie del messaggio e una nuova diversa
foto di Aldo Moro: come si è detto, ciò
implicherebbe di necessità l'esistenza di un'altra foto del prigioniero, ad
oggi ignota.
Ci chiediamo nuovamente,
tuttavia, con riferimento ad entrambe le ipotesi: dato che chi deteneva
l'ostaggio dovette quanto meno
verificare sul luogo che la busta fosse ancora al suo posto, o, in alternativa,
a maggior ragione recarvisi per metterne un'altra, una volta intercettata
dai Carabinieri la chiamata del 17, quel luogo fu presidiato oppure no dalle
forze dell'ordine? Vi fu un coordinamento tra Carabinieri e Questura? Purtroppo nulla del genere consta negli atti
per noi disponibili.
Segnaliamo infine per
completezza, come se di stranezze non ce ne fossero già abbastanza, con
riferimento alla citata consegna effettuata a "Radio Onda Rossa" a
seguito della prima ricordata telefonata delle ore 9.30, che il redattore della
radio Mirco Tosi, recatosi nel luogo indicato (cestino dei rifiuti adiacente la
fermata del bus linea 71, a Piazzale Tiburtino) , trovò effettivamente la busta con la copia del comunicato n.1, ma non
trovò invece la copia del "Corriere della Sera" all'interno della
quale l'anonimo telefonista, a dire del redattore Osvaldo Miniero che aveva
consegnato il comunicato alla polizia (Vol. 112, pag. 189, CM-1), aveva preannunciato che si sarebbe trovata la
busta. Forse la colpa fu di un ignaro passante amante della lettura delle copie
di scarto dei quotidiani?
Viste le ipotesi che si sono
formulate o anche solo ventilate, viene veramente in qualche modo da augurarsi,
quali cittadini della Repubblica fiduciosi nelle Istituzioni, che, come ipotizzato
dall'articolo del "Messaggero",
la mancata consegna del giorno 17 sia stata unicamente dovuta al fatto
che i sequestratori simularono ciò che avrebbero posto realmente in essere
l'indomani per effettuare un test di prova del loro metodo, oppure che il
mancato ritrovamento dipese da un controllo fin troppo sommario dei primi
redattori del "Messaggero" accorsi.
(segue)
il fulcro per me sta in questa frase"na volta intercettata dai Carabinieri la chiamata del 17, quel luogo fu presidiato oppure no dalle forze dell'ordine? Vi fu un coordinamento tra Carabinieri e Questura? Purtroppo nulla del genere consta negli atti per noi disponibili." Pare evidente che se il luogo fosse stato attentamente presidiato si sarebbero ottenuti subito risultati molto importanti.Sempre che lo si volesse..
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