sabato 24 febbraio 2018

SUL CASO DEL COL. GUGLIELMI - RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Ospitiamo un articolo di Maurizio Barozzi sulla figura del Col. Guglielmi.                        

Il documento riflette, ovviamente, il pensiero dell' autore che è quindi l'unico responsabile delle affermazioni, dei documenti e delle foto in esso contenuti.  Buona lettura. 

(Agg.to 4 febbraio 2020)


RAPIMENTO MORO: 
LO “STRANO” CASO DI CAMILLO GUGLIELMI

di Maurizio  Barozzi

«Per quanto si conosce non è possibile comprovare, al di fuori di ogni ragionevole dubbio, ipotesi dietrologiche su la presenza (a ridosso della strage e rapimento Moro), del colonnello Camillo Guglielmi (nelle vicinanze di via Fani).
Deve quindi ritenersi che fu una coincidenza occasionale  per ragioni private anche se, come vedremo,  non sono del tutto campate in aria ipotesi e supposizioni di altra natura?
Ma soprattutto, il complesso di questa vicenda, non torna affatto e introduce sconcerto e perplessità».


     
Da diversi anni, l’Affaire Moro, si trascina dietro uno “strano caso” che, a seconda di chi lo prospetta e lo affronta, assume aspetti  cospirativi e dietrologici oppure, viceversa, viene ridotto a  una semplice casualità e coincidenza.
Si tratta della presenza, in ora non ben precisata, ma dicesi verso le o9,30   attorno a via Fani, dove alle ore 09,02 circa e in pochi minuti  si era consumato l’agguato e il rapimento di Moro con la strage di 5 agenti di scorta, del Colonnello dei carabinieri Camillo Guglielmi, in borghese e che asserì di stare
andando a trovare un amico, residente in via Stresa 117, in una palazzina dove alcuni anni prima aveva anche abitato con la moglie e i figli, a circa un 150 metri (meno di 100 in linea d’aria) dall’incrocio incriminato di via Fani.
Fatto sta che per i motivi che più avanti dettaglieremo, la faccenda uscita fuori solo 12
anni dopo la strage, assunse aspetti dubitativi e sconcertanti, tanto da sconfinare nella dietrologia e oltretutto a carico del colonnello Guglielmi, benché deceduto, è stato aperto ed è tuttora pendente un fascicolo presso la Procura generale della Repubblica di Roma proprio in relazione al suo ipotizzato coinvolgimento nella strage.
Riportare oggi alle sue esatte dimensioni questo caso non è compito affatto facile, ma soprattutto è necessario riassumere e fornire informazioni e notizie esatte e comprovate, visto che hanno circolato, dal 1991, quando uscì fuori la storia del Guglielmi in via Fani, fino ad oggi, tutta una serie di imprecisioni, dati inesatti o alterati.
Il fatto è che il caso Moro è talmente pieno di informazioni sbagliate o distorte, di leggende e vere e proprie bufale, che è facile si formino illazioni e sospetti di ogni genere, ma d’altro canto è anche pieno di omissioni, depistaggi, malaccorti o fraudolenti comportamenti da parte di uomini delle Istituzioni o dei Servizi di sicurezza, che ogni illazione, ogni sospetto, ogni ipotesi “cospirativa” diviene inevitabile.
L’appartenenza di tanti generali, graduati, ufficiali, e uomini dello Stato nella massonica P2, dove comunque la si pone, si era soggetti a vincoli di “fratellanza massonica” e quindi a fare e ottenere favori, ottemperare a richieste, era d’obbligo, non attestano certo uno svolgimento di quegli eventi del tutto naturale. E meno ancora non influente era il fatto che in virtù degli esiti bellici e di accordi e protocolli successivi, nonché della nostra adesione al Patto Atlantico, i nostri vertici militari erano subordinati agli alti vertici Nato mentre, al contempo i nostri Servizi sono sempre stati in una condizione non paritaria  e sfavorevole rispetto a quelli statunitensi, per esempio.
A nostro avviso è in questo contesto che vanno ricercate le ragioni di comportamenti non limpidi, dei depistaggi e peggio.
Qui poi stiamo parlando di un colonnello dei carabinieri che aveva lavorato per i Servizi, anche magari non facendone parte, che sarà poi ufficialmente  nei Servizi (il Sismi) pochi mesi dopo la vicenda Moro, anche se in quel fatidico marzo 1978 non era nei Servizi, un ufficiale che aveva fatto da addestratore agli uomini delle Gladio e che la mattina dell’agguato a Moro si trovava, e la cosa non era stata detta, ma era uscita fuori da strane “confidenze” 12 anni dopo, a pochi metri dal luogo della strage.
Inevitabile tutto lo scatenarsi di congetture ed ipotesi cospirative che ne sono seguite.


Chi era Camillo Guglielmi
        Camillo Guglielmi, classe 1924, al 18 novembre 1977 rivestiva nei carabinieri il grado di colonnello “a disposizione”, mentre l’11 aprile 1978, in pieno sequestro Moro, risultava collocato in ausiliaria nella “forza in congedo della regione tosco emiliana di Firenze”, così come lo attesta il suo stato di servizio che precedentemente lo definisce anche “addetto allo Stato Maggiore Difesa-Sifar” dall’agosto 1961 e poi ufficiale addetto al Sid in qualità di insegnante aggiunto di Polizia militare dal 1967 al 1968. Divenne quindi capo nucleo dell’Ispettorato censura militare del Raggruppamento unità speciali del Sid sempre con incarico di insegnante aggiunto.
Dal 1972 al 1974 è anche comandante del gruppo nuclei di sicurezza carabinieri.
Nel 1972 il capo del Sid, generale Vito Miceli, in una nota informativa, all’incarico di comandante del nucleo sicurezza,  vi aggiunge la frase criptica “in contemporanea con altro incarico preminente” conseguendo “ottimi risultati”.
Se ne deduce, come rileva il giudice Carlo Mastelloni, ex giudice istruttore e dal 2014 procuratore della Repubblica a Trieste, nel suo libro “Cuore di Stato”, Ed. Mondadori 2017 (che sottolineiamo non condivide ipotesi “complottiste” sul Guglielmi e di cui parleremo più avanti), che questo ufficiale ha formato fisicamente fior di Gladiatori anche nel periodo 15 febbraio 1971 – 31 dicembre 1971 e il Miceli gli rivolge gli stessi elogi il 6 giugno 1974.
E’ bene sottolineare che all’addestramento di Gladiatori non necessariamente doveva essere preposto un ufficiale della Gladio o dei Servizi, per cui aver addestrato gladiatori non fa di Guglielmi automaticamente, un uomo di Gladio.
La giornalista Rita di Giovacchino il 13 Novembre 2014, sul blog del “Il Fatto Quotidiano” si chiese: “Chi era Gugliemi?”, e si rispose:Un ufficiale del Sismi, in servizio presso la base Nato di Capo Marrargiu in Sardegna con il precipuo compito di addestrare i gladiatori civili e militari in operazione di “sbarco e assalto”. A rigor di ruolino di servizio la definizione non è esatta, perchè Gluglelmi entrò nel Sismi, dopo il rapimento Moro, ma nel complesso di una carriera che  avendo anche risvolti di Intelligente, va vista con occhi introspettivi e non solo burocratici, la Di Giovacchino potrebbe non aver poi del tutto torto.
Il  procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli trovò il nome di Guglielmi in un appunto manoscritto del generale Gianadelio Maletti del Sid, datato 13 febbraio 1973:Camillo Guglielmi compare – scrive il pg Ciampoli – tra gli argomenti trattati nel colloquio di lavoro che lo stesso Maletti, quale direttore dell’Ufficio D del Sid, ebbe in quella data con il capo del Servizio, generale Vito Miceli”.
Il testo del messaggio è incomprensibile ai più:
«El Al: reazioni Ele/Ric/Ben Yerus», seguito da una linea di divisione e da alcune note del capo del Servizio. Riguardano lo spostamento e l’impiego di un gruppo di quattro ufficiali, probabilmente in relazione a questioni mediorientali: De Magistris, Guglielmi, Giovannelli e Giovannone.
Se ne deduce quindi che Guglielmi all’inizio degli anni ’70, “veniva impiegato dal capo del Sid in operazioni internazionali” ed essendo il suo nome accostato a quello di Giovannelli, dirigente del Centro addestramento paracadutisti (Caps), egli svolgeva “un ruolo nel campo degli addestramenti speciali”.
Ha raccontato alla nuova Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro (2014 – 2017), il procuratore militare di Padova, Sergio Dini, che proprio negli anni 1972-73 (il periodo a cui risale l’appunto su Guglielmi) vi fu una notevole insistenza da parte del generale Maletti affinché la base sarda di Capo Marrargiu (centro operativo e di addestramento della Gladio italiana) fosse posta a disposizione del personale dell’Ufficio D per lo svolgimento di “esercitazioni molto particolari”.
Tra il febbraio ’72 e il maggio ’73 sono stati effettuati quattro corsi: tre riguardanti l’uso e le tecniche degli esplosivi e un corso di guerriglia, complessivamente per una quarantina di agenti segreti.
L’ultimo corso del ’73, sia teorico che pratico, verteva sulle “forme di guerriglia urbana, la tecnica dell’imboscata, gli obiettivi e i compiti della guerriglia negli abitati e in azioni di campagna”.
Attività “particolari” per l’ufficio difesa, come sottolineava il procuratore militare Dini alla Commissione stragi, che riporta:
« Per quanto riguarda Guglielmi, nel 1965 partecipò alla prima esercitazione di personale dell’Ufficio D a Capo Marrargiu. Non c’è solo la citazione «Guglielmi presente a Capo Marrargiu», ma ci sono diversi documenti in cui viene indicato esattamente il programma del corso e, giorno per giorno, quello che è stato fatto. Si andava appunto da tecniche di imboscata e guerriglia urbana a tecniche di trappolamento ed esplosivi su materiale ferroviario».
E ancora: «Tra il personale che fu utilizzato per questi addestramenti particolari (…) vi sono i nomi di alcuni soggetti che, in qualche modo, sono stati portati alla ribalta da successive indagini su fatti eversivi”. Come “l’ufficiale Guglielmi, proprio quell’ufficiale invitato a colazione nelle immediate vicinanze di via Fani alle ore 9,30 del 16 marzo 1978» (Vedi: Sergio Dini, alla CPM2, Seduta del 7/10/2015).
Per non tralasciare nulla accenniamo anche al fatto che due perplessità sono state avanzate:  la prima sul fatto che forse Guglielmi ha, si partecipato agli addestramenti di gladiatori e uomini dei Servizi, ma senza farne formalmente parte. Ma questo ci sembra poco probabile alla luce che è stato a lungo in questi servizi ricoprendo incarichi di rilievo,  e comunque non cambierebbe di molto la funzione di Guglielmi pur sempre attigua alle Intelligence.
Secondo che nel corso della sua carriera è documentato  ha acquisito, conoscenze tecniche definite di “antiguerriglia” ovvero guerriglia urbana, di trappolamento ecc., ma  non risulterebbe, invece, che abbia mai svolto il ruolo di addestratore, visto che lo stesso Ravasio indica Alfonso e Decimo Garau gli istruttori di Capo Marrangiu. Anche qui, è poco credibile, ma se proprio lo vogliamo mettere in relazione ad un possibile ruolo avuto da Guglielmi in via Fani, le cose non cambierebbero di molto visto che tecniche di guerriglia urbana e trappolamento bastano e avanzano.
Il Guglielmi poi assunse il comando Gruppo Carabinieri dal settembre 1974 al settembre 1977 a Parma e quindi a Modena dove fino al 14 aprile 1978 è inquadrato nella Quarta brigata con sede a Modena e poi, fino al  gennaio 1979 nella Regione militare in forza di congedo.
Torna quindi ufficialmente nei Servizi militari, ora Sismi, lo stesso 22 gennaio  1979 come direttore di Sezione con l’incarico di dirigere la sezione che si occupava dell’affidabilità dei dipendenti di Forte Braschi (secondo quanto riferì l’ex ministro della Difesa Cesare Previti, audito in Commissione stragi), ma il 1 luglio 1978 (quindi dopo il delitto Moro) Guglielmi, aveva preso incarichi presso il Sismi, seppur in qualità di consulente “esperto”, rapporto che si consolidò in breve tempo fino alla sua assunzione ufficiale nel Servizio segreto militare, in data, come accennato, al 22 gennaio 1979).
Guglielmi infine lasciò il Sismi il 31 dicembre dello stesso anno e sarà poi nella forza in congedo dal 1980 al 1984.
Nella sua scheda di servizio, acquisita dal procuratore generale di Roma Luigi Ciampoli presso gli archivi dei Servizi di sicurezza, si illustrano i compiti e le funzioni dell’Ufficio R, Controllo e Sicurezza VII Sezione  del Sismi di Guglielmi (un servizio costituito solo dall’ottobre 1978): 
Fare la scorta a importanti personaggi del Sismi, agli ospiti stranieri del Servizio, la vigilanza alla sala riunioni della Nato e alla villa del generale Santovito (allora direttore del Sismi, ndr), le indagini disciplinari, la scorta a valori di denaro del Servizio e agli aerei”.
Incarichi rilevanti, delicati,  quindi per il servizio segreto militare.
Questa la ricostruzione dei ruolini di Servizio del Guglielmi, da cui, in ogni caso, appare evidente, come ha anche sottolineato la nuova Commissione Moro, che la figura del colonnello è ritenuta, a vario titolo (in virtù di esperienze pregresse e del suo successivo servizio alle dipendenze del SISMI), riconducibile ad ambienti dei servizi di Intelligence.
Guglielmi, infatti, è stato istruttore a capo Marrargiu la base di addestramento delle Gladio, e proprio nelle tecniche di guerriglia (anche lasciando perdere le imboscate), e come rivelato, nel marzo 2003  da Famiglia Cristiana, dal quotidiano Liberazione e dalla rubrica del Tg3 Primo Piano, il mese precedente (febbraio ‘78)  il rapimento Moro aveva partecipato o comunque era compreso nella esercitazione, "Rescue imperator"  organizzata dal Raggruppamento unità speciale-Stay Behind (cioè Gladio), poi realizzata nella notte del 12 febbraio, da cinque squadre "K" armate ed equipaggiate con materiale degli incursori del Comsubin in accordo con i carabinieri della Legione Lazio. Vi si citano luoghi (Campo Imperatore, vicino al lago della Duchessa, Magliano Sabina e il Monte Soratte).
Questo risulterebbe, dai dispacci del tempo per "Rescue Imperator", datati rispettivamente 6 e 10 febbraio 1978, dove si cita il "gruppo Guglielmi", che deve restare "in attesa del materiale" e di eventuali nuovi ordini presso il Centro addestramento guastatori di Alghero.
E’ il periodo in cui Guglielmi, ufficialmente, risultava collocato in ausiliaria nella “forza in congedo della regione tosco emiliana di Firenze”.
Alcuni hanno anche parlato di omonimia, ma senza troppo convincere e quindi se questa segnalazione documentale è corretta, il Guglielmi si troverebbe anche inserito nell’organico di una esercitazione riguardante protocolli militari di guerriglia e antiguerriglia in ambiti Atlantico e che  assomiglia ad  una specie di "prova generale" dell’operazione “smeraldo” di liberazione di Moro ordinata un mese e mezzo dopo da Cossiga al Comsubin il Raggruppamento Subacquei ed Incursori  della Marina Militare e poi abortita.
Camillo Guglielmi morì per un attacco di cuore a gennaio del 1992.

In conclusione sul Guglielmi.
        Con quanto si conosce non è possibile sostenere che il Guglielmi quella mattina, a ridosso della strage, fosse in servizio o ebbe ordini dai Servizi segreti (quali? a marzo ‘78 ancora non era entrato nel Sismi), per svolgere compiti che alcuni hanno ipotizzato di evitare la strage, altri di osservarla nei suoi particolari e qualcuno addirittura di coordinarla  per agevolare il compito dei brigatisti, magari per coadiuvare certi “gladiatori” visto che il Guglielmi era esperto di tecniche di guerriglia e imboscate o ancora che il colonnello abbia fatto parte di tutto un progetto logistico, allestito attorno alla zona dell’agguato e vie di fuga, sfruttando tutti i “punti di appoggio” stanziali che si potevano avere in quella zona, ma ripetiamo tutta questa dietologia non è  provabile.
Dubbi ce ne sono, e vedremo quali, ma in un tribunale, per esempio, non potrebbero trovare sostegno.
Questa faccenda, però, non è liquidabile con la sola  escussione dei ruolini e stati di servizio dell’ufficiale, perché se consideriamo che non tutti gli incarichi segreti di Intelligence (e Guglielmi è stato un uomo a suo tempo addetto al  Sifar-Sid) possono trovare preciso riscontro documentale, come per esempio i “lavori sporchi” che a quanto pare compiva l’Anello, alias  il “noto Servizio”, un “Servizio” anomalo, supersegreto, ma non proprio  fuori dalle nostre Istituzioni (vedesi:  Stefania Limiti:  L'Anello della Repubblica, Ed. Chiarelettere, 2009  e  Aldo Giannuli: Il Noto servizio, M. Tropea Editore, 2011), non è dietrologia avanzare almeno dei sospetti.
Ma ancor più se consideriamo operazioni svolte dalla rete Gladio (Guglielmi non abbiamo prove che sia un gladiatore, ma ha comunque  lavorato per le Gladio), una rete che non aveva copertura NATO, ma aveva «riferimento diretto e dipendenza» dalla CIA (i documenti infatti non recavano la classifica Nato). Anche nella nuova Commissione Moro, è stata espressa  l’opinione che la struttura delle Gladio abbia operato al di là delle legittime finalità istituzionali, ricordando di aver esaminato documenti dai quali risultavano pressioni della CIA (che aveva finanziato anche il centro di addestramento di Capo Marrargiu) per far sì che Gladio potesse intervenire anche in situazioni di conflittualità interne dell’Italia. A tale genere di attività, per esempio, era connessa la cosiddetta Operazione Delfino (1966), avente come tema «insorgenza e controinsorgenza», che fu diretta da Roma (dalla sede della Sezione addestramento) e si svolse nel Triestino.
Ufficialmente la Gladio era una organizzazione genericamente segreta, ma non troppo, creata nel 1956 anche fuori dai normali canoni istituzionali, per organizzare nei paesi europei del blocco occidentale, una rete stay behind, dietro le linee, che entrasse in azione in caso di invasione del territorio.
In questo ambito, da noi non fu  ovviamente mai operativa, e inquadrata dietro generali italiani, l’ultimo Paolo Inzerilli, fece solo opera di addestramento.
Non era neppure del tutto sconosciuta ai sovietici, e da noi allo stesso Pci.
Ma non è questo che qui interessa propriamente, semmai una Gladio nascosta, di “secondo livello” con gladiatori ancor più selezionati, e preposta ad attività di guerra non ortodossa, anche per impedire che i comunisti andassero al potere per via democratica.
E’ questa Gladio ultra segreta, che interesserebbe conoscere, con alcuni  depositi di armi a disposizione, i Nasco e che possiamo dire dipendeva, per qualche via non appariscente,  da comandi americani o atlantici. 
Per edulcorare la cosa, per non dover buttare all’area tutta la credibilità istituzionale, si è inventata la favoletta, come quella dei Servizi deviati, di una “Gladio nera”. Una barzelletta, perchè i “neri”, intendendo personaggi e gruppi della destra neofascista non erano certo “autonomi”, ma tutti sotto controllo e manipolati dai nostri apparati di sicurezza e non solo nostri.
Le Gladio comunque avevano tutto un loro inquadramento particolare, non ricostruibile con le normali procedure di richiesta informativa  (per esempio a suo tempo si sono fatti conoscere appena 600 nomi di gladiatori, ma la maggior e la più importante parte sono rimasti sconosciuti, mentre quelli resi noti, oltretutto, risultavano anche su con gli anni), e quindi ogni dubbio relativamente al caso Guglielmi, resta legittimo, tanto più se poi  l’on. Gero Grassi, non uno qualunque, ma un membro della nuova Commissione parlamentare  sul caso Moro, ha esplicitamente definito il colonnello Camillo Guglielmi: “il vice comandante generale di Gladio, settore K” (e “k” starebbe per Killer, cioè uomini preposti a sparare), pur non fornendo la documentazione da dove avrebbe dedotto questo preciso inquadramento nelle Gladio. Ma  veniamo ora alla questione che qui ci interessa.


Come uscì fuori il nome di Guglielmi
       Il Guglielmi venne chiamato in causa dalle rivelazioni di un tal Pierluigi Ravasio, ex carabiniere ed effettivo alla VII divisione del SISMI, qui sottoposto del Guglielmi all’Ufficio Sicurezza, rese all’On. Luigi Cipriani della allora Commissione Stragi.
Rivelazione che il Ravasio già aveva accennato nel 1987 ad un amico, Emanuele Bettini, impiegato presso la filiale di Cremona della Cassa di Risparmio di Piacenza, ma che come corrispondente collaborava a volte con la rivista “Panorama”, ma poi a dicembre del 1990 le espose anche all’On. Luigi Cipriani, di Democrazia Proletaria e membro della allora Commissione stragi.
E’ stupefacente apprendere che il Ravasio era venuto a conoscenza di tutto questo dalla stesso Guglielmi che lo aveva raccontato in presenza di altri colleghi. Questo farebbe già di per sè stesso escludere qualsiasi  ipotesi di complotti o altro, ma si da il caso che non possiamo pienamente sapere, a parte i suoi racconti, perchè il Guglielmi rilasciò questa confidenza, troppe cose strane accaddero in quei tempi, per non diffidare di tutto  e di tutti e forse non escludere neppure una specie di excusatio non petita per prevenire le reazioni a una notizia che ad un certo punto si sapeva, sarebbe comunque circolata.
In sintesi Pierluigi Ravasio di trentatrè anni, nato a Mapello in provincia di Bergamo, ex carabiniere paracadutista congedatosi nel 1982, passato alla professione di guardia giurata, sino al 1990 residente in Cremona poi tornato al paese d'origine, dice che era, per  tradizione di famiglia,  un Templare, come il padre, a sua volta ex carabiniere paracadutista aderente alla Rsi.
Ravasio si è quindi presentato come un fascista deluso.
Sembra che agli inizi del 1987 due guardie giurate dell'Ivri, tra le quali Ravasio, in servizio di fronte alla Cassa di risparmio di Piacenza, filiale di Cremona, iniziarono una discussione con un impiegato della banca riguardante la tematica dei mercenari ed i corpi speciali. Alcuni giorni dopo, Ravasio invitò nella sua abitazione l'impiegato, Emanuele Bettini,  ed in presenza della seconda guardia giurata iniziò a raccontare la propria storia, non senza avere messo in bella evidenza la propria pistola ed un fucile a pompa, che disse essere l'arma che comparirà nelle figure del Manuale del guastatore da lui stesso redatto.
Ravasio raccontò di essersi arruolato nel 1976 nel corpo dei carabinieri paracadutisti di Livorno, di essere entrato nei Gis e di avere partecipato alla repressione della rivolta nel carcere di Trani. Nel 1978, avvicinato da un ufficiale del Sismi, decise di entrare nel servizio e fu assegnato all'ufficio sicurezza interna nella VII Sezione dell'ufficio R di Roma.
Il tesserino del Sismi in fotocopia mostrato da Ravasio portava la firma di Santovito e Musumeci ed il N. 36 che, a quanto detto  non dovrebbe essere casuale, ma indicare un ordine di importanza (Santovito avrebbe il N. 1), il ruolo dell'agente. Musumeci e Belmonte erano i capi dell'ufficio cui Ravasio faceva riferimento, mentre i diretti superiori erano il colonnello Guglielmi (detto Papà) ed il colonnello Cenicola.
L'ufficio era situato a Forte Braschi mentre la squadra (sei persone) con la quale Ravasio operava era stanziata a Fiumicino. Ravasio mostrò anche fotografie che lo ritraevano in divisa e armato con altri gruppi di corpi speciali (Usa, Germania, Israele), mostrò una foto in tenuta da templare in una cerimonia a Dublino e disse di essere in possesso del Nos di grado Cosmic.
Per farla breve il Ravasio avrebbe poi, a dicembre del ’90, rivelato al  parlamentare Luigi Cipriani, membro della Commissione Stragi, di aver saputo che a via Fani vi era il colonnello Guglielmi, presente nell’occasione del sequestro, perché era stato attivato dal colonnello Musumeci, il quale aveva un informatore interno alle Brigate Rosse, uno studente di giurisprudenza di nome Franco (nome rimasto fantomatico). Quindi il colonnello Guglielmi era stato mandato a vedere e a controllare che cosa accadeva a via Fani.
In pratica non si trattava di torsione dai compiti istituzionali del Servizio, ma di un intervento di un infiltrato che cercava di attivarsi e controllare quel che accadeva in via Fani.
E’ facile capire che genere di grosse implicazioni poteva avere una rivelazione del genere fatta ad un parlamentare di area comunista e membro della Commissione stragi. Difficile credere che sia del tutto spontaneo e casuale.
Questo comunque  il racconto di Ravasio, paracadutista congedatosi nel 1982, come riportato dall’on.  Cipriani:
Riferisce il Ravasio: “…di essersi arruolato nel 1976 nel corpo dei carabinieri paracadutisti di Livorno, di essere entrato nei Gis e di avere partecipato alla repressione della rivolta nel carcere di Trani. Nel 1978, avvicinato da un ufficiale del Sismi, decise di entrare nel servizio e fu assegnato all'ufficio sicurezza interna nella VII sezione dell'ufficio R di Roma (…). Musumeci e Belmonte erano i capi dell'ufficio cui Ravasio faceva riferimento, mentre i diretti superiori erano il colonnello Guglielmi (detto papà) ed il colonnello Cenicola. L'ufficio era situato a Forte Braschi mentre la squadra (sei persone) con la quale Ravasio operava era stanziata a Fiumicino. (…)
 …di essersi recato diverse volte ad addestrarsi a Cala Griecas (capo Marrangiu) e di avere avuto come istruttori Alfonso (al quale è dedicato il manuale) e Decimo Garau, il primo maresciallo degli alpini, il secondo ufficiale di marina. Disse di far parte di un gruppo di quattrocento persone suddivise in nuclei di sei, il cui compito era di opporsi a sommosse interne da parte della sinistra.(…)
disse che il suo gruppo indagò sul caso Moro e venne a conoscenza del fatto che il rapimento era stato organizzato da una banda di ex detenuti e malavitosi che agiva nella zona di Fiumicino, molto probabilmente la banda della Magliana. Venuti a conoscenza del fatto che Moro era tenuto dai malavitosi e riferito ciò ai superiori, le indagini furono fermate da un ordine proveniente da Andreotti e Cossiga, il loro gruppo sciolto ed i componenti dispersi, mentre i rapporti che quotidianamente venivano compilati furono bruciati.
disse anche che Musumeci aveva un infiltrato nelle Br, era uno studente di giurisprudenza dell'università di Roma il cui nome di copertura era Franco, il quale avvertì con una mezzora di anticipo che Moro sarebbe stato rapito. Uno dei superiori diretti di Ravasio, il colonnello Guglielmi - attualmente deceduto - si trovò a passare a pochi metri da via Fani, ma disse di non aver potuto fare niente per intervenire.
Come ricompensa per il rapimento e la gestione del caso Moro, il Sismi consentì alla banda di poter compiere alcune rapine impunemente. Una avvenne nel 1981 all'aeroporto di Ciampino, quando i malavitosi travestiti da personale dell'aeroporto sottrassero da un aereo una valigetta contenente diamanti provenienti dal Sudafrica. Una seconda avvenne in una banca nei pressi di Montecitorio dove furono aperte molte cassette di sicurezza e da alcune, appartenenti a parlamentari, furono sottratti documenti che interessavano il Sismi (Vedesi: Fondazione Luigi Cipriani, https://www.fondazionecipriani.it/Scritti/ilcaso.html ).
Qui dobbiamo subito fare una osservazione perché, a parte il resto, emerge la bufala di un rapimento Moro organizzato da “quelli della banda della Magliana” che, accluso al resto, mostra un racconto dove si mischia il vero, il verosimile e il falso, proprio come nelle tecniche di certi Servizi, quando vogliono mandare messaggi trasversali. Può essere il caso del Ravasio?
Non lo sappiamo, anche perché in questo caso dovremmo ritenere che “dietro” il Ravasio ci fosse un “suggeritore”.
Curioso anche il fatto che Ravasio da il Guglielmi come deceduto, quando non era affatto vero.
L’on. Cipriani, ovviamene, dopo che  il Ravasio, gli conferma quanto già confidato a Bettini, espone una relazione alla Commissione parlamentare la quale segnala queste “rivelazioni”  alla magistratura.
Per completare questa ricostruzione vale anche riportare altri passaggi, riportati dall’attendibile sito della Fondazione Cipriani, con la relazione redatta dal Cipriani per la commissione parlamentare, che parla di un Ravasio “fascista deluso” membro di un organizzazione di neotemplari (fantomatica?), che racconta di essere stato in Israele per addestrare militari israeliani: …in quanto esiste un'antica alleanza tra templari e Israele derivante dalla comune difesa del tempio di Salomone”.
«… iniziò a raccontare la propria storia, non senza avere messo in bella evidenza la propria pistola ed un fucile a pompa (...)
incontrato[si] nel novembre 1990 a Cremona con la giornalista Valeria Gandus, dalla quale si era fatto intervistare maneggiando una pistola di grosso calibro di marca israeliana. Successivamente nel proprio appartamento, tra fotografie e fotocopia del tesserino Sismi, Ravasio mostrò un'altra pistola marca Beretta.
L'incontro con la Gandus era stato originato dal fatto che su Panorama era uscito un articolo che si rifaceva a quanto raccontato da Ravasio nel 1987, cosa che lo fece infuriare ma non gli impedì di farsi intervistare, salvo minacciare la giornalista se avesse fatto il suo nome.
L'ex agente del Sismi mi disse che non intendeva assolutamente essere coinvolto né dalla Commissione stragi né dalla magistratura e di avere acconsentito ad incontrarmi solo per darmi qualche informazione utile al mio lavoro, stanti le fortissime delusioni avute dalla destra politica e dai servizi segreti; ma che non desiderava io facessi il suo nome». (Vedesi: Cipriani, relazione alla CPS, link cit.).
Anche qui da notare il curioso particolare che il Ravasio, si infuria,  non  vuole che le sue “confidenze” siano rivelate, ma intanto concede una intervista a Panorama, pur ponendo condizioni, che non può ignorare che potrebbero essere facilmente disattese. Mah.
Tutto però venne poi a ridimensionarsi, tranne la sua effettiva appartenenza al Sismi,  perché il Ravasio successivamente chiamato in causa, il 13 maggio del 1991, davanti al magistrato dott. Luigi De Ficchy, sostituto procuratore della Repubblica di Roma, per buona parte non confermò questo suo racconto.
Vi erano, inoltre,  dichiarazioni di colleghi di Ravasio discordanti con quanto affermato da quest'ultimo.
Come abbiamo visto, infine,  per il Ravasio, al momento delle sue confidenze all’On Cipriani, credeva che il Gugliemi fosse morto e solo quando venne convocato dal dott. De Ficchy seppe che invece era vivo, e quindi si può presumere che ritenne che il  chiamato in causa lo avrebbe potuto smentire.
Emergeva quindi una manifesta ambiguità del Ravasio stesso perché non era credibile  che l’On Cipriani, di cui era nota la serietà, ne avesse esagerato il racconto e c’era poi sempre il Bettini.
Il tutto comunque si venne a ridimensionare, tranne la presenza del Guglielmi in via Fani su cui si ebbe a congetturare e si venne poi anche  a sapere che il Guglielmi stesso, una volta entrato in quell’Ufficio del Sismi, aveva confidato a qualche collega o sottoposto,  che proprio il mattino del  16 marzo si era trovato nei pressi di via Fani, aggiungendo più o meno: “Figuratevi se lo si sapesse quanto ci potrebbero ricamare sopra i giornalisti” .
Non è peregrino pensare, se il tutto corrisponde al vero, che questa confidenza venne sentita anche dal Ravasio che  poi la raccontò a modo suo, ma non possiamo neppure escludere che si è in presenza di giustificativi a posteriori per ridimensionare tutta la faccenda.


La testimonianza di Guglielmi
     Il Guglielmi venne ovviamente sentito il 16 maggio 1991, tre giorni dopo il Ravasio, dal magistrato Luigi De Ficchy il quale ebbe poi a sentire anche il colonnello D’Ambrosio e ad acquisire, presso il SISMI, la documentazione relativa all’Ufficio Controllo e sicurezza cui l’ufficiale appartenne.
Ecco parte del testo della deposizione del Guglielmi  a verbale:
«Per quanto riguarda il fatto che io sono passato il 16 marzo 1978 in via Fani, ricordo che quel giorno ero a Roma e che essendo stato invitato a pranzo dal Col. D'Ambrosio in via Stresa 117, passai in strade adiacenti via Fani verso le ore 9.30 del mattino.
Ho raccontato tale circostanza ai componenti del mio Ufficio Sicurezza ed evidentemente da tale fatto si è costruita ben altra situazione. Tra l'altro quando mi recai in via Stresa, non mi accorsi di nessuna situazione particolare successa in quella zona e seppi dell'onorevole Moro solo quando arrivai a casa del mio ospite Col. D'Ambrosio".
Si può ben immaginare come lasciò perplessi e quale scalpore fece la singolare rivelazione del Guglielmi che affermava di essersi recato a pranzo dal suo amico colonnello D’Ambrosio, presentandosi alle 9,30 di mattina!
Certo senza formalizzarsi poteva sempre intendersi che doveva andare a pranzo dall’amico, che ci arrivò prima, alle 9,30 ma non certo per pranzare a quell’ora. Possibile, ma in un interrogatorio, lascia alquanto perplessi.
Da notare che il colonnello D’Ambrosio, amico di famiglia del Guglielmi, doveva essere già nel Sismi o  appartenente ai Servizi come riferisce l’ex giudice istruttore Carlo Mastelloni nel suo libro citato.
Il dottor De Ficchy ha dichiarato recentemente alla seconda Commissione Moro, di aver avuto la sensazione che qualcosa in quella ricostruzione non tornasse, ma che l’interesse principale delle indagini riguardava l’Ufficio Controllo e Sicurezza, che dalla documentazione risultava costituito solo nell’ottobre 1978.
Le valutazioni sulla vicenda, secondo il dottor De Ficchy, devono essere ancorate ai riscontri ottenuti dalle prove dichiarative e documentali, in assenza delle quali il magistrato non poteva avvalorare i propri dubbi e sospetti, pur se presenti.
In sede di Commissione Moro, invece, in merito alle motivazioni addotte in sede di interrogatorio dal colonnello Guglielmi per giustificare la propria presenza nella zona della strage, i deputati Grassi e Piepoli e i senatori Gotor e Cervellini hanno osservato che si trattava di una versione dei fatti incredibile, se non provocatoria, che avrebbe potuto giustificare l’incriminazione del teste per falsa testimonianza.


La testimonianza del Colonnello D’Ambrosio
      Ancora tre giorni dopo, il 16 maggio 1991 è la volta di essere audito dal dott. De Ficchy, il colonnello Armando D’Ambrosio il quale in buona parte conferrmò la testimonianza di Guglielmi e vi aggiunse particolari  importanti:
«Verso le ore 09.30 è giunto presso la mia abitazione il colonnello Guglielmi Camillo con sua moglie che anni prima aveva abitato presso lo stesso stabile e con il quale ero in amicizia.
Il colonnello stette presso la mia abitazione con la moglie per tutta la mattinata e stette con noi a pranzo e poi nel pomeriggio ripartì per Modena.
Non ricordo se nel corso della mattinata si allontanò di casa per salutare altri amici o per altre ragioni. Non ricordo se il Col. Guglielmi venne presso la mia abitazione per un appuntamento datoci in precedenza. Oppure se passò senza appuntamento precedente e poi lo invitai a pranzo.
Non ricordo come mai il Col. Guglielmi venne alle 09.30, posso dire che con il Col. Guglielmi vi è una grande confidenza.
Faccio presente che alla mia abitazione si può accedere da via della Camilluccia prendendo via Stresa e passando all’incrocio con via Fani sia da via Sangemini scendendo da via Roncegno. Ricordo anche che quando arrivò il col. Guglielmi gli diedi la notizia di quanto era successo».
Comparando le due versioni, tutto sommato poi non così dissimili, il ricercatore storico Francesco M. Biscione ha però voluto osservare:
«Anche quest’ultimo [D’Ambrosio] venne interrogato confermò di aver ricevuto la visita di Guglielmi, verso le 9 del mattino, ma disse di non ricordare di averlo invitato, confermando una falla nelle spiegazioni di Guglielmi, dato per altro che le nove del mattino sono un orario inusuale per un pranzo». (Vedi: Francesco M. Biscione, “Il delitto Moro”, Editori Riuniti, 1988).
In definitiva si avanzano solo due perplessità: l’orario di arrivo in via Fani, circa alle nove di mattina, e alle 9,30 a casa dell’amico D’Ambrosio per un pranzo e la parziale smentita di D’Ambrosio che non ricordava di averlo invitato. Tutto sommato due piccole discrasie, in qualche modo spiegabili che non dovrebbero dare adito a dietrologie.
Ma ecco che la nuova Commissione di inchiesta sul caso Moro (2014 – 2017) ascolta in audizione alcuni magistrati tra cui Luigi Ciampoli, procuratore generale presso la corte di appello di Roma, non uno qualunque, che a suo tempo aveva indagato sulla lettera anonima in cui si nominava il Guglielmi quale superiore di due fantomatici agenti dei Servizi presenti in via Fani a bordo della famosa moto Honda: una vicenda rimasta poco chiarita, ma in ogni caso altrettanto poco o nulla credibile.
Per la testimonianza di D’Ambrosio, Ciampoli ha dichiarato alla Commissione:
«Il colonnello Guglielmi viene identificato come una persona presente sul posto e dà giustificazione della sua presenza alle nove di mattina per un invito ricevuto dal colonnello D’Ambrosio a casa sua per pranzo.
Viste le dichiarazioni del colonnello D’Ambrosio, abbiamo appreso che non soltanto Guglielmi non era stato invitato a pranzo, ma non era assolutamente prevista la sua visita nemmeno a quell’ora. Il colonnello Guglielmi si era presentato a casa sua insalutato ospite e dopo poco, assumendo, con una dichiarazione, che doveva lasciare la sua abitazione perché doveva essere successo a Roma qualcosa di grosso, aveva abbandonato la casa del colonnello D’Ambrosio ed era andato». (Vedi: Luigi Ciampoli, CPM2, seduta del 12/12/2014).
Quindi la Commissione  ascolta Luigi De Ficchy, il quale afferma:
«D’Ambrosio dice – secondo quanto ricordo – che Guglielmi si era recato da lui alle 9, che non c’era alcun invito a pranzo e che di lì a poco se n’era andato e aggiunge di non aver notato nulla». (Vedi: Luigi De Ficchy, CPM2, seduta del 24/03/2015).
Da queste stesse audizioni, qui riportate, si farebbero risaltare delle anomalia, non di poco conto, ovvero il fatto  che il Colonnello Guglielmi, secondo Ciampoli: “”si era presentato a casa sua insalutato ospite e dopo poco, assumendo, con una dichiarazione, che doveva lasciare la sua abitazione perché doveva essere successo a Roma qualcosa di grosso, aveva abbandonato la casa del colonnello D’Ambrosio ed era andato”,
e secondo De Ficchy: “Guglielmi si era recato da lui alle 9, che non c’era alcun invito a pranzo e che di lì a poco se n’era andato e aggiunge di non aver notato nulla”.
Ma come abbiamo visto, dal verbale di D’Ambrosio, intanto si parla delle 9,30 e non delle 9, ed inoltre: “il colonnello stette presso la mia abitazione con la moglie per tutta la mattinata e stette con noi a pranzo e poi nel pomeriggio ripartì per Modena”. Quindi il Guglielmi non se ne era affatto andato via poco dopo.
Tanto che la stessa CM2 ha dovuto concludere scrivendo: « Nell’ambito degli accertamenti e delle acquisizioni documentali disposti dalla Commissione (e tuttora in corso), si è riscontrato che il verbale di interrogatorio del colonnello D’Ambrosio conferma le dichiarazioni del collega Guglielmi» (Vedi: CPM2, Relazione sull’attività svolta, 10/12/2015).
E naturale che queste discrasie hanno consentito a vari autori, osservatori, critici e giornalisti, di formulare considerazioni di opposta natura a seconda delle parti che sono state prese in considerazione, trattandosi oltretutto di magistrati, che forse in audizione sono andati “a braccio” senza avere per le mani i verbali, ma una attenta analisi della questione, non concede troppe illazioni.


Altri particolari sulla vicenda
     Al fine di integrare e poi valutare le due testimonianze di Guglielmi e D’Ambrosio vale aggiungere alcuni particolari che si sono appurati successivamente.
Questi particolari li riassume sinteticamente il dottor Carlo Mastelloni nel suo libro citato:
«Il giorno del rapimento di Aldo Moro, Guglielmi era libero da impegni di lavoro. Non era né nell’arma, né nei Servizi, ma in Ausiliaria; come si dice “a disposizione”.
Quel 16 marzo 1978, Guglielmi era a Roma, con la moglie da almeno un giorno, anche se risiedeva ancora a Modena dove aveva lasciato l’alloggio di servizio. Si trovava a Roma per curare il rilascio di un suo appartamento da lui acquistato in zona Spinaceto, che era in affitto ad un orefice.
La mattina del sequestro era arrivato in zona via Fani, proveniente da una traversa di via della Lungara (aveva trovato alloggio per la notte con la moglie, Maria Immacolata (deceduta nel 2014) in un convento di suore.
Erano a bordo di una 124  Special T, color verde oliva che aveva percorso via della Cammilluccia diretti a via Stresa 117 dove avevano già abitato dal 1966 al 1974 (la palazzina era di proprietà dello Stato Maggiore Difesa e vi abitavano altri militari, anche dei Servizi), per andare a trovare l’amico e collega Armando D’Ambrosio. 
L’edificio era a circa 100 metri in linea d’aria dall’incrocio con via Fani.
All’inizio della lunga via Fani i due coniugi si fermano in un bar per comprare un uovo di pasqua o dei dolci per l’amico che li ospiterà.
Siamo verso le ore 09,30 di mattina e sembra che il Guglielmi intravide uno strano traffico e quindi preferì fare marcia indietro riprendendo per via Stresa.
Apprende quindi della strage una volta arrivato dal suo amico.
Sembra che Guglielmi e D’Ambrosio volevano poi, dopo colazione, recarsi a trovare ex colleghi nella sede di Forte Boccea, ma questa circostanza venne negata dal D’Ambrosio.
Ancora due particolari, rivelati da Mastelloni:  il Guglielmi, dopo il suo interrogatorio del 1991 con De Ficchy, chiamò il magistrato ed espresse forti rimostranze per il sospetto che il magistrato aveva fatto filtrare particolari che e lo ponevano in cattiva luce.
Infine, da certificazione della Commissione medica dell’Ospedale militare di Bologna, risultava che il 16 maggio del 1978 Guglielmi contrasse infarto miocardico (i fautori della dietrologia presupporranno che fu a causa del dolore della morte di Moro, avvenuta il 9 maggio e di chi sà quale ruolo lui aveva avuto il giorno del rapimento).   
 
Valutazione delle testimonianze Guglielmi - D’Ambrosio
        L’esame di queste due deposizioni, Guglielmi - D’Ambrosio, e gli ulteriori particolari rivelati dal magistrato Carlo Mastelloni, anche se non sappiamo come li abbia appresi, non lasciano troppi spazzi alla dietrologia, ma come vedremo, all’allargando il campo alle inevitabili considerazioni e circostanze, non sono del tutto da scartare altre situazioni che possano far sospettare un ruolo del Gugliemi in quella mattinata, di tutt’altro genere, anche se non si possono avanzare  elementi comprovati.
Questo perché, comunque la si rigiri, tutta questa faccenda, “passeggiata” mattutina de Guglielmi e la moglie compresa, non è affatto chiara.
Cominciamo con il dire che la presenza della moglie, assieme al Guglielmi, induce a pensare che lo stesso, non se la sarebbe portata dietro se avesse saputo del compiere, in quell’ora, una azione cruenta e criminosa e magari dover fare qualcosa.
Secondo poi il D’Ambrosio non smentisce l’invito a pranzo, come molti hanno detto, ma dice solo di non ricordare, cosa ben diversa anche se in queste due dichiarazioni si intravede una certa ambiguità di fondo.
Per la stranezza di un ora così prematura per una visita poi finalizzata ad un pranzo, il D‘Ambrossio (che non ricordava bene la faccenda dell’invito) minimizzava, adducendo la grande familiarità che c’era tra le loro famiglie. 
Premesso ed evidenziato questo, però, non si possono scartare varie altre considerazioni che pongono dei dubbi in questa vicenda.
Le enunciamo pur senza approfondirle troppo in quanto, in mancanza di sostanziali prove concrete, resterebbero sempre congetture e sospetti o al massimo prove indiziarie.
a) Perchè nel suo interrogatorio il Guglielmi, che non poteva ignorare la delicatezza della faccenda, non rivelò che era in compagnia della moglie, cosa che avrebbe prevenuto ogni altra illazione e sospetto?
b) in conseguenza del punto precedente, che lascia comunque perplessi, si potrebbe anche essere indotti a pensare che la deposizione del D’Ambrosio era stata concordata, proprio per mettere una pezza ad un racconto assurdo, ruotante attorno ad un invito a pranzo in cui ci si presentava alle ore 9,30, poco credibile.
c) A quanto sembra il Guglielmi arriva a casa D’Ambrosio verso le 9,30, quindi imprecisati pochi minuti prima si trovava all’inizio di via Fani dove, in un bar, aveva comprato un uovo di pasqua o dei dolci. Dice che si accorse solo di un certo affollamento di traffico e quindi preferì fare un pezzo di strada indietro per raggiungere da un altro lato la vicina via Stresa. Considerando che la sparatoria all’incrocio di via Fani, è avvenuta alle 9.02 e durò pochi minuti, poi ci fu la fuga delle auto dei brigatiti con Moro verso via Stresa, proprio verso il lato di strada dove trovasi il civico 117, quindi in pochi minuti l’incrocio di via Fani si riempì di gente sgomenta, eccitata e allarmata e tutto attorno si diffuse questa notizia, mentre oltretutto arrivavano auto della polizia a sirene spiegate, questo racconto ci lascia perplessi.
·       Se il Guglielmi e consorte comprarono in quel bar i dolciumi, poco prima delle 9.02, sembra strano che poi ci impiegarono quasi ben 30 minuti per arrivare alla vicinissima via Stressa civico 117 e ancor più, prima dell’agguato,  la via Fani non doveva essere intasata e quindi si poteva percorre normalmente. Ma invece il Guglielmi direbbe, come riporta Mastelloni,  di aver notato uno strano traffico" tanto da fare marcia indietro. Questo farebbe pensare che era in atto la sparatoria giù in fondo verso l’incrocio o si era appena conclusa, ma in questo caso come è possibile che il Guglielmi non si sarebbe accorto di nulla?

·       Viceversa se arrivò poco dopo, ad agguato consumato, come è possibile che tra i 10 e 20 minuti successivi, ovvero proprio verso le 9,30, quando tutto il circondario doveva parlare con grande allarme ed eccitazione di quanto avvenuto, il Guglielmi e la moglie che presumibilmente hanno imboccato via Sangemini per raggiungere via Stresa nella parte alta, proprio dove poco prima erano fuggite le auto dei brigatisti, non si accorsero di nulla e il Guglielmi sostiene invece - e il D’Ambrosio conferma - che apprese dell’agguato e rapimento di Moro, una volta arrivato a casa del suo amico?

In entrambi i casi è sinceramente poco credibile, tanto più che se fosse stato distratto, in macchina aveva anche la moglie. Ciechi, sordi e distratti?
d) Ci si chiede allora, come mai che i due amici, tutt’ora nell’arma e con su le spalle lavori di Intelligence (tra l’altro un rapimento e un agguato erano proprio materia a cui il Guglielmi non era estraneo), non sentirono, non diciamo il dovere, ma almeno la curiosità, umana e di servizio, di scendere e andare a vedere cosa era accaduto, per un evento a poche decine di metri da loro, di cui oramai tutto il quartiere parlava e radio e televisioni davano notizie  senza soluzione di continuità?
Anche questo aspetto è sinceramente poco credibile.
Sommando tutte queste, sia pur divergenti, considerazioni si può forse scartare una ipotesi cospirativa devastante (partecipazione del Guglielmi al rapimento, come in qualche modo insinuava il film di Renzo Martinelli “Piazza delle cinque lune”, che aveva avuto la consulenza del senatore Sergio Flamigni), ma non del tutto un certo ruolo, magari di “controllo sul posto” sulla base di precedenti informazioni, per il quale in seguito per ragioni di opportunità e di sicurezza si era preferito tacere, per non ingenerare sospetti.
Si immagini infatti cosa sarebbe accaduto se si fosse rivelato che un ufficiale dei carabinieri, che aveva lavorato per i Servizi, si trovava a pochi passi dal luogo e dall’ora della strage.
L’obiezione che difficilmente si sarebbe mandato in quella zona il Guglielmi, il quale vi aveva abitato e quindi poteva essere riconosciuto, è un arma a doppio taglio, perché questo è vero, ma è anche vero che proprio perché ivi vi era l’amico D’Ambrosio il Guglielmi aveva una valida scusa per essere passato da quelle parti.
Si può così condividere una impressione del senatore Miguel G0tor, membro della nuova Commissione Moro, che mi venne espressa personalmente per email, secondo la quale, pur scartando ipotesi dietrologiche,  si poteva presumere che il Guglielmi abbia voluto fornire una versione dell’invito a pranzo (oltretutto, aggiungiamo noi, invito a pranzo” potrebbe essere un gergo militare per dire che “si è avuto un incarico”, tralasciando ovviamente di citare la moglie), così inverosimile al magistrato che lo interrogava, diciamo provocatoria, perché tra le righe gli voleva dire:
«Lei è un servitore dello Stato come me, io stavo lavorando ed ero lì per ragioni di ufficio che non posso verbalizzare", perché evidentemente non potevano essere rese pubbliche all'inizio degli anni ‘90, insieme con la sua funzione di allora. Il problema è un altro: se il magistrato si è fatto dire una cosa simile senza sollevare alcuna obiezione (e non dico incriminarlo per falsa testimonianza pur essendoci tutti gli estremi), vuol dire che  c'era un reciproco rispetto  di carattere istituzionale nel definire questo tipo di versione che si è voluto accomodare in modo tanto laboriosamente maldestro, forse proprio perché ne rimanesse traccia».
La deduzione di Gotor che pur dice di scartare elucubrazione dietrologiche lascia però il campo aperto ad una presenza del Guglielmi che in qualche modo riguarda l’agguato e quindi il colonnello qualche incarico da svolgere doveva averlo.
Ovviamente questo implica il fatto che “qualcuno” doveva sapere dell’agguato e si questa supposizione, possiamo tranquillamene dire che “si, è molto probabile, che c’era chi sapeva dell’agguato”, come indicheremo più avanti.
Quindi nessuna dietrologia, ma lasciare il campo aperto  a “qualcosa”  che ci sfugge e non possiamo esattamente individuare, non è poi così peregrino,


Un nostro  pensiero
       In conclusione: se le ipotesi cospirative o dietrologiche non sono comprovabili,  vi sono però degli aspetti comunque sconcertanti,
Ecco che allora, tornando a parlare dell’ambiguità che riveste la dichiarazione del Guglielmi al dottor De Ficchy, quella di  essersi recato a pranzo dall’amico D’Ambrosio presentandosi prematuramente verso le 9,30 e oltretutto tacendo il fatto che era con la moglie (prendiamo per buona questa “compagnia”, sebbene non subito accennata al magistrato), lascia perplessi.
Per prima cosa, non crediamo o comunque ci sembra molto strano, che si venne a riferire, da parte del Ravasio, quel genere di confidenze, prima ad un collaboratore di un noto settimanale (Panorama) e tempo dopo ad un deputato dell’area comunista e membro della Commissione stragi, solo perchè politicamente delusi o scontenti del proprio recente servizio nei carabinieri.
Di solito questo genere di clamorose  rivelazioni si fanno per ben altri motivi e spesso ci sono dietro delle speculazioni o qualcuno che le imbecca perchè interessato al polverone che vanno a ingenerare.
Anche la deposizione del Guglielmi, con il particolare del pranzo che tante perplessità ha sollevato, lascia a pensare.
Per questa audizione, a cui il Guglielmi era stato convocato dal dott. De Ficchy, è probabile, infatti, se non dato per scontato, che il Guglielmi aveva avuto modo di ponderare la cose, magari consultarsi con i superiori che in qualche modo erano stati chiamati in causa.  Che sapesse o meno che il Ravasio aveva anche  ridimensionato tutta la faccenda, bastava ora che il Guglielmi, in qualche modo, fugasse del tutto ogni dubbio e la storia finiva lì.
Cosa disse invece il Guglielmi  al magistrato?
Gli riferisce che quel giorno stava andando da un suo amico, il colonnello Armando D’Ambrosio, abitante in via Stresa 117, nei pressi di via Fani, perche invitato a pranzo. Avrebbe potuto tranquillamente  confermare che era passat0 da quelle parti perchè andava a trovare il suo amico, ma di certo, essendosi svolto il fatto tra le 9 e le 9,30 di mattina, la storia del pranzo lasciava perplessi.
Ma ancor più tacque anche che era in compagnia della moglie, laddove questo solo particolare avrebbe prevenuto o smontato ogni ipotesi “cospirativa”.
Ed invece, inevitabili, si scatenarono dubbi e polemiche.
Comunque, tre giorni dopo, convocato dal magistrato anche il colonnello D’Ambrosio, che nel frattempo, non è da escludere, si fosse sentito con il suo amico, questi gli mise una “pezza”, dicendo  che a prescindere dall’invito a pranzo che non ricordava,  questi incontri tra loro erano famigliari e comunque il Guglielmi si era presentato con la moglie.
La storia quindi, per la presenza della moglie,  assumeva tutta una altra dimensione, ma stranamente questo particolare è rimasto sconosciuto fino a quando non si richiese dalla nuova Commissione Moro, il relativo verbale.
A questo punto  delle due l’una: o la faccenda della presenza della moglie era un invenzione nel frattempo concordata dai due amici, per mettere una pezza e sollevare il Guglielmi e il Servizio da pesanti sospetti, oppure per qualche motivo il Guglielmi non l’aveva voluta riferire, mettendosi pero’ in una imbarazzante situazione. Volutamente?
Noi che poco crediamo a certe coincidenze, possiamo solo fare una supposizione, che prescinde, perché non provabile, dal fatto che il Guglielmi quel giorno era stato inviato vicino via Fani per dare una sbirciatina a “qualcosa” che si sapeva sarebbe accaduto, o come i dietrologi dicono, si poteva anche sospettare  che vi fosse stato mandato, addirittura per qualche altro compito più “impegnativo”.
Ritorniamo a quei giorni precedenti il caso Moro: ci sono pochi dubbi che settori di Intelligence e non solo,  non sapessero che si stava per compiere un grave attentato in Italia.
E questo in virtù non tanto delle segnalazioni che erano arrivate da Beirut e dalla Francia o delle informative di infiltrati nelle BR (parlavano di “lavori” da fare per allestire una prigione, pur non indicando di cosa esattamente si trattasse, e si cercava “un compagno esperto in muratura” da far venire a Roma), ma in virtù della semplice deduzione che a gennaio ’78 le BR, a quanto ne sappiamo e riferito, passarono alla fase esecutiva di preparazione dell’agguato. Questo comportò l’incarico, come documentato da testimonianze di dissociati e pentiti, che le varie brigate territoriali dovevano, tra le altre cose, anche reperire diverse auto di varie  caratteristiche, se ne chiedeva almeno una decina. Questo ed altre particolarità fecero capire ai brigatisti della colonna romana, regolari e irregolari, che pur  non sapevano niente del rapimento Moro, che comunque era in preparazione qualche cosa di grosso.
E questi brigatisti, tutti giovani, vivevano a contatto con tanti militanti e simpatizzanti del Movimento, centinaia di altri giovani a cui ”qualcosa” accennavano circa una imminente grossa  operazione, senza poter specificare di cosa si trattasse.
Orbene i nostri apparati di sicurezza, le polizie, gli infiltrati, i confidenti, tutti avevano un orecchio in quella vasta area, nel Movimento, e non possono non aver recepito questi segnali.
A questo si aggiunga che non era difficile per “chi di dovere” mettere in relazione una grande impresa terroristica in Roma, proprio con Moro. Si da il caso infatti che negli ultimi tempi i segnali di una certa pressione su Moro erano aumentati, la sua scorta sospettava pedinamenti, strane auto attorno e il maresciallo Leonardi aveva fatto presente ai suoi referenti queste cose. Ma non se ne fece niente di niente, come non detto, anzi nel dopo Moro si è cercato di negare che c’erano stati questi avvertimenti e richieste da parte della scorta di Moro,  per una auto blindata, ma si è sempre stati smentiti dai famigliari di Moro, dello stesso Leonardi e dell’autista Ricci che invece hanno ricordato queste preoccupazioni.
Quindi si sapeva che era in preparazione un grosso attentato a Roma ed era facile intuire che riguardasse proprio Moro.
Ed invece di infittire la sorveglianza, proprio per il 16 marzo venne soppressa la bonifica strade, un servizio curato dal Commissariato di Monte Mario, che vi impiegava due poliziotti, posti in borghese su un auto civetta che al mattino pattugliavano tutte quelle strade attigue alla Trionfale, via Fani compresa, dove abitavano molte personalità sensibili da proteggere.
Il poliziotto Adelmo Saba, il 15 marzo ‘78 venne posto incredibilmente a riposo proprio per il successivo giorno 16, con sua grande sorpresa come ha dichiarato alla seconda Commissione Moro e senza che lui lo abbia richiesto, e così avvenne per il suo collega.
Facciamo solo notare che se quella mattina fosse stata in servizio la “bonifica”, probabilmente l’auto civetta, preposta a fermare  persone o auto sospette, avrebbe intercettato i brigatisti appostati all’angolo di via Fani con via Stresa e l’agguato sarebbe fallito.
Coincidenza? Possibile, anche se ci crediamo poco, ma di certo sconcertante.
Se quindi possiamo supporre che “qualcuno” sapeva dell’agguato, anche se qui bisognerebbe  supporre che ne sapesse del luogo e orario, questo “qualcuno” mandò Guglielmi a “dare una occhiata”.
Noi questa ipotesi non la scartiamo.
Ma c’è un altro aspetto, che pur non riguardante il rapimento di Moro vero e proprio, e pone degli interrogativi su tutta questa vicenda Guglielmi.
E un  supposizione che ci viene spontaneo fare e la esplicitiamo senza alcuna pretesa, precisando però che appunto di “supposizione” si tratta:  le rivelazioni clamorose di Ravasio del dicembre ‘90, a nostro avviso non furono casualmente riesumate e divulgate così, a quel dato momento, ma che probabilmente si voleva far “scoppiare il caso”, un caso che avrebbe sollevato dubbi e polemiche a non finire. Ci viene spontaneo chiedere “a chi giovava? Perché, in genere, queste “rivelazioni” clamorose difficilmente sono casuali.
E allora possiamo anche supporre che  il Guglielmi fece del suo meglio per lasciare in sospeso un forte dubbio con la frase “ero invitato a pranzo”, senza aggiungere “con mia moglie”, e questo, nel caso, ci pone nel dilemma del perchè lo fece: forse per una forma di orgoglio con il magistrato De Ficchy, ovvero per ostentare che lui era un uomo dello Stato proprio come il magistrato, e con “l’invito a pranzo”, un gergo tipico in certi casi,  intendeva dire che doveva compiere una certa missione, oppure, viceversa,  ha introdotto volutamente un elemento dubbioso, per  mandare un messaggio a “chi di dovere”? O altro ancora?
Non lo sappiamo, poco ma sicuro però che il Guglielmi difficilmente poteva ignorare che raccontando solo di un “invito a pranzo”, dove era arrivato per le 9,30, senza nominare la moglie,  avrebbe destato forti dubbi e sospetti.
Sorge quindi il sospetto che il caso Guglielmi in quel periodo mise in difficoltà una parte dei Servizi e questo forse poteva tornare politicamente comodo a “qualcuno” (forse per l’imminente “golpe” di “mani pulite”? A novembre del 1990 si sussurrava in ambienti giudiziari che con il nuovo anno quel Mario Chiesa, esponente socialista milanese, da cui partì  tutta l’inchiesta “mani pulite”, da molti definita un mezzo Golpe silenzioso,  sarebbe stato arrestato).
Le rivelazioni di Ravasio e la denuncia di Cipriani, potevano essere funzionali a queste vicende che di lì a poco assunsero aspetti clamorosi?
E’ una ipotesi, solo una ipotesi, extra rapimento Moro, non di più, ma vale la pena considerarla.
Per il resto comunque la mettiamo si resterà sempre nel campo delle ipotesi.

Per saperne di più:
- Giacomo Pacini: “Le altre Gladio”, Ed. Einaudi, 2014
- (A cura di)  Sergio Flamigni:  “Dossier Gladio”, Ed. Kaos, 2012
- G.  Fasanella, C. Sestieri, Giovanni Pellegrino:  “Segreto di Stato”, Ed. Einaudi, 2000



19 commenti:

  1. La tua ipotesi finale mi sembra molto intrigante e degna di approfondimento, Maurizio.

    Grazie per averla condivisa.

    Ma enucleandola un po', secondo te quale parte dei Servizi bisognava tenere a bada in vista del '92? Quella atlantica o quella "nazionale", cioè la stessa neutralizzata per poter prendere Moro?

    Verosimilmente quest'ultima. Ma allora anche il ruolo di Guglielmi in via Fani deve essere rivisto nella tua ricostruzione, e direi abbastanza appesantito. A livello "devastante", per usare i tuoi termini...

    E, soprattutto. quale poteva essere il "rimprovero", lo strumento del ricatto?

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  2. Davvero molto interessante, complimenti!E complimenti anche per il bellissimo blog! E' un vero mistero, indecifrabile...Comunque anche per me la parte nazionale dei servizi (su cui Moro contava) in via Fani fu neutralizzata.

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  3. Mi limito a ringraziare per i complimenti al blog. Nella fattispecie, i complimenti per l'articolo, in ragione dell'interesse suscitato, vanno tutti a Maurizio Barozzi.

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  4. Un appunto tecnico...Per poter fare carriera nei CC, come nelle altre FFAA, è obbligatorio effettuare, con buoni risultati, un periodo di "Comandante di un'unità operativa", tipo un Comando Provinciale CC.
    Per il personale distaccato presso i Servizi, questi venivano fatti rientrare nel servizio attivo, più per questa motivazione che per la efficienza nella conduzione del servizio. Quindi è mia opinione che Guglielmi abbia effettuato il Comando a Modena, solo per quei motivi, ma la sua mente sia rimasta sempre ben piantata dentro i Servizi...talaltro stava provvedendo al suo trasferimento a Roma....P.S. anche Giovannone aveva fatto un comando tecnico (CC presso AM) per poter ottenere promozioni e rientrare nei Servizi

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    1. P.P.S.Il 16 Marzo 1978 il Magg Mario Mori assume il comando della Sezione Anticrimine del Reparto Operativo di Roma.

      fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Mori

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    2. Camillo Guglielmi era di Porto San Giorgio. Come Mario Moretti e Patrizio Peci

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  5. Ricordate che in nostri Servizi sono subordinati agli alti vrtici NATO. Al tempo inoltre molto subdola fu la presenza delle Gladio che possono agire al di fuori delle nostre Istituzioni.
    Per quanto riguarda, “lo strano caso del col. Guglielmi”, in mancanza di elementi probanti abbiamo evitato di fornire una nostro ipotesi su come possa essere andato questo strano caso del col. Guglielmi.
    Ma arrivati a questo punto un nostro parere, più che altro una nostra sensazione dobbiamo pur esprimerla.
    La nostra impressione allora è che, in linea di massima, i nostri Servizi avessero avuto sentore di “qualcosa” in merito all’agguato e con incarico supersegreto mandarono il Guglielmi a controllare.
    Non è sorprendente che nel caso Moro, non si fece mai niente di decisivo e positivo verso il rapito, visto che si riscontrano più volte episodi di inefficienza e mancanze nelle indagini, di elementi della Loggia P2 che al tempo occupavano diverse cariche nelle Istituzioni e negli apparati di sicurezza, ma evidentemente vi fu anche di una influenza sui nostri Serivzi da parte “Atlantica” attraverso le Gladio. Per questa missione il colonnello era l’elemento adatto avendo lavorato nelle Intelligence, con esperienza anche d’età e soprattutto esperto proprio nelle imboscate.
    Quando la cosa venne fuori, dodici anni dopo, probabilmente a causa di intenti speculativi, si decise di mantenere il segreto perché non era proprio possibile rivelarla, di conseguenza si almanaccò – e male – il particolare di andare a trovare l’amico D”Ambrosio (altro uomo che aveva lavorato nei Servizi e abitava nei pressi di via Fani). Si dovette poi aggiungere, per render credibile una semplice e innocua visita ad un amico - collega, la presenza della moglie, poi altri particolari.
    MAURIZIO BAROZZI

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  6. Condivido quanto espresso nell'ottimo intervento. Piuttosto mi chiedo, e la cosa mi intriga molto, come viene "neutralizzata" la "sponda" che senz'altro Moro ha nei servizi e che lo salva quando sale sul treno Italicus nell'estate del 1974, ma NON lo salva da via Fani nel 1978. Quanto alle date, il "casuale" ritrovamento del Memoriale Moro dietro il pannello di Via Montenevoso a Milano nell'autunno del 1990 precede di non troppo tempo l'estate del 1991 in cui le avvisaglie della futura Tangentopoli ci sono tutte, per chi sa scorgere...E allora mi domando: quale migliore strumento per tenere sotto scacco una intera classe dirigente in via di liquidazione, i cui vertici erano tutti (ma proprio tutti, Andreotti, Cossiga, Craxi) implicati nel caso Moro?

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  7. Bella domanda Paolo, ma come rispondere?
    E’ un fatto che i nostri Servizi, in genere, rispondevano nei loro vertici a clan polici, dicesi Miceli a Moro, Maletti ad Andreotti, ma sono tutte indicazioni approssimate e a mio parere non determinanti. Poi vi erano le rivalità di carriera e le lotte intestine, non secondarie. MA IL FATTO DECISIVO, ERA QUELLO CHE IN VIRTu’ DELLA DEFINIZIONE DELLA GUERRA E ACCORDI E PROTOCOLLI, ANCHE SEGRETI, I NOSTRI SERVIZI ERANO SUBORDINATI AGLI ALTI COMANDI NATO. E inoltre i ns. Servizi erano in condizioni di inferiorità rispetto alla Cia, per esempio, a cui dovevano riferire, ma non la Cia a loro. Quindi è qui che bisognerebbe cercare il modo con cui hanno bypassato tutto. Non indifferente è poi la presenza di uomini della P2 in molti posti chiave.
    Infine non dimentichiamo che sono stati massacrati 5 agenti di s corta, ovvero colleghi anche degli uomini dei Servizi. Quindi se sono verre loe ipotsi dietroloiche, sospetti ci sono , ma mancano prove documentali, che in quel’agguato c’è stata complicità o peggio dei nostri Serrvizi, a mio parere non credo che erano i nostri Servizi in quanto tali, che possono inquinare e depistare se comandati, per ragioni di Stato, ma non arriverebbero a tal crimine. E allora bisognerebbe cercare nelle Gladio che rispondono ad altri comandi, quelli atlantici, sono composti anche di uomini dei nostri apparati militari e di sicurezza, ma sono altra cosa.
    MAURIZIO BAROZZI

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  8. Grazie e mille dell'ottima risposta, con cui concordo in pieno! Semplicemente credo che Moro contasse su protezioni che poi all'atto pratico non esistevano e ciò spiega come potesse perfino ipotizzare un attentato contro di lui, ma MAI un rapimento. La subordinazione dei nostri servizi è un fatto storico, già da prima della fine della guerra nel 1945 e certo in quel campo le amicizie politiche sono effimere. Le prove documentali non ci sono e forse non ci saranno mai, però più si studia la dinamica della strage di Via Fani e quanto accade subito PRIMA e subito DOPO, più si è indotti ad ipotizzare aiuti molto consistenti alle BR e molto misteriosi. Possibile che la fuga per Via Stresa e oltre sia così fortunata? O che uno pseudoaviere diriga il traffico all'incrocio di Via Fani per circa 30 minuti prima della strage e nessuno, proprio nessuno si accorga di niente? Dopo tutto non siamo nella giungla ma in un popoloso quartiere residenziale della capitale...Grazie ancora della risposta e dell'ottimo articolo!

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    1. Sulla mezz'ora prima dell'agguato rinvio al mio contributo "avieri su e giù per via stresa" su questo blog.

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    2. Sulla mezz'ora prima dell'agguato rinvio al mio contributo "avieri su e giù per via stresa" su questo blog.

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  11. grazie e mille per la indicazione!

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  13. Guglielmi ha partecipato alla esecuzione della scorta non personalmente,ma praticamente. In 2 momenti - 1' dando ordine ad Leonardi di cedere Moro alla sua protezione ed effettuare un giro ricognitivo con una auto civetta targata cd e ritorno in chiesa. 2' in via Fani i suoi uomini se non lui stesso ad fermare il Leonardi e a freddarlo.

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  14. Ottimo articolo complottista. Ovviamente a fatti stiamo a zero. Guglielmi non é mai passato vicino alla zona dell'agguato come spiega Persichetti. Non ha avuto nessun ruolo. Solo dei complottisti potrebbero pensare che una persona implicata si faccia trovare nelle vicinanze per di più per motivi futili con amici invece di trovarsi altra copertura.

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  15. Gladio è molto probabilmente una bufala. Andreotti nel 1990 ne dichiarò l'esistenza senza fornire alcuna prova, e il fatto che sia stato proprio lui ad "ammetterne l'esistenza" è generalmente bastato a non suscitare molti dubbi. Mentre le dichiarazioni di Cossiga, d'altra parte, sono generalmente considerate fantasiose e artefatte. Ebbene, questa creazione, cioè questa creatura chiamata " gladio " è servita per chiudere il patto suggellato dal memoriale Morucci, il patto fra stato e terroristi. E' servita a dire che Moro non fu eliminato perché voleva coinvolgere i comunisti nel governo, ma per altre ragioni. E' servita agli apparati segreti dello stato, per stornarsi da dosso i noti sospetti, è servita alle br, per dire che sono state importanti, rilevanti, per avere addirittura realizzato obiettivi diversi da quelli dichiarati, non semplicemente "al soldo" di una direzione internazionale, bensì proprio per una loro duplice intrinseca natura. Gladio, a ben guardare, è come via Montalcini, o come la presenza di Moro in via Fani: non c'è alcuna prova che sia mai esistita. Ciò che Moro ha accennato in una lettera ( ... essere indotto a parlare ... ) può riferirsi a tante cose, esempio alla questione Lockeed. Ma la creazione ex post di Gladio consente anche di innalzare la memoria di Moro, secondo il rituale tutto italiano della santificazione di chi non è più tra i viventi. In sostanza, proprio all'epoca del secondo ritrovamento in via Montenevoso, poco prima del tentato rapimento di Gorbaciov, e poco prima che la magistratura arrivasse a dibattere sulle munizioni in dotazione alle br, subsoniche e non autoassemblate, ecco che arriva Gladio. Accuratamente escusso Andreotti, esaminate le relazioni dell'avvocatura di stato, ed accelerate le lancette tra uno sbadiglio e l'altro in commissione stragi, non v'è più dubbio. E' Gladio il grande segreto.

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