(a cura di: Andrea Guidi)
Qualche tempo fa abbiamo evidenziato una significativa lettera/telegramma di
Aldo Moro, prigioniero dei suoi sequestratori, alla famiglia, lettera che a nostro parere costituisce un notevole indizio di un così detto “canale di ritorno” tra l’esterno della prigione e l’ostaggio; segnatamente tra la famiglia del Presidente della D.C. e i suoi carcerieri.
Aldo Moro, prigioniero dei suoi sequestratori, alla famiglia, lettera che a nostro parere costituisce un notevole indizio di un così detto “canale di ritorno” tra l’esterno della prigione e l’ostaggio; segnatamente tra la famiglia del Presidente della D.C. e i suoi carcerieri.
Qui di seguito il link al nostro articolo al quale ci riferiamo:
http://www.sedicidimarzo.org/2020/12/uno-strano-messaggio-dalla-prigione-del.html
In quell’articolo abbiamo citato, tra l’altro, un interessante breve saggio di Giuseppe Michelangelo D’Urso sulla “rubrichetta verde” del Presidente, vertente sulla propria agendina personale, cui Aldo Moro fece riferimento in una delle prime lettere scritte alla moglie e ufficialmente non recapitate; qui di seguito il link al saggio che menzionammo in quell’occasione:
https://www.academia.edu/6535908/Ancora_sul_canale_di_ritorno_Nomi_tempi_e_luoghi_per_Lagendina_del_Presidente
o anche qui:
http://www.tuttostoria.net/Documenti/agendinadelpresidente.pdf
Si tratta della lettera numerata con il n. 4 nel saggio di Miguel Gotor “Lettere dalla prigionia”, ed. Einaudi-Saggi, 2018 (prima ed. 2008), pagg. 9 e segg., indirizzata alla moglie Eleonora e datata dal prigioniero “27-3-78”, ufficialmente mai recapitata e ritrovata in fotocopia di manoscritto solo nel secondo rinvenimento in Via Montenevoso nel 1990.
In questa missiva, Moro scriveva tra l’altro alla moglie:” Se puoi, nella mia rubrichetta verde, c’è il numero di M.L. Familiari, mia allieva. Ti prego di telefonarle di sera per un saluto a lei ed agli amici Mimmo, Matteo, Manfredi e Gianni, che mi accompagnano a Messa.”
Nelle brevi note oggetto di questa disamina, intendiamo tornare sul contenuto del nostro articolo, concernente la tragedia ferroviaria di Bologna connessa dall’ostaggio a quell’anomalo messaggio alla famiglia (anomalo nella forma e nel contenuto), ed altresì soffermarci brevemente sull’”agendina del Presidente” menzionata nel breve saggio di D’Urso poc’anzi richiamato.
Iniziando dalla vicenda della tragedia ferroviaria di Bologna alla quale l’ostaggio si era riferito con il telegramma/lettera alla famiglia che abbiamo in precedenza analizzato, ricordiamo qui che l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti in sede dibattimentale (CM-1, vol 78, pag. 35, e pagg. 81-82) aveva indicato in Agnese Moro la figlia del Presidente D.C. che durante il sequestro si sarebbe recata a Bologna per contattare un magistrato di quella città – rivelatosi poi essere il Giudice Tardino, a seguito dell’audizione dell’ex Ministro Cossiga (CM-1, vol. 78, pagg. 437 e segg., e prolusione dell'avv. Tarsitano, vol 78, pagg. 472 e seguenti) .
Successivamente alla redazione del nostro articolo, abbiamo riscontrato che nei “Diari” dell’ex Presidente del Consiglio Andreotti del 1978 la vicenda- dei contatti della famiglia con il giudice bolognese tramite la figlia di Moro, Agnese - era già emersa in tempi non sospetti, e che essa assume dunque contorni di assoluta verosimiglianza.
Infatti, nella rinnovata edizione dei “Diari” dell’importante uomo politico pubblicata nel 2021 (“Giulio Andreotti-I Diari degli Anni di piombo”, ed. Solferino) , a pag. 604, alla data del 9 aprile 1978 si legge, tra l’altro: ”Vi è anche il magistrato attivato da Agnese Moro, ma fino ad ora pare che contatti non ne abbia avuti”.
Come si vede, si tratta di una data anteriore di sei (6) giorni rispetto alla tragedia ferroviaria poi occorsa, oggetto della lettera di Moro alla famiglia (documento n. 37 del testo di Gotor citato), a sua volta databile al 16 aprile, allorché i quotidiani riportarono la notizia della tragedia.
Crediamo dunque che, per quanto Agnese Moro abbia avuto gioco facile a negare davanti alla prima Commissione parlamentare sul sequestro Moro (CM-1) questo contato vari anni prima della scoperta della copia della lettera del padre (senza, cioè, che all’epoca della sua audizione fosse disponibile questo essenziale elemento che avrebbe consentito ai commissari parlamentari quanto meno di incalzarla), ed a prescindere dal fatto che fosse proprio lei la persona in contatto con il giudice bolognese, nessun dubbio possa sussistere in ordine alla conoscenza, in tempo reale, nel più alto ambito governativo dei contatti in corso con il magistrato bolognese, e che di ciò Moro stesso fosse a diretta conoscenza.
D’altronde – lo abbiamo verificato solo dopo la redazione del nostro articolo sopra richiamato- fu lo stesso magistrato bolognese, con una lettera indirizzata alla Corte d’Assise di Roma, datata 28 settembre 1982, che fu letta dal presidente della Corte in dibattimento nell’udienza dell’11 ottobre di quell’anno poco prima della deposizione dell’ex Ministro Cossiga (vol.78, pagg. 379 e segg., CM-1), a confermare, di fatto, di essersi messo a disposizione della famiglia Moro, ricordando, nella lettera, un suo articolo su “Il resto del Carlino” pubblicato durante il sequestro, nel quale, quale ex allievo di Moro, egli si era dichiarato – in sintesi – pronto “per ogni iniziativa idonea per salvare la vita del loro congiunto e fu adombrata anche la possibilità di una difesa dello statista scomparso”.
Il giudice Tardino aveva inteso replicare, con questa lettera, ad un articolo del Corriere della Sera di quella stessa mattina (28 settembre 1982), da lui tacciato di “sensazionalismo”, che riportava la notizia secondo cui “un giudice bolognese sarebbe dovuto servire da tramite tra la famiglia Moro e i cosiddetti brigatisti rossi”.
Curiosamente, però, fu lo stesso magistrato a rilevare incidentalmente, nella propria lettera, come l’articolo non lo nominasse direttamente, manifestando espressamente in forma retorica il dubbio se vi fosse stato un accostamento fatto dal giornalista del Corriere tra il giudice descritto dal giornalista ed una circostanza – rimasta peraltro ignota – che, come scrisse lui stesso, lo riguardava “direttamente”: insomma, per dirla brutalmente, una classica excusatio non petita che suscitò, giustamente, un puntuale intervento dell’avv. Tarsitano – di cui abbiamo riportato un passaggio nel nostro articolo precedente – che chiese l’escussione del giudice Tardino; peraltro, a quanto ci consta, inutilmente, perché non ci risulta che il giudice fu mai sentito nel processo (almeno stando in base agli atti processuali per noi liberamente disponibili in quanto riprodotti nei volumi della CM-1).
In definitiva, come confermato dai due massimi esponenti governativi all’epoca del sequestro, cioè Andreotti e Cossiga, erano noti al più alto livello i contatti effettivi attivati dal più stretto entourage di Aldo Moro con una persona qualificata attiva a Bologna, che si volle investire – a prescindere dagli sviluppi che ciò ebbe o meno - del ruolo di tramite tra i sequestratori e la famiglia; e che di questo tentativo – che dovette andare ben oltre la generica disponibilità resa pubblica dal giudice Tardino mediante il proprio articolo su “Il Resto del Carlino” - Aldo Moro era esattamente al corrente.
Venendo poi al richiamato saggio di Giuseppe Michelangelo D’Urso D’Urso, al quale per brevità facciamo rinvio quanto alle ipotesi e ai riferimenti ivi tratteggiati, occorre prima di tutto una doverosa precisazione.
L’Autore, riferendosi a un noto saggio del giornalista Giovanni Bianconi (“Eseguendo la sentenza.
Roma, 1978. Dietro le quinte del sequestro Moro”, Einaudi, Torino, 2010) , ritiene di identificare l’allieva di Moro di nome “Tiziana”, indicata dal giornalista come una laureanda nella giornata del 16 marzo 1978, nella signora Maria Luisa Familiari, già sopra citata, alla quale Moro si era riferito nella menzionata lettera, non recapitata, alla moglie del 27 marzo, e destinataria nelle intenzioni dell’ostaggio di almeno tre (3) lettere, ufficialmente mai recapitate, rinvenute in copia solo nel 1990 e che la signora- prematuramente scomparsa, negò di avere mai ricevute.
In realtà, come abbiamo potuto verificare con la cortesissima collaborazione del dott. Manfredi Lo Jucco -uno degli allievi citati da Moro nella lettera n. 4 del saggio di Gotor, sopra richiamata – la signora Familiari all’epoca del sequestro era già laureata, come per l’appunto il dott. Manfredi Lo Jucco, che conosceva bene Maria Luisa Familiari, ci ha personalmente più volte ribadito, sia via mail che per vie brevi, (anche) telefonicamente interpellato da chi scrive.
Auspichiamo che di questa dirimente testimonianza si voglia tenere conto, d’ora in poi, nella pubblicistica sulla materia.
Ciò detto, ed al netto di questa precisazione, per venire al merito delle questioni poste dal saggio di D’Urso in ordine alla verosimile esistenza di un canale di ritorno verso la prigione dell’uomo politico democristiano, del quale appare appunto costituire un consistente indizio “l’agendina del Presidente”, occorre muovere i passi dalla testimonianza della ex presunta carceriere del Presidente D.C, Anna Laura Braghetti, da lei resa nel suo noto libro memorialistico, che dunque in quanto tale si presume luogo di particolare meditazione, (Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, “Il prigioniero”, Feltrinelli, Milano, settembre 2003).
E’ utile riportare per esteso il passaggio nel quale l’Autore – nell’analizzare i possibili documenti di Moro che vennero utili nel corso del sequestro, nell’ambito dei dubbi di “inventario” di quanto fosse presente o meno nelle borse dello statista prese in Via Fani nell’immediatezza della strage – riporta, tra l’altro, testualmente, le parole sul punto della ex brigatista (le sottolineature sono di chi scrive):
“Argomentando circa i possibili contenuti delle due borse di Moro che vennero prelevate da via Fani
prelevate contestualmente al rapimento dell'uomo politico, si è fatto elenco di una serie di oggetti che, in quanto fatti ritrovare in occasione del rilascio del cadavere del presidente democristiano, non
solo erano presenti nelle borse ma non furono oggetto di distruzione nel corso della prigionia.
Tra questi, per diretta testimonianza brigatista, un oggetto che non solo non venne distrutto ma tornò utile nel corso del sequestro.
Questo oggetto, secondo il racconto in sede di memorialistica fatto dalla Braghetti, era “la sua agenda, o almeno una delle sue agende, perché suppongo che una persona come lui non racchiudesse tutti i suoi contatti in un libretto così sottile. Quella che arrivò in via Montalcini, comunque, conteneva pochi nomi, indirizzi e numeri di telefono” (“Il prigioniero...”, op. cit., p. 76; nota 41 in calce) che Moro consultò selezionando “una serie di nomi e di indirizzi” a cui scrivere. Questa agendina privata di Moro “sopravvisse soltanto per il tempo strettamente necessario” al sequestro e venne in seguito bruciata senza essere ricopiata.”
In ordine a questo passaggio, l’Autore del saggio in oggetto sottolinea giustamente come, tra le varie opzioni semantiche a disposizione della ex brigatista, costei ne abbia eletta una assai maliziosa, ovvero sia - vale la pena riportarla nuovamente – riferendosi alla “agenda del Presidente”, 'Quella che arrivò in via Montalcini', opzione che di sicuro esclude il riferimento a un ritrovamento di quell’agenda addosso al Presidente D.C., o in una delle sue borse prelevate in Via Fani.
L’ipotesi dell’Autore è che questo “libretto così sottile” possa identificarsi con la “rubrichetta verde“ alla quale Moro fece riferimento nella lettera alla moglie n. 4 del 27 marzo, non recapitata, sopra ricordata.
Non abbiamo ovviamente elementi diretti ed oggettivi ulteriori per poter affermare che quel “libretto così sottile”, per dirla con la Braghetti, fosse la “rubrichetta verde” citata da Moro nella lettera alla moglie.
Tuttavia almeno un dato consente di ritenere che nei documenti presenti nelle due borse di Moro ufficialmente sottratte da Morucci in Via Fani non vi fossero necessariamente tutte le agende o rubriche di cui Moro disponeva; anzi, per la verità è sufficiente ripercorrere tanto la memorialistica brigatista che alcune deposizioni tra le quali primeggia per importanza quella della moglie dello statista, Eleonora – documenti ai quali per brevità si rinvia – per rendersi conto che nessuna delle descrizioni contenute in questi “cataloghi” del contenuto delle due borse menziona - oltre ai medicinali, al documento sulla ristrutturazione delle forze di Polizia, ad alcune tesi di laurea, alle chiavi di casa e dello studio dell’uomo politico, ecc. – un espresso richiamo ad un’agenda personale del presidente della D.C.
Il dato al quale ci riferiamo è il costante riferimento fatto in seguito dai sequestratori agli indirizzi ed ai numeri di telefono di due persone vicine per diversi motivi ad Aldo Moro, e cioè Don Mennini e Franco Tritto, che è ragionevole ritenere, anche per la giovane età, non fossero “rubricati” nella principale agenda di lavoro dell’ostaggio.
Se quindi si può anche ipotizzare – peraltro, come detto, senza alcun riscontro testimoniale diretto né di parte brigatista, né della famiglia – che in una delle due borse tra gli effetti personali di Moro vi fosse una sua agenda, il fatto stesso che lo statista ritenne di richiamare l’attenzione della moglie su una “rubrichetta” forse meno importante fino al 15 marzo, ma per altro verso probabilmente più “intima”, suggerisce l’ipotesi che l’ostaggio avvertì, in quel drammatico contesto, l’esigenza di reperire altri contatti utili – numeri di telefono e/o indirizzi - non in suo possesso al momento del sequestro.
In questa sede, nell’ottica proposta dall’Autore del saggio richiamato, e pur senza poter dire se “l’agenda” di cui scrisse la Braghetti si possa identificare o meno con la “rubrichetta verde” indicata da Moro alla moglie, in merito all’analisi di documenti comunque provenienti da Moro stesso venuti utili durante il sequestro e in particolare di un’agendina – quale che fosse - riteniamo di poter integrare brevemente le considerazioni del saggio in esame con alcuni ulteriori rilievi, di cui tuttavia l’Autore non pare aver tenuto conto, a sostegno dell’ipotesi - alla quale qui si aderisce – che Moro richiese ed ottenne anche un’agenda, o agendina, proveniente dall’esterno della prigione.
Traiamo questi ulteriori rilievi da una fonte quanto mai qualificata, il così detto “Memoriale” di Valerio Morucci e Adriana Faranda, passati alla storia e alle cronache della vicenda quali, tra l’altro, i “postini” delle BR nel corso del sequestro.
Per pura praticità nell’eventuale pronta verifica e confronto da parte di chi legge, trascriviamo le parti che seguono come edite nel saggio “Patto di omertà- Il Sequestro e l’uccisione di Aldo Moro: i silenzi e le menzogne della versione brigatista”, di Sergio Flamigni, ed. Kaos, 2015; per la precisone, salvo eventuali e più approfondite verifiche, abbiamo rinvenuto quanto segue:
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1) a pag. 136 del saggio appena citato, si legge, tra l’altro, con riferimento alla consegna di comunicati BR e lettere dell’ostaggio:
“Più complessa era la trasmissione delle lettere, poiché questa avveniva sempre tramite una delle persone indicate da Moro a Moretti, che ci mostrava indirizzi e telefoni direttamente dalla agendina di Moro, e cioè Don Mennini, Tritto e Rana, comunicando ad uno di loro di volta in volta, tramite telefono, il luogo 'dove potevano rinvenire la busta con le lettere”;
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2) ancora, a pag. 192, si legge, con riferimento alla tragica conclusione del sequestro il 9 maggio:
“Dalle 9.30 cerco di rintracciare Don Mennini, Fortuna ed altre persone i cui nomi erano riportati sulla agendina di Moro…”;
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3) e infine, a pag. 206:
“Mi pare di ricordare che in occasione della consegna del comunicato n.3, al capolinea del 27, Moretti avesse un’agendina di Aldo Moro da cui traemmo indirizzi e numeri di telefono delle persone che Moro aveva indicato come tramiti per la consegna delle sue lettere.”
In conclusione di queste brevi note, chi scrive ritiene di poter considerare ulteriormente rafforzata l’ipotesi che un canale di ritorno tra l’esterno e la prigione dell’ostaggio vi fu, e che di conseguenza questa via possa avere avuto ad oggetto non solo la comunicazione al prigioniero di notizie e fatti provenienti dalla propria famiglia o dall’agire della politica, ma anche la consegna di documenti.
Ciò quanto meno – allo stadio attuale delle nostre ricerche- con riferimento ai contatti del suo entourage con il magistrato di Bologna, e alla “agendina del presidente”; circostanze con riferimento alle quali questo percorso inverso dall’esterno all’interno della prigione – ancora oggi un vero e proprio punto controverso del sequestro - ci appare del tutto verosimilmente come fatto assodato.
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